Col termine Retinite Pigmentosa (RP) si designa un gruppo di patologie ereditarie dovute a mutazioni che avvengono di solito in geni fotorecettore-specifici e che portano alla morte primaria dei bastoncelli, necessari alla visione scotopica. In seguito anche i coni, responsabili della visione fotopica e dei colori degenerano progressivamente, per cui l’esito di questa patologia è la cecità. La terapia genica, che permette la sostituzione del gene mutato con una copia sana, rappresenta l’unica cura propriamente detta per le malattie genetiche; tuttavia data l’estrema eterogeneità dei geni di cui più di 60 noti al momento attuale e delle centinaia di mutazioni che possono causare la RP è necessario mettere a punto terapie alternative per il trattamento di questa patologia. Nei pazienti la patologia di solito è diagnosticata intorno all’adolescenza e tra la comparsa dei primi sintomi e la perdita della totale della vista possono passare diversi anni. Tra i vari approcci terapeutici in fase di attiva sperimentazione alcuni mirano a rallentare ulteriormente il decorso della malattia consentendo ai pazienti di guadagnare anni di visione utile. Rallentare la morte dei fotorecettori può offrire anche un altro vantaggio in quanto la conservazione della retina in salute mantiene comunque aperte le possibilità per i pazienti di essere sottoposti con successo a nuove ed eventuali forme di trattamento basate sull’integrità della circuiteria neuronale retinica (i.e. le protesi elettroniche) Scopo di questa tesi è stato appunto investigare un paradigma sperimentale che si è già dimostrato in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori in un modello di RP, il mutante murino rd10 (Barone et al., 2012, Barone et al., 2014). Il paradigma usato consiste nell’esporre gli animali da laboratorio ad Arricchimento Ambientale (AA), una manipolazione basata sulla aumentata stimolazione di tipo sensoriale, sociale e motorio. In una prima fase dello studio abbiamo analizzato alcune delle componenti dell’AA per capire se l’effetto positivo fosse da ascrivere principalmente ad un aspetto particolare di questo paradigma sperimentale. Si sono studiate sia l’attività fisica volontaria che l’effetto delle cure materne, notoriamente aumentate in ambiente arricchito. I risultati del nostro studio hanno mostrato che entrambe queste componenti sono in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori nei topi rd10, rispetto ai controlli tenuti in condizioni di stabulazione standard (ST), ma che l’AA completo ha un effetto maggiore sulla sopravvivenza dei fotorecettori. Per conoscere i meccanismi alla base degli effetti positivi dell’AA, in collaborazione con l’unità di genomica della Fondazione Pisana per la Scienza, abbiamo eseguito un’analisi del trascrittoma di retine provenienti da animali wild type (WT), rd10 ST ed rd10 AA a due punti temporali biologicamente significativi per il modello rd10, ossia al picco di morte dei bastoncelli e a quello dei coni, rispettivamente 24 e 45 giorni dopo la nascita. I risultati conseguiti hanno mostrato in entrambi i punti temporali sia dati attesi, già noti dalla letteratura, come la diminuzione di espressione di geni specifici dei fotorecettori negli rd10, che dati nuovi, in particolare la marcata attivazione della risposta immunitaria e infiammatoria nelle retine degeneranti. Abbiamo anche osservato che le retine AA mostravano un livello di espressione minore di queste molecole proinfiammatorie; pertanto, abbiamo ulteriormente indagato questo aspetto con la qRT PCR, una metodica particolarmente sensibile a variazioni di espressione genica. Sono state utilizzate piastre predisposte per l’analisi contemporanea di 84 geni appartenenti ai pathways delle citochine e chemochine. I risultati ottenuti hanno confermato i dati preliminari dei trascrittomi: la componente infiammatoria presente nelle retine rd10 ST risultava ridotta nelle retine AA; in particolare al picco della morte dei coni si osservava una reversione dell’espressione genica del mutante rd10 AA a livelli molto vicini a quelli dei WT. Analisi morfologiche delle