Nel 1990, con la pubblicazione delle opere Io venditore di elefanti del senegalese Pap Khouma e Immigrato del tunisino Salah Methnani s'inaugurava in suolo italiano una nuova stagione letteraria che, richiamando esperienze analoghe in altri paesi, soprattutto europei, venne chiamata letteratