La tesi si propone fin da subito di chiarire eventuali equivoci: come mail una psicologa clinica si trova a sviluppare un lavoro di ricerca in un Dipartimento di Studi Urbani? Il rischio di equivoci è dato dal possibile fraintendimento nei confronti di una disciplina che normalmente viene significata come pratica orientata alla cura o indirizzata all’adattamento dei soggetti in determinati contesti. La psicologia, infatti, viene concepita come una prassi che conforma e cerca di riportare gli individui alla normalità. Questo non sorprende, in quanto essa, una scienza giovane e debole, per acquisire legittimazione nel campo sociale si è appoggiata per decenni al modello medico senza avere però precise teorie eziopatogenetiche delle forme da curare né delle tecniche in tal senso. Per trattare questa problematicità la psicologia ha cominciato a ragionare sui costrutti specifici della disciplina e a metterli in relazione con domande che venivano dai contesti sociali: esse avevano a che fare con le criticità esperite da individui, gruppi e organizzazioni in relazione ai contesti di esperienza. Guardando alla psicologia come disciplina che si sviluppa con l’incontro di ‘domande’ risulta più facile comprendere l’approdo al Dipartimento di Studi Urbani che rappresenta solo il punto di partenza della ricerca. La tesi vuole affrontare la crisi che la disciplina della pianificazione sta vivendo in coerenza con le trasformazioni politico, sociali e culturali proprie della contemporaneità. Questo cambiamento ha imposto alla disciplina di allargare il capo di studio, allentare le frontiere e attingere ad altri campi disciplinari. Tra gli obbiettivi che essa si pone vi è quello di mettere a fuoco i quadri concettuali e gli strumenti operativi nel campo della pianificazione territoriale e dello sviluppo Il cambiamento più consistente che la disciplina ha affrontato negli ultimi decenni è quello di aver messo in discussione il paradigma razionale, a favore di altri tipi di razionalità (limitata, incrementale, comunicativa). A questo si aggiunge l’aver cominciato a prestare attenzione alle componenti emozionali attive dentro i processi decisionali. Ciononostante i risultati delle innovazioni non sembrano essere soddisfacenti. Si fanno strada nella letteratura e nella critica posizioni dissacranti nei confronti della disciplina e delle sue possibilità di perseguimento di obiettivi. La tesi assume questo sfondo come una domanda di ricerca: perché l’azione pianificatoria in questo momento è in crisi rispetto alla propria capacità di scopo? e quali possono essere le alternative per uscire da questo impasse? L’ipotesi è che l’aver messo in discussione il paradigma razionale, insieme alla riammissione di una nozione ampia di ragione, non aiuti a produrre un cambiamento nel modo di concepire l’azione pianificatoria, perché la rinuncia al modello di un operatore razionale, come qualificazione dell’attore sociale, non elimina il fatto che questo modello venga comunque e implicitamente assunto come un criterio normativo. La tesi che si sostiene è che i processi psicosociali non siano da intendersi solamente come processi di tipo razionale e intenzionale, né l’introduzione di razionalità limitata, incrementale e comunicativa è sufficiente a rendere conto di loro. Essi sono piuttosto organizzati da dimensioni emozionali che attengono ad un’altra logica del funzionamento mentale, lontano dall’essere razionale bensì rispondente al modo di funzionare inconscio della mente. Non avere teorie e strumenti per considerare la loro presenza non fa in modo che questa componente non influisca sugli esiti dell’azione ma lascia solo che essa agisca senza essere pensata. Questo avviene in ogni aspetto della realtà: nelle teorie, nei comportanti, nelle pratiche. Questa tesi si popone quindi di reintegrare la componente emozionale in una più ampia riflessione inerente le criticità che la pianificazione sta affrontando. L’analisi svolta è fondata sul metodo del paradigma indiziario e il testo si sviluppa in coerenza con gli obiettivi della metodologia applicata. Si può pensare al testo come all’esplicitarsi, per passi successivi, dell’analisi su di un caso, dove per caso si intende la sommatoria di pretesti e di domande inerenti le criticità che la disciplina sta affrontando, da cui la tesi prende le mosse. La tesi è strutturata in 6 capitoli. In ogni capitolo si colgono degli indizi e si costruisce di volta in volta, intorno ad essi, una riflessione. Nel primo capitolo si delinea dal punto di vista epistemologico e metodologico il posizionamento assunto nell’istituzione del processo di conoscenza e nella scelta dell’oggetto di tale conoscenza. Vengono analizzate in termini