retine a P45 hanno mostrato una minore attivazione delle cellule microgliali negli AA rispetto agli ST. Nell’insieme, i dati morfologici e biomolecolari permettono di espandere risultati precedenti che dimostravano come l’allevamento in ambiente arricchito stimoli una maggiore sopravvivenza dei fotorecettori nel mutante rd10, modello di Retinite Pigmentosa autosomico recessiva; in aggiunta, si può affermare che l’aumentata sopravvivenza di queste cellule si associa ad una diminuita espressione di markers molecolari dell’infiammazione e della risposta immunitaria, che comunque si rivela una determinante fondamentale e finora poco conosciuta di questa patologia. Gli studi condotti aprono nuove prospettive nel management di questa patologia, tuttora incurabile. Un'altra parte della tesi è stata rivolta allo sviluppo di un modello inducibile di RP ottenuto tramite l’iniezione di una tossina batterica, il cytotoxic necrotizing factor 1 (CNF1). La necessità di generare un modello di questo tipo è emersa dal fatto che nei comuni modelli genetici di RP, tra cui il mutante rd10, la degenerazione retinica si sovrappone temporalmente alle ultime fasi dello sviluppo della retina. Un modello inducibile offre dei vantaggi in termini di analogia alla patologia umana, in particolare permette: da un lato di indurre la degenerazione retinica in animali adulti, avvicinandosi ad una condizione più simile a quella dei pazienti umani, dall’altro di usare animali taglia maggiore permettendo di testare trattamenti farmacologiche in occhi di dimensioni più vicine a quelle umane. Il modello indotto presenta interessanti analogie con la patologia umana e in più, basandosi sull’impiego di una tossina con bersagli molecolari conosciuti, apre la strada alla possibilità di indentificare nuovi geni-malattia responsabili per forme di RP ancora senza una base genetica nota.

Laboratory approaches to Retinitis Pigmentosa: novel therapeutic strategies and animal models

2015

Abstract

Col termine Retinite Pigmentosa (RP) si designa un gruppo di patologie ereditarie dovute a mutazioni che avvengono di solito in geni fotorecettore-specifici e che portano alla morte primaria dei bastoncelli, necessari alla visione scotopica. In seguito anche i coni, responsabili della visione fotopica e dei colori degenerano progressivamente, per cui l’esito di questa patologia è la cecità. La terapia genica, che permette la sostituzione del gene mutato con una copia sana, rappresenta l’unica cura propriamente detta per le malattie genetiche; tuttavia data l’estrema eterogeneità dei geni di cui più di 60 noti al momento attuale e delle centinaia di mutazioni che possono causare la RP è necessario mettere a punto terapie alternative per il trattamento di questa patologia. Nei pazienti la patologia di solito è diagnosticata intorno all’adolescenza e tra la comparsa dei primi sintomi e la perdita della totale della vista possono passare diversi anni. Tra i vari approcci terapeutici in fase di attiva sperimentazione alcuni mirano a rallentare ulteriormente il decorso della malattia consentendo ai pazienti di guadagnare anni di visione utile. Rallentare la morte dei fotorecettori può offrire anche un altro vantaggio in quanto la conservazione della retina in salute mantiene comunque aperte le possibilità per i pazienti di essere sottoposti con successo a nuove ed eventuali forme di trattamento basate sull’integrità della circuiteria neuronale retinica (i.e. le protesi elettroniche) Scopo di questa tesi è stato appunto investigare un paradigma sperimentale che si è già dimostrato in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori in un modello di RP, il mutante murino rd10 (Barone et al., 2012, Barone et al., 2014). Il paradigma usato consiste nell’esporre gli animali da laboratorio ad Arricchimento Ambientale (AA), una manipolazione basata sulla aumentata stimolazione di tipo sensoriale, sociale e motorio. In una prima fase dello studio abbiamo analizzato alcune delle componenti dell’AA per capire se l’effetto positivo fosse da ascrivere principalmente ad un aspetto particolare di questo paradigma