La tesi è costituita dallo studio dei frammenti del Dis Exapaton di Menandro, dei quali si offre testo, apparato critico, traduzione e commento. Un prima parte è dedicata alla fortuna dell’autore e alla storia della sua riscoperta (pagg. 3-21): a una presentazione dei papiri più significativi (in particolare P.Cair. J.E. inv. 43227, il codice Bodmer e P.Sorb. + 72 + 2272 + 2273), segue una sezione dedicata alla tradizione dell’autore nella scuola, ambito nel quale ebbe enorme diffusione, e una dedicata alla tradizione letteraria del “Menandro morale”, con particolare riferimento a Plutarco e alle raccolte gnomologiche di età tardo antica. Un paragrafo è poi dedicato all’importanza della tradizione iconografica dell’autore, con riferimento ai mosaici e agli affreschi rappresentanti scene tratte dalle sue commedie. Segue un breve paragrafo dedicato alle iscrizioni, che testimoniano la durata dell’apprezzamento per le commedie di Menandro, che continuarono ad essere rappresentante anche dopo la sua morte. La sezione successiva, “Il Medioevo di Menandro”, indaga le ragioni per le quali un autore di così vasta fortuna sia andato perduto. Conclude questa prima parte una sezione dedicata alla tradizione del Dis Exapaton e alle sue edizioni critiche. Una seconda parte è dedicata all’analisi dei due frammenti di tradizione diretta che conservano la commedia, P.IFAO 337 e P.Oxy. 4407 (pagg. 22-102). P.IFAO 337, edito da Boyaval nel 1970, è un frammento papiraceo proveniente da una raccolta di hypotheseis menandree datata al II sec. d.C., che conserva la fine di una hypothesis, probabilmente quella del Demiurgos, seguita dal titolo e dal primo verso del Dis Exapaton. P.Oxy. 4407, edito da Handley integralmente nel 1997, è invece un papiro del III sec. d.C., e costituisce il principale testimone della commedia, di cui conserva 113 versi dalla parte centrale dell’opera. I versi conservati da P.Oxy. 4407 hanno permesso un puntuale confronto con le Bacchides di Plauto, che costituiscono la rielaborazione latina dell’opera di Menandro. Una terza parte del lavoro (pagg. 103-125) è dedicata a quattro brevi frammenti di tradizione indiretta, conservati soprattutto dai lessici bizantini, per i quali si è immaginato il contesto di appartenenza, grazie al confronto con le Bacchides di Plauto. Una quarta parte è costituita da un tentativo di ricostruzione della commedia (pagg. 126-139): si propone un ordine di successione dei frammenti, dei quali viene ipotizzata anche l’appartenenza a uno specifico atto della commedia, di nuovo grazie alla guida offerta dalla commedia di Plauto. Un ultimo capitolo (pagg.140-187) è dedicato all’analisi di nove frammenti, tre di tradizione diretta e sei di tradizione indiretta, per i quali è stata da alcuni autori suggerita l’attribuzione al Dis Exapaton. I frammenti di tradizione diretta sono conservati da tre papiri: P.Ant. 122, edito da Barns nel 1967, datato al III sec. d.C.; P.Köln 203 + P.Köln 243 + Pap.Mich. 6950, i primi due editi da Maresch rispettivamente nel 1985 e nel 1987, l’ultimo da Nünlist nel 1993, datati al III sec. a.C.; P.Oxy. 4093, edito da Handley nel 1995, datato tra II e III sec. d.C. I frammenti di tradizione indiretta sono conservati da un insieme eterogeneo di fonti, tra cui Filone d’Alessandria, Plutarco, Frinico, Galeno e Stobeo. Concludono il lavoro le tavole di P.IFAO 337 e P.Oxy. 4407 (pagg. 188-190) e la bibliografia (pagg. 191-224).
