Intorno alla metà del Settecento la medicina in senso lato era esercitata in Lombardia da varie figure professionali, differenti per formazione, estrazione sociale, clientela di riferimento e competenze, ma con prerogative e caratteristiche che potevano in particolari casi sovrapporsi e intersecarsi. Accanto ai medici-fisici si trovavano numerose figure che esercitavano i mestieri sanitari ‘minori’. Tra essi c’erano i chirurghi, che comprendevano a loro volta un insieme piuttosto variegato di professionisti la cui preparazione era avvenuta attraverso percorsi non certo uniformi ed equivalenti. L’esame della documentazione archivistica conservata all’Archivio di Stato di Milano e di Pavia consente di approfondire il tema e di fare, almeno in parte, luce sulla complessa situazione. Diverse istituzioni esercitavano, a metà secolo, un ruolo nella formazione e nell’esercizio della professione chirurgica: le Corporazioni cittadine dei barbieri, i Collegi dei medici, il Protofisico, che accordava patenti di esercizio ed era stato istituito anche con il compito di controllo su eventuali abusi nella concessione dei titoli, Luoghi Pii - come l’Ospedale Maggiore di Milano o l’Ospedale San Matteo di Pavia - all’interno dei quali i giovani potevano essere addestrati attraverso un tirocinio, e, infine, l’Università di Pavia, presso la quale si conseguivano dottorati e licenze in chirurgia. In questo contesto si collocano gli anni della formazione di Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800), che, dopo un periodo di apprendistato presso l’Ospedale di Pavia, entrò nell’esercito asburgico. Dopo una carriera in diversi ruoli del corpo chirurgico, Brambilla divenne Protochirurgo dell’esercito, chirurgo personale dell’Imperatore Giuseppe II e fondò, a Vienna, l’Accademia medico-chirurgica Josephina. La vicende che videro Brambilla protagonista, la situazione sanitaria dell’esercito e i cambiamenti apportati dalla sua solerte attività sono approfonditi attraverso l’esame di un manoscritto inedito, dettato da Brambilla e conservato a Pavia, presso la Biblioteca Bonetta: la Storia della chirurgia austriaca dal 1750 al 1800. Lo scritto è una sorta di diario professionale, nel quale emergono polemiche e contrasti nei rapporti tra la classe medica e quella chirurgica, e le rivalità con i colleghi che amareggiarono profondamente Brambilla negli ultimi anni della sua vita, riferite con una forte partigianeria. Il vecchio chirurgo militare, che, dopo la morte dell’Imperatore Giuseppe II, aveva visto mettere in discussione il proprio operato, aveva deciso di ripercorrere in questa storia le tappe non tanto della propria carriera, quanto del proprio lavoro, dei cambiamenti apportati nella preparazione dei chirurghi e nel trattamento dei «pazienti soldati», rimarcando con forza la distanza tra il prima e il dopo, tra l’arretratezza nella quale come giovane sotto-chirurgo aveva cominciato a operare e il buon assetto che grazie ai suoi sforzi si era ottenuto. Durante gli anni trascorsi nell’esercito Brambilla aveva potuto sperimentare come la qualità dei ferri chirurgici fosse determinante per la buona riuscita delle operazioni. Era inoltre necessario che i chirurghi sapessero indirizzare i coltellinai alla manutenzione degli strumenti logorati dall’uso o alla costruzione di nuovi esemplari in sostituzione di quelli danneggiati. Per questo motivo aveva previsto che il corso di operazioni chirurgiche della scuola che aveva fondato comprendesse una parte dedicata a strumenti e bendaggi e aveva fatto costruire una collezione di ferri, grazie alla quale allievi e praticanti avrebbero potuto esercitarsi. Il piano di Brambilla prevedeva di standardizzare le competenze degli studenti, così come la strumentaria a disposizione dell’armata. Parallelamente, Brambilla aveva lavorato alla realizzazione di un volume corredato da calcografie ottenute da tavole incise sotto la sua direzione, per rappresentare tutti gli strumenti considerati utili o necessari, operando una selezione tra la ricchissima strumentaria di riferimento del tempo. Pubblicazione e collezione di ferri chirurgici coincidevano quasi perfettamente, costituendo l’una il chiarimento dell’altra. Raccolte più piccole rispetto a quella di Vienna vennero inviate a Pavia e a Firenze. La collezione pavese, giunta nel 1786, è oggi conservata al Museo per la Storia dell’Università insieme ad alcune altre cassette, anch’esse riconducibili all’attività del coltellinaio dell’Accademia Josephina di Vienna. Il Museo possiede anche una copia dell’Instrumentarium chirurgicum militare austriacum del 1782. Le puntuali descrizioni contenute nel volume costituiscono una preziosa fonte di informazione per la catalogazione di ciascuno strumento e insieme all’introduzione dell’opera permettono anche di chiarire alcuni aspetti più teorici che guidarono Brambilla all’ideazione della collezione. Le cassette sono state raggruppate in categorie che permettono un discorso più generale su alcuni tipi di operazioni, per le quali si è tentato di conservare il tradizionale ordine de capite ad calcem. La breve descrizione introduttiva degli interventi è preceduta da un’iconografia tratta per la maggior parte dai volumi che Brambilla aveva inviato alla biblioteca dell’Ospedale San Matteo, oggi conservati nella Biblioteca Bonetta di Pavia.