psicologici tre diverse situazioni, considerate indizi della domanda della pianificazione. Da una prima analisi condotta a partire da questi indizi si evidenzia come il problema della pianificazione stia nel modo in cui l’azione costruisce le premesse per orientarsi al suo scopo. Nel secondo capitolo si procede a una categorizzazione di tali problematicità considerando l’azione un particolare costrutto psicosociale. In termini psicosociali l’azione è orientata ad uno scopo e, al contempo, da uno scopo. L’azione intenzionale orientata allo scopo implica un sistema decisionale: quanto emerso nel primo capitolo fa presupporre che la pianificazione in questo momento sia in difficoltà nell’orientarsi al suo scopo e, in merito a questa difficoltà, le scelte che fa sembrerebbero finalizzate implicitamente all’obiettivo di conservare l’idea che ha di sé, anche se esplicita una critica al proprio paradigma di conoscenza ed azione. Per capire questa contraddizione servono modelli di conoscenza in grado di trasformare un’irrazionalità in informazione. Nel terzo capitolo si dimostra come i diversi modelli che hanno messo in crisi il paradigma della razionalità in realtà non lo abbiano fatto sulle premesse di fondo assumendo la qualificazione dell’attore razionale implicitamente come modello normativo e conferendo all’emozione una dimensione marginale. In relazione a questo il quarto capitolo propone una teoria della relazione azione-contesto che integra le componenti emozionali nei processi decisionali. Le emozioni vengono concepite come quelle premesse di senso che organizzano comportamenti, teorie, decisioni, scelte e preferenze. Nel quinto capitolo si utilizzano le ipotesi e i costrutti esplicitati nei precedenti per capire come nella letteratura di campo si organizza il discorso intorno alla criticità della pianificazione. Si attinge ad una letteratura disciplinare ma con un modello di lettura psicologico che permette di evidenziare quanto la pianificazione si ancori a finalità traducendole in azione nel momento in cui è difficile per essa tradurle in obiettivi verificabili. Sostanzialmente si fa portatrice di obiettivi che non sono tecnici traducendoli però in normatività. Questo avviene perché vi è una sovrapposizione tra fenomenologie e processi implicati entro tali fenomenologie e una assenza di specifici modelli per leggere e conseguentemente intervenire sugli stessi. Il sesto capitolo è il tentativo di confronto con un contesto e l’occasione per mettere alla prova la teoria sulla relazione azione-contesto. Si tratta di una analisi della domanda condotta ad Arezzo nell’ambito degli studi preparatori per la redazione del Piano Integrato di Sviluppo Sostenibile della città. Il piano è stato redatto in risposta al bando Regionale per assegnazione dei fondi strutturali comunitari nell’ambito della programmazione 2007-2013. Tra le finalità esplicitate dall’amministrazione quello di perseguire lo sviluppo territoriale e di innescare un cambiamento nel modo di intendere le potenzialità di sviluppo della città. In coerenza con quanto affrontato nei capitoli precedenti per attivare sviluppo è necessario intercettare i processi che lo sottendono. Il piano quindi rappresenta il risultato di una prestazione professionale ma non il prodotto dell’azione di sviluppo. Il prodotto è la capacità della committenza di utilizzare il piano per produrre sviluppo. Piano e sviluppo non coincidono e anche la consecutio logica tra piano e cambiamento non è scontata. L’analisi della domanda e delle culture locali condotta in abito aretino consente di mettere in luce il processo attivo sottostante alla fenomenologia di una domanda di sviluppo. In conclusione il lavoro svolto consente di guardare ad alcune fragilità della disciplina come a potenzialità in stato critico. Le emozioni che caratterizzano l’appartenenza alla disciplina sono caratterizzate da impotenza e da normatività. La crisi in cui verte la pianificazione è strettamente legata al cambiamento della domanda sociale. Mentre nella modernità la dimensione normativa offriva un ancoraggio utile per significare la domanda sociale oggi questo senso entra in crisi. La domanda si complessifica e si iper-differenzia. Di conseguenza se la pianificazione si vuole occupare di fenomenologie sociali (l’abitare, lo sviluppo, il buon governo, la sostenibilità…) è opportuno cominciare a ragionare su come le conoscenze e le competenze che ha intercettano con esito positivo i processi che sottendono ai fenomeni sociali. La pianificazione sembra affrontare un cambiamento epistemologico, dunque, oltre che teorico e pratico rispetto al quale il contributo del modo di funzionare inconscio della mente offre possibili aperture.
