La ricerca sul caso vocativo, prendendo le mosse dalle lingue classiche, rende possibile una serie di riflessioni di carattere storiografico, pragmatico e tipologico, nonché l'elaborazione di un inquadramento teorico del fenomeno, che interessa non solo la situazione testimoniata dal greco e dal latino, ma, più in generale, l'interpretazione delle forme allocutive del nome nel linguaggio. La specificità del vocativo rispetto ai casi è un elemento di problematizzazione teorica che, a partire dalla Stoà antica, emerge regolarmente nel pensiero metalinguistico occidentale, senza trovare una sintesi soddisfacente. L'analisi degli autori presi in considerazione mostra che, effettivamente, l'inserimento del vocativo nelle teorie dei casi considerate rivela alcune forzature teoriche, riconducibili al fatto che esso, pur essendo a tutti gli effetti formalmente integrato nel sistema flessionale, è estraneo ai casi dal punto di vista semantico-funzionale, poiché non marca relazioni di dipendenza da una testa, bensì funziona come marca allocutiva. La soluzione del problema, in effetti, risiede nel dare al fenomeno del vocativo la corretta collocazione funzionale, che non è, come per gli altri casi, l'ambito della relazionalità semantico-sintattica, bensì quello pragmatico della deissi di persona, cioè dell'istanziazione nell'atto discorsivo della referenza dell'interlocutore. Il vocativo, infatti, è un dispositivo di commutazione di referenzialità, che permette di circostanziare un oggetto linguistico referenziale non deittico come il nome, inserendovi una variabile deittica relativa al ruolo di interlocutore dell'atto linguistico (II persona). Pertanto, esso è di certo estraneo ai casi sul piano funzionale, ma tuttavia sistematizzato con essi: il vocativo dimostra, nell'ambito della morfologia nominale, come la lingua abbia la possibilità di inserire nelle opposizioni paradigmatiche della grammatica elementi funzionalmente non omogenei. Nelle lingue classiche, la categoria del vocativo mostra interessanti fenomeni di neutralizzazione formale e funzionale con il nominativo, interpretabili avvalendosi della nozione di marcatezza funzionale. Inoltre, per quanto riguarda il greco, si delinea lo sviluppo diacronico della costruzione del vocativo con la particella allocutiva , ipotizzando che tale sviluppo rientri in una specifica fenomenologia della variazione diacronica, cioè la grammaticalizzazione. Infine, si forniscono alcuni cenni di tipologia della codifica dell'allocuzione nominale in lingue indoeuropee e non indoeuropee.
La categoria del vocativo nelle lingue classiche : aspetti teorici, diacronici e tipologici
2009
Abstract
La ricerca sul caso vocativo, prendendo le mosse dalle lingue classiche, rende possibile una serie di riflessioni di carattere storiografico, pragmatico e tipologico, nonché l'elaborazione di un inquadramento teorico del fenomeno, che interessa non solo la situazione testimoniata dal greco e dal latino, ma, più in generale, l'interpretazione delle forme allocutive del nome nel linguaggio. La specificità del vocativo rispetto ai casi è un elemento di problematizzazione teorica che, a partire dalla Stoà antica, emerge regolarmente nel pensiero metalinguistico occidentale, senza trovare una sintesi soddisfacente. L'analisi degli autori presi in considerazione mostra che, effettivamente, l'inserimento del vocativo nelle teorie dei casi considerate rivela alcune forzature teoriche, riconducibili al fatto che esso, pur essendo a tutti gli effetti formalmente integrato nel sistema flessionale, è estraneo ai casi dal punto di vista semantico-funzionale, poiché non marca relazioni di dipendenza da una testa, bensì funziona come marca allocutiva. La soluzione del problema, in effetti, risiede nel dare al fenomeno del vocativo la corretta collocazione funzionale, che non è, come per gli altri casi, l'ambito della relazionalità semantico-sintattica, bensì quello pragmatico della deissi di persona, cioè dell'istanziazione nell'atto discorsivo della referenza dell'interlocutore. Il vocativo, infatti, è un dispositivo di commutazione di referenzialità, che permette di circostanziare un oggetto linguistico referenziale non deittico come il nome, inserendovi una variabile deittica relativa al ruolo di interlocutore dell'atto linguistico (II persona). Pertanto, esso è di certo estraneo ai casi sul piano funzionale, ma tuttavia sistematizzato con essi: il vocativo dimostra, nell'ambito della morfologia nominale, come la lingua abbia la possibilità di inserire nelle opposizioni paradigmatiche della grammatica elementi funzionalmente non omogenei. Nelle lingue classiche, la categoria del vocativo mostra interessanti fenomeni di neutralizzazione formale e funzionale con il nominativo, interpretabili avvalendosi della nozione di marcatezza funzionale. Inoltre, per quanto riguarda il greco, si delinea lo sviluppo diacronico della costruzione del vocativo con la particella allocutiva , ipotizzando che tale sviluppo rientri in una specifica fenomenologia della variazione diacronica, cioè la grammaticalizzazione. Infine, si forniscono alcuni cenni di tipologia della codifica dell'allocuzione nominale in lingue indoeuropee e non indoeuropee.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/135779
URN:NBN:IT:UNIROMA3-135779