Per una serie assai ampia di motivazioni, eterogenee e complesse, tra cui spiccano senza dubbio il progresso scientifico in campo biologico ed etologico-cognitivo, l’emancipazione culturale da alcuni dogmi, nonché particolari esperienze storiche, la percezione degli animali nella coscienza sociale è nell’ultimo secolo fortemente mutata. Tale cambiamento si è acuito a partire dagli anni Settanta del Novecento e pare senza dubbio anche a oggi operante. In particolare sembra sempre più aver preso forma nella coscienza collettiva l’idea che gli animali non siano oggetti o strumenti creati ad esclusivo uso e consumo dell’uomo, ma anche creature dotate di un valore immanente sia in quanto esseri senzienti, sia sul più ampio sfondo di un rapporto di equilibrio, per così dire “sacro”, con la natura. Quest’idea che si è ormai profilata come una consapevolezza in ambito etico e filosofico ed è stata recepita, almeno in parte, nella coscienza comune, ha prodotto i suoi effetti anche in campo giuridico. Il bene giuridico del “sentimento per gli animali”, come tradizionalmente concepito, è stato infatti messo in discussione prima in forza delle interpretazioni evolutive verificatesi in giurisprudenza tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento e, successivamente, dalla riforma n. 473 del 1993 e da quella del 20 luglio 2004, n. 189. Tale bene era tradizionalmente concepito come costituito da un lato dal sentimento di compassione dell’uomo per le altre creature, dall’altro, dalla libertà dell’uomo stesso di non dover assistere a crudeltà su di esse che destassero ribrezzo e, infine, dall’interesse d’evitare manifestazioni di brutalità considerate nocive da un punto di vista pedagogico. Successivamente, in forza delle segnalate pronunce giurisprudenziali, inizia a profilarsi l’idea dell’animale “come essere senziente” quale ulteriore oggetto di tutela della fattispecie, allora vigente, di maltrattamento. Quest’oggetto giuridico, riconosciuto e apparentemente sedimentatosi in giurisprudenza, non ha trovato mai esplicito e ufficiale riconoscimento a livello normativo. La riforma n. 473 del 1993, infatti, ha certamente intensificato la tutela indirettamente apprestata agli animali in forza di alcune nuove e più severe disposizioni e, introducendo alcuni espressi riferimenti lessicali alla "natura degli animali" e alle loro "caratteristiche etologiche", ha senza dubbio mostrato di prendere questi ultimi in considerazione anche come esseri autonomi dotati di loro imprescindibili peculiarità. Tuttavia, è altrettanto certo che la riforma stessa non abbia mutato la prospettiva e la ratio sottesa alla tutela di cui si tratta. Essa, come dimostrato anche dalla collocazione sistematica della fattispecie di "maltrattamento di animali"(allora vigente) tra quelle "concernenti la polizia dei costumi", rimaneva quella della protezione del sentimento, seppur mutato e affinatosi, nei loro confronti. La novella n. 189 del 2004 non cambia nella sostanza tale prospettiva. Infatti, nonostante la disposizione d’importantissime innovazioni, quali la previsione della maggior parte delle fattispecie perpetrabili a danno degli animali come delitti e l’introduzione di alcuni nuovi reati senza dubbio capaci di assicurare una tutela più ampia e comprensiva agli animali stessi, l’ottica di tutela di matrice antropocentrica non pare tuttavia, nemmeno a oggi, cambiata. In forza della collocazione sistematica del Titolo IX bis subito dopo il Titolo IX dedicato ai delitti contro la moralità pubblica e al buon costume e prima del Titolo XI destinato alla tutela della famiglia, e soprattutto dell’inscriptio del Titolo "Dei delitti contro il sentimento per gli animali", il bene giuridico enucleato ufficialmente nel codice appare tutt’ora il "sentimento per gli animali". Tuttavia il valore immanente delle bestie, o perlomeno di quelle dal nostro punto di vista più evolute, pur non essendo stato assunto dal legislatore come autonomo bene giuridico di categoria, sembra serpeggiare come consapevolezza alla base di quel sentimento effettivamente tutelato dalle norme di cui si discute, tanto da rendere il sentimento stesso interpretabile in modo parzialmente diverso e più ampio rispetto al passato. Ai tempi dell’emanazione del codice Rocco, infatti, esso pareva ledibile principalmente attraverso condotte manifestamente crudeli o raccapriccianti capaci di offendere una compartecipazione di tipo soprattutto emotivo-sentimentalistico alla sorte dell’animale. Oggi, viceversa, in forza anche delle scoperte di matrice scientifica cui si faceva cenno, tale sentimento pare poggiare altresì sulla base di un oggettivo riconoscimento di creature complesse, dotate di dignità in quanto esseri viventi e portatrici di leggi biologiche, seppur peculiari, spesso simili alle nostre. Queste recenti consapevolezze che contraddistinguono il “nuovo sentimento per gli animali” fanno sì che questo stesso possa essere offeso non solo da manifestazioni di sguaiata brutalità nei loro confronti, ma anche ogniqualvolta il sacrificio della vita o del benessere dell’animale non appaia strettamente necessario per un fine umano considerato lecito.
