Nel 1945, la Gran Bretagna era alla testa di un vasto impero coloniale, con fulcro nel Canale di Suez, crocevia fra tre continenti. L’occupazione di Suez era legittimata dal trattato di alleanza anglo-egiziana del 1936, che gli arabi intendevano ridiscutere. Gli inglesi intendevano mantenere l’egemonia nel Medio Oriente, cercando di inserire la base militare di Suez in un circuito di alleanze tra occidentali e arabi, che permettesse di conservare un nucleo di truppe nell’area in questione anche in tempo di pace. Contemporaneamente, Washington riteneva la presenza britannica sufficiente a tutelare i suoi interessi petroliferi nella regione, e non voleva assumere impegni militari a sostegno degli storici alleati. Nel corso degli anni, gli inglesi, in particolare Churchill, si dimostrarono incapaci di risolvere da soli i problemi con gli egiziani, che reclamavano l’evacuazione delle truppe britanniche da Suez. La rigidità delle politiche di stampo colonialista collideva con l’ondata nazionalista che attraversava la regione, mentre gli americani si dimostrarono più pragmatici, acquisendo un certo prestigio tra gli arabi. Nel giro di un quinquennio, Londra aveva perso il suo ruolo di potenza egemone nel Medio Oriente, mentre gli arabi si rivolgevano ormai agli Stati Uniti, in qualità di mediatori e garanti degli equilibri politici, nonostante le vicende arabo-israeliane. Numerose furono le incomprensioni tra gli alleati atlantici su vari punti, come il colonialismo, l’approccio agli egiziani, le tattiche da seguire, gli obiettivi da perseguire. La disputa anglo-egiziana fu risolta nel 1954, ma per questo l’interesse americano, sia pure in forma non ufficiale, si rivelò decisivo. Prima del disastro del 1956, emerge dallo studio dei documenti, la Gran Bretagna non era più l’ago della bilancia delle questioni mediorientali, poiché questo ruolo era passato agli Stati Uniti, senza ancora alcun impegno militare nell’area.

La politica anglo-americana nel Mediterraneo orientale: il Canale di Suez e i rapporti con l’Egitto, 1948-1954

2006

Abstract

Nel 1945, la Gran Bretagna era alla testa di un vasto impero coloniale, con fulcro nel Canale di Suez, crocevia fra tre continenti. L’occupazione di Suez era legittimata dal trattato di alleanza anglo-egiziana del 1936, che gli arabi intendevano ridiscutere. Gli inglesi intendevano mantenere l’egemonia nel Medio Oriente, cercando di inserire la base militare di Suez in un circuito di alleanze tra occidentali e arabi, che permettesse di conservare un nucleo di truppe nell’area in questione anche in tempo di pace. Contemporaneamente, Washington riteneva la presenza britannica sufficiente a tutelare i suoi interessi petroliferi nella regione, e non voleva assumere impegni militari a sostegno degli storici alleati. Nel corso degli anni, gli inglesi, in particolare Churchill, si dimostrarono incapaci di risolvere da soli i problemi con gli egiziani, che reclamavano l’evacuazione delle truppe britanniche da Suez. La rigidità delle politiche di stampo colonialista collideva con l’ondata nazionalista che attraversava la regione, mentre gli americani si dimostrarono più pragmatici, acquisendo un certo prestigio tra gli arabi. Nel giro di un quinquennio, Londra aveva perso il suo ruolo di potenza egemone nel Medio Oriente, mentre gli arabi si rivolgevano ormai agli Stati Uniti, in qualità di mediatori e garanti degli equilibri politici, nonostante le vicende arabo-israeliane. Numerose furono le incomprensioni tra gli alleati atlantici su vari punti, come il colonialismo, l’approccio agli egiziani, le tattiche da seguire, gli obiettivi da perseguire. La disputa anglo-egiziana fu risolta nel 1954, ma per questo l’interesse americano, sia pure in forma non ufficiale, si rivelò decisivo. Prima del disastro del 1956, emerge dallo studio dei documenti, la Gran Bretagna non era più l’ago della bilancia delle questioni mediorientali, poiché questo ruolo era passato agli Stati Uniti, senza ancora alcun impegno militare nell’area.
29-mar-2006
Italiano
Donno, Antonio
Università degli Studi di Pisa
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