"Per il bene dell'umanità sofrente". La chirurgia di Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800)

2017

Abstract

Intorno alla metà del Settecento la medicina in senso lato era esercitata in Lombardia da varie figure professionali, differenti per formazione, estrazione sociale, clientela di riferimento e competenze, ma con prerogative e caratteristiche che potevano in particolari casi sovrapporsi e intersecarsi. Accanto ai medici-fisici si trovavano numerose figure che esercitavano i mestieri sanitari ‘minori’. Tra essi c’erano i chirurghi, che comprendevano a loro volta un insieme piuttosto variegato di professionisti la cui preparazione era avvenuta attraverso percorsi non certo uniformi ed equivalenti. L’esame della documentazione archivistica conservata all’Archivio di Stato di Milano e di Pavia consente di approfondire il tema e di fare, almeno in parte, luce sulla complessa situazione. Diverse istituzioni esercitavano, a metà secolo, un ruolo nella formazione e nell’esercizio della professione chirurgica: le Corporazioni cittadine dei barbieri, i Collegi dei medici, il Protofisico, che accordava patenti di esercizio ed era stato istituito anche con il compito di controllo su eventuali abusi nella concessione dei titoli, Luoghi Pii - come l’Ospedale Maggiore di Milano o l’Ospedale San Matteo di Pavia - all’interno dei quali i giovani potevano essere addestrati attraverso un tirocinio, e, infine, l’Università di Pavia, presso la quale si conseguivano dottorati e licenze in chirurgia. In questo contesto si collocano gli anni della formazione di Giovanni Alessandro Brambilla (1728-1800), che, dopo un periodo di apprendistato presso l’Ospedale di Pavia, entrò nell’esercito asburgico. Dopo una carriera in diversi ruoli del corpo chirurgico, Brambilla divenne Protochirurgo dell’esercito, chirurgo personale dell’Imperatore Giuseppe II e fondò, a Vienna, l’Accademia medico-chirurgica Josephina. La vicende che videro Brambilla protagonista, la situazione sanitaria dell’esercito e i cambiamenti apportati dalla sua solerte attività sono approfonditi attraverso l’esame di un manoscritto inedito, dettato da Brambilla e conservato a Pavia, presso la Biblioteca Bonetta: la Storia della chirurgia austriaca dal 1750 al 1800. Lo scritto è una sorta di diario professionale, nel quale emergono polemiche e contrasti nei rapporti tra la classe medica e quella chirurgica, e le rivalità con i colleghi che amareggiarono profondamente Brambilla negli ultimi anni della sua vita, riferite con una forte partigianeria. Il vecchio chirurgo militare, che, dopo la morte dell’Imperatore Giuseppe II, aveva visto mettere in discussione il proprio operato, aveva deciso di ripercorrere in questa storia le tappe non tanto della propria carriera, quanto del proprio lavoro, dei cambiamenti apportati nella preparazione dei chirurghi e nel trattamento dei «pazienti soldati», rimarcando con forza la distanza tra il prima e il dopo, tra l’arretratezza nella quale come giovane sotto-chirurgo aveva cominciato a operare e il buon assetto che grazie ai suoi sforzi si era ottenuto. Durante gli anni trascorsi nell’esercito Brambilla aveva potuto sperimentare come la qualità dei ferri chirurgici fosse determinante per la buona riuscita delle operazioni. Era inoltre necessario che i chirurghi sapessero indirizzare i coltellinai alla manutenzione degli strumenti logorati dall’uso o alla costruzione di nuovi esemplari in sostituzione di quelli danneggiati. Per questo motivo aveva previsto che il corso di operazioni chirurgiche della scuola che aveva fondato comprendesse una parte dedicata a strumenti e bendaggi e aveva fatto costruire una collezione di ferri, grazie alla quale allievi e praticanti avrebbero potuto esercitarsi. Il piano di Brambilla prevedeva di standardizzare le competenze degli studenti, così come la strumentaria a disposizione dell’armata. Parallelamente, Brambilla aveva lavorato alla realizzazione di un volume corredato da calcografie ottenute da tavole incise sotto la sua direzione, per rappresentare tutti gli strumenti considerati utili o necessari, operando una selezione tra la ricchissima strumentaria di riferimento del tempo. Pubblicazione e collezione di ferri chirurgici coincidevano quasi perfettamente, costituendo l’una il chiarimento dell’altra. Raccolte più piccole rispetto a quella di Vienna vennero inviate a Pavia e a Firenze. La collezione pavese, giunta nel 1786, è oggi conservata al Museo per la Storia dell’Università insieme ad alcune altre cassette, anch’esse riconducibili all’attività del coltellinaio dell’Accademia Josephina di Vienna. Il Museo possiede anche una copia dell’Instrumentarium chirurgicum militare austriacum del 1782. Le puntuali descrizioni contenute nel volume costituiscono una preziosa fonte di informazione per la catalogazione di ciascuno strumento e insieme all’introduzione dell’opera permettono anche di chiarire alcuni aspetti più teorici che guidarono Brambilla all’ideazione della collezione. Le cassette sono state raggruppate in categorie che permettono un discorso più generale su alcuni tipi di operazioni, per le quali si è tentato di conservare il tradizionale ordine de capite ad calcem. La breve descrizione introduttiva degli interventi è preceduta da un’iconografia tratta per la maggior parte dai volumi che Brambilla aveva inviato alla biblioteca dell’Ospedale San Matteo, oggi conservati nella Biblioteca Bonetta di Pavia.
26-ago-2017
Italiano
Mazzocut-Mis, Maddalena
Giacobini, Giacomo
Paoletti, Giovanni
Fadini, Ubaldo
Vannozzi, Francesca
Barsanti, Giulio
Barbagli, Fausto
Mazzarello, Paolo
Iacono, Alfonso Maurizio
Università degli Studi di Pisa
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