Contesti attivi : premesse per l'azione
2010
Abstract
La tesi si propone fin da subito di chiarire eventuali equivoci: come mail una psicologa clinica si trova a sviluppare un lavoro di ricerca in un Dipartimento di Studi Urbani? Il rischio di equivoci è dato dal possibile fraintendimento nei confronti di una disciplina che normalmente viene significata come pratica orientata alla cura o indirizzata all’adattamento dei soggetti in determinati contesti. La psicologia, infatti, viene concepita come una prassi che conforma e cerca di riportare gli individui alla normalità. Questo non sorprende, in quanto essa, una scienza giovane e debole, per acquisire legittimazione nel campo sociale si è appoggiata per decenni al modello medico senza avere però precise teorie eziopatogenetiche delle forme da curare né delle tecniche in tal senso. Per trattare questa problematicità la psicologia ha cominciato a ragionare sui costrutti specifici della disciplina e a metterli in relazione con domande che venivano dai contesti sociali: esse avevano a che fare con le criticità esperite da individui, gruppi e organizzazioni in relazione ai contesti di esperienza. Guardando alla psicologia come disciplina che si sviluppa con l’incontro di ‘domande’ risulta più facile comprendere l’approdo al Dipartimento di Studi Urbani che rappresenta solo il punto di partenza della ricerca. La tesi vuole affrontare la crisi che la disciplina della pianificazione sta vivendo in coerenza con le trasformazioni politico, sociali e culturali proprie della contemporaneità. Questo cambiamento ha imposto alla disciplina di allargare il capo di studio, allentare le frontiere e attingere ad altri campi disciplinari. Tra gli obbiettivi che essa si pone vi è quello di mettere a fuoco i quadri concettuali e gli strumenti operativi nel campo della pianificazione territoriale e dello sviluppo Il cambiamento più consistente che la disciplina ha affrontato negli ultimi decenni è quello di aver messo in discussione il paradigma razionale, a favore di altri tipi di razionalità (limitata, incrementale, comunicativa). A questo si aggiunge l’aver cominciato a prestare attenzione alle componenti emozionali attive dentro i processi decisionali. Ciononostante i risultati delle innovazioni non sembrano essere soddisfacenti. Si fanno strada nella letteratura e nella critica posizioni dissacranti nei confronti della disciplina e delle sue possibilità di perseguimento di obiettivi. La tesi assume questo sfondo come una domanda di ricerca: perché l’azione pianificatoria in questo momento è in crisi rispetto alla propria capacità di scopo? e quali possono essere le alternative per uscire da questo impasse? L’ipotesi è che l’aver messo in discussione il paradigma razionale, insieme alla riammissione di una nozione ampia di ragione, non aiuti a produrre un cambiamento nel modo di concepire l’azione pianificatoria, perché la rinuncia al modello di un operatore razionale, come qualificazione dell’attore sociale, non elimina il fatto che questo modello venga comunque e implicitamente assunto come un criterio normativo. La tesi che si sostiene è che i processi psicosociali non siano da intendersi solamente come processi di tipo razionale e intenzionale, né l’introduzione di razionalità limitata, incrementale e comunicativa è sufficiente a rendere conto di loro. Essi sono piuttosto organizzati da dimensioni emozionali che attengono ad un’altra logica del funzionamento mentale, lontano dall’essere razionale bensì rispondente al modo di funzionare inconscio della mente. Non avere teorie e strumenti per considerare la loro presenza non fa in modo che questa componente non influisca sugli esiti dell’azione ma lascia solo che essa agisca senza essere pensata. Questo avviene in ogni aspetto della realtà: nelle teorie, nei comportanti, nelle pratiche. Questa tesi si popone quindi di reintegrare la componente emozionale in una più ampia riflessione inerente le criticità che la pianificazione sta affrontando. L’analisi svolta è fondata sul metodo del paradigma indiziario e il testo si sviluppa in coerenza con gli obiettivi della metodologia applicata. Si può pensare al testo come all’esplicitarsi, per passi successivi, dell’analisi su di un caso, dove per caso si intende la sommatoria di pretesti e di domande inerenti le criticità che la disciplina sta affrontando, da cui la tesi prende le mosse. La tesi è strutturata in 6 capitoli. In ogni capitolo si colgono degli indizi e si costruisce di volta in volta, intorno ad essi, una riflessione. Nel primo capitolo si delinea dal punto di vista epistemologico e metodologico il posizionamento assunto nell’istituzione del processo di conoscenza e nella scelta dell’oggetto di tale conoscenza. Vengono analizzate in termini psicologici tre diverse situazioni, considerate indizi della domanda della pianificazione. Da una prima analisi condotta a partire da questi indizi si evidenzia come il problema della pianificazione stia nel modo in cui l’azione costruisce le premesse per orientarsi al suo scopo. Nel secondo capitolo si procede a una categorizzazione di tali problematicità considerando l’azione un particolare costrutto psicosociale. In termini psicosociali l’azione è orientata ad uno scopo e, al contempo, da uno scopo. L’azione intenzionale orientata allo scopo implica un sistema decisionale: quanto emerso nel primo capitolo fa presupporre che la pianificazione in questo momento sia in difficoltà nell’orientarsi al suo scopo e, in merito a questa difficoltà, le scelte che fa sembrerebbero finalizzate implicitamente all’obiettivo di conservare l’idea che ha di sé, anche se esplicita una critica al proprio paradigma di conoscenza ed azione. Per capire questa contraddizione servono modelli di conoscenza in grado di trasformare un’irrazionalità in informazione. Nel terzo capitolo si dimostra come i diversi modelli che hanno messo in crisi il paradigma della razionalità in realtà non lo abbiano fatto sulle premesse di fondo assumendo la qualificazione dell’attore razionale implicitamente come modello normativo e conferendo all’emozione una dimensione marginale. In relazione a questo il quarto capitolo propone una teoria della relazione azione-contesto che integra le componenti emozionali nei processi decisionali. Le emozioni vengono concepite come quelle premesse di senso che organizzano comportamenti, teorie, decisioni, scelte e preferenze. Nel quinto capitolo si utilizzano le ipotesi e i costrutti esplicitati nei precedenti per capire come nella letteratura di campo si organizza il discorso intorno alla criticità della pianificazione. Si attinge ad una letteratura disciplinare ma con un modello di lettura psicologico che permette di evidenziare quanto la pianificazione si ancori a finalità traducendole in azione nel momento in cui è difficile per essa tradurle in obiettivi verificabili. Sostanzialmente si fa portatrice di obiettivi che non sono tecnici traducendoli però in normatività. Questo avviene perché vi è una sovrapposizione tra fenomenologie e processi implicati entro tali fenomenologie e una assenza di specifici modelli per leggere e conseguentemente intervenire sugli stessi. Il sesto capitolo è il tentativo di confronto con un contesto e l’occasione per mettere alla prova la teoria sulla relazione azione-contesto. Si tratta di una analisi della domanda condotta ad Arezzo nell’ambito degli studi preparatori per la redazione del Piano Integrato di Sviluppo Sostenibile della città. Il piano è stato redatto in risposta al bando Regionale per assegnazione dei fondi strutturali comunitari nell’ambito della programmazione 2007-2013. Tra le finalità esplicitate dall’amministrazione quello di perseguire lo sviluppo territoriale e di innescare un cambiamento nel modo di intendere le potenzialità di sviluppo della città. In coerenza con quanto affrontato nei capitoli precedenti per attivare sviluppo è necessario intercettare i processi che lo sottendono. Il piano quindi rappresenta il risultato di una prestazione professionale ma non il prodotto dell’azione di sviluppo. Il prodotto è la capacità della committenza di utilizzare il piano per produrre sviluppo. Piano e sviluppo non coincidono e anche la consecutio logica tra piano e cambiamento non è scontata. L’analisi della domanda e delle culture locali condotta in abito aretino consente di mettere in luce il processo attivo sottostante alla fenomenologia di una domanda di sviluppo. In conclusione il lavoro svolto consente di guardare ad alcune fragilità della disciplina come a potenzialità in stato critico. Le emozioni che caratterizzano l’appartenenza alla disciplina sono caratterizzate da impotenza e da normatività. La crisi in cui verte la pianificazione è strettamente legata al cambiamento della domanda sociale. Mentre nella modernità la dimensione normativa offriva un ancoraggio utile per significare la domanda sociale oggi questo senso entra in crisi. La domanda si complessifica e si iper-differenzia. Di conseguenza se la pianificazione si vuole occupare di fenomenologie sociali (l’abitare, lo sviluppo, il buon governo, la sostenibilità…) è opportuno cominciare a ragionare su come le conoscenze e le competenze che ha intercettano con esito positivo i processi che sottendono ai fenomeni sociali. La pianificazione sembra affrontare un cambiamento epistemologico, dunque, oltre che teorico e pratico rispetto al quale il contributo del modo di funzionare inconscio della mente offre possibili aperture.File | Dimensione | Formato | |
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