I frammenti del Dis Exapaton di Menandro
SARDELLI, LUCA
2018
Abstract
La tesi è costituita dallo studio dei frammenti del Dis Exapaton di Menandro, dei quali si offre testo, apparato critico, traduzione e commento. Un prima parte è dedicata alla fortuna dell’autore e alla storia della sua riscoperta (pagg. 3-21): a una presentazione dei papiri più significativi (in particolare P.Cair. J.E. inv. 43227, il codice Bodmer e P.Sorb. + 72 + 2272 + 2273), segue una sezione dedicata alla tradizione dell’autore nella scuola, ambito nel quale ebbe enorme diffusione, e una dedicata alla tradizione letteraria del “Menandro morale”, con particolare riferimento a Plutarco e alle raccolte gnomologiche di età tardo antica. Un paragrafo è poi dedicato all’importanza della tradizione iconografica dell’autore, con riferimento ai mosaici e agli affreschi rappresentanti scene tratte dalle sue commedie. Segue un breve paragrafo dedicato alle iscrizioni, che testimoniano la durata dell’apprezzamento per le commedie di Menandro, che continuarono ad essere rappresentante anche dopo la sua morte. La sezione successiva, “Il Medioevo di Menandro”, indaga le ragioni per le quali un autore di così vasta fortuna sia andato perduto. Conclude questa prima parte una sezione dedicata alla tradizione del Dis Exapaton e alle sue edizioni critiche. Una seconda parte è dedicata all’analisi dei due frammenti di tradizione diretta che conservano la commedia, P.IFAO 337 e P.Oxy. 4407 (pagg. 22-102). P.IFAO 337, edito da Boyaval nel 1970, è un frammento papiraceo proveniente da una raccolta di hypotheseis menandree datata al II sec. d.C., che conserva la fine di una hypothesis, probabilmente quella del Demiurgos, seguita dal titolo e dal primo verso del Dis Exapaton. P.Oxy. 4407, edito da Handley integralmente nel 1997, è invece un papiro del III sec. d.C., e costituisce il principale testimone della commedia, di cui conserva 113 versi dalla parte centrale dell’opera. I versi conservati da P.Oxy. 4407 hanno permesso un puntuale confronto con le Bacchides di Plauto, che costituiscono la rielaborazione latina dell’opera di Menandro. Una terza parte del lavoro (pagg. 103-125) è dedicata a quattro brevi frammenti di tradizione indiretta, conservati soprattutto dai lessici bizantini, per i quali si è immaginato il contesto di appartenenza, grazie al confronto con le Bacchides di Plauto. Una quarta parte è costituita da un tentativo di ricostruzione della commedia (pagg. 126-139): si propone un ordine di successione dei frammenti, dei quali viene ipotizzata anche l’appartenenza a uno specifico atto della commedia, di nuovo grazie alla guida offerta dalla commedia di Plauto. Un ultimo capitolo (pagg.140-187) è dedicato all’analisi di nove frammenti, tre di tradizione diretta e sei di tradizione indiretta, per i quali è stata da alcuni autori suggerita l’attribuzione al Dis Exapaton. I frammenti di tradizione diretta sono conservati da tre papiri: P.Ant. 122, edito da Barns nel 1967, datato al III sec. d.C.; P.Köln 203 + P.Köln 243 + Pap.Mich. 6950, i primi due editi da Maresch rispettivamente nel 1985 e nel 1987, l’ultimo da Nünlist nel 1993, datati al III sec. a.C.; P.Oxy. 4093, edito da Handley nel 1995, datato tra II e III sec. d.C. I frammenti di tradizione indiretta sono conservati da un insieme eterogeneo di fonti, tra cui Filone d’Alessandria, Plutarco, Frinico, Galeno e Stobeo. Concludono il lavoro le tavole di P.IFAO 337 e P.Oxy. 4407 (pagg. 188-190) e la bibliografia (pagg. 191-224).File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/150414
URN:NBN:IT:UNIPI-150414