La tutela penale degli animali
2012
Abstract
Per una serie assai ampia di motivazioni, eterogenee e complesse, tra cui spiccano senza dubbio il progresso scientifico in campo biologico ed etologico-cognitivo, l’emancipazione culturale da alcuni dogmi, nonché particolari esperienze storiche, la percezione degli animali nella coscienza sociale è nell’ultimo secolo fortemente mutata. Tale cambiamento si è acuito a partire dagli anni Settanta del Novecento e pare senza dubbio anche a oggi operante. In particolare sembra sempre più aver preso forma nella coscienza collettiva l’idea che gli animali non siano oggetti o strumenti creati ad esclusivo uso e consumo dell’uomo, ma anche creature dotate di un valore immanente sia in quanto esseri senzienti, sia sul più ampio sfondo di un rapporto di equilibrio, per così dire “sacro”, con la natura. Quest’idea che si è ormai profilata come una consapevolezza in ambito etico e filosofico ed è stata recepita, almeno in parte, nella coscienza comune, ha prodotto i suoi effetti anche in campo giuridico. Il bene giuridico del “sentimento per gli animali”, come tradizionalmente concepito, è stato infatti messo in discussione prima in forza delle interpretazioni evolutive verificatesi in giurisprudenza tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento e, successivamente, dalla riforma n. 473 del 1993 e da quella del 20 luglio 2004, n. 189. Tale bene era tradizionalmente concepito come costituito da un lato dal sentimento di compassione dell’uomo per le altre creature, dall’altro, dalla libertà dell’uomo stesso di non dover assistere a crudeltà su di esse che destassero ribrezzo e, infine, dall’interesse d’evitare manifestazioni di brutalità considerate nocive da un punto di vista pedagogico. Successivamente, in forza delle segnalate pronunce giurisprudenziali, inizia a profilarsi l’idea dell’animale “come essere senziente” quale ulteriore oggetto di tutela della fattispecie, allora vigente, di maltrattamento. Quest’oggetto giuridico, riconosciuto e apparentemente sedimentatosi in giurisprudenza, non ha trovato mai esplicito e ufficiale riconoscimento a livello normativo. La riforma n. 473 del 1993, infatti, ha certamente intensificato la tutela indirettamente apprestata agli animali in forza di alcune nuove e più severe disposizioni e, introducendo alcuni espressi riferimenti lessicali alla "natura degli animali" e alle loro "caratteristiche etologiche", ha senza dubbio mostrato di prendere questi ultimi in considerazione anche come esseri autonomi dotati di loro imprescindibili peculiarità. Tuttavia, è altrettanto certo che la riforma stessa non abbia mutato la prospettiva e la ratio sottesa alla tutela di cui si tratta. Essa, come dimostrato anche dalla collocazione sistematica della fattispecie di "maltrattamento di animali"(allora vigente) tra quelle "concernenti la polizia dei costumi", rimaneva quella della protezione del sentimento, seppur mutato e affinatosi, nei loro confronti. La novella n. 189 del 2004 non cambia nella sostanza tale prospettiva. Infatti, nonostante la disposizione d’importantissime innovazioni, quali la previsione della maggior parte delle fattispecie perpetrabili a danno degli animali come delitti e l’introduzione di alcuni nuovi reati senza dubbio capaci di assicurare una tutela più ampia e comprensiva agli animali stessi, l’ottica di tutela di matrice antropocentrica non pare tuttavia, nemmeno a oggi, cambiata. In forza della collocazione sistematica del Titolo IX bis subito dopo il Titolo IX dedicato ai delitti contro la moralità pubblica e al buon costume e prima del Titolo XI destinato alla tutela della famiglia, e soprattutto dell’inscriptio del Titolo "Dei delitti contro il sentimento per gli animali", il bene giuridico enucleato ufficialmente nel codice appare tutt’ora il "sentimento per gli animali". Tuttavia il valore immanente delle bestie, o perlomeno di quelle dal nostro punto di vista più evolute, pur non essendo stato assunto dal legislatore come autonomo bene giuridico di categoria, sembra serpeggiare come consapevolezza alla base di quel sentimento effettivamente tutelato dalle norme di cui si discute, tanto da rendere il sentimento stesso interpretabile in modo parzialmente diverso e più ampio rispetto al passato. Ai tempi dell’emanazione del codice Rocco, infatti, esso pareva ledibile principalmente attraverso condotte manifestamente crudeli o raccapriccianti capaci di offendere una compartecipazione di tipo soprattutto emotivo-sentimentalistico alla sorte dell’animale. Oggi, viceversa, in forza anche delle scoperte di matrice scientifica cui si faceva cenno, tale sentimento pare poggiare altresì sulla base di un oggettivo riconoscimento di creature complesse, dotate di dignità in quanto esseri viventi e portatrici di leggi biologiche, seppur peculiari, spesso simili alle nostre. Queste recenti consapevolezze che contraddistinguono il “nuovo sentimento per gli animali” fanno sì che questo stesso possa essere offeso non solo da manifestazioni di sguaiata brutalità nei loro confronti, ma anche ogniqualvolta il sacrificio della vita o del benessere dell’animale non appaia strettamente necessario per un fine umano considerato lecito.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/149811
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