sperimentale. Si sono studiate sia l’attività fisica volontaria che l’effetto delle cure materne, notoriamente aumentate in ambiente arricchito. I risultati del nostro studio hanno mostrato che entrambe queste componenti sono in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori nei topi rd10, rispetto ai controlli tenuti in condizioni di stabulazione standard (ST), ma che l’AA completo ha un effetto maggiore sulla sopravvivenza dei fotorecettori. Per conoscere i meccanismi alla base degli effetti positivi dell’AA, in collaborazione con l’unità di genomica della Fondazione Pisana per la Scienza, abbiamo eseguito un’analisi del trascrittoma di retine provenienti da animali wild type (WT), rd10 ST ed rd10 AA a due punti temporali biologicamente significativi per il modello rd10, ossia al picco di morte dei bastoncelli e a quello dei coni, rispettivamente 24 e 45 giorni dopo la nascita. I risultati conseguiti hanno mostrato in entrambi i punti temporali sia dati attesi, già noti dalla letteratura, come la diminuzione di espressione di geni specifici dei fotorecettori negli rd10, che dati nuovi, in particolare la marcata attivazione della risposta immunitaria e infiammatoria nelle retine degeneranti. Abbiamo anche osservato che le retine AA mostravano un livello di espressione minore di queste molecole proinfiammatorie; pertanto, abbiamo ulteriormente indagato questo aspetto con la qRT PCR, una metodica particolarmente sensibile a variazioni di espressione genica. Sono state utilizzate piastre predisposte per l’analisi contemporanea di 84 geni appartenenti ai pathways delle citochine e chemochine. I risultati ottenuti hanno confermato i dati preliminari dei trascrittomi: la componente infiammatoria presente nelle retine rd10 ST risultava ridotta nelle retine AA; in particolare al picco della morte dei coni si osservava una reversione dell’espressione genica del mutante rd10 AA a livelli molto vicini a quelli dei WT. Analisi morfologiche delle retine a P45 hanno mostrato una minore attivazione delle cellule microgliali negli AA rispetto agli ST. Nell’insieme, i dati morfologici e biomolecolari permettono di espandere risultati precedenti che dimostravano come l’allevamento in ambiente arricchito stimoli una maggiore sopravvivenza dei fotorecettori nel mutante rd10, modello di Retinite Pigmentosa autosomico recessiva; in aggiunta, si può affermare che l’aumentata sopravvivenza di queste cellule si associa ad una diminuita espressione di markers molecolari dell’infiammazione e della risposta immunitaria, che comunque si rivela una determinante fondamentale e finora poco conosciuta di questa patologia. Gli studi condotti aprono nuove prospettive nel management di questa patologia, tuttora incurabile. Un'altra parte della tesi è stata rivolta allo sviluppo di un modello inducibile di RP ottenuto tramite l’iniezione di una tossina batterica, il cytotoxic necrotizing factor 1 (CNF1). La necessità di generare un modello di questo tipo è emersa dal fatto che nei comuni modelli genetici di RP, tra cui il mutante rd10, la degenerazione retinica si sovrappone temporalmente alle ultime fasi dello sviluppo della retina. Un modello inducibile offre dei vantaggi in termini di analogia alla patologia umana, in particolare permette: da un lato di indurre la degenerazione retinica in animali adulti, avvicinandosi ad una condizione più simile a quella dei pazienti umani, dall’altro di usare animali taglia maggiore permettendo di testare trattamenti farmacologiche in occhi di dimensioni più vicine a quelle umane. Il modello indotto presenta interessanti analogie con la patologia umana e in più, basandosi sull’impiego di una tossina con bersagli molecolari conosciuti, apre la strada alla possibilità di indentificare nuovi geni-malattia responsabili per forme di RP ancora senza una base genetica nota.
16-nov-2015
Italiano
Strettoi, Enrica
Vignali, Robert
Casarosa, Simona
Cremisi, Federico
Pizzorusso, Tommaso
Università degli Studi di Pisa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/136703
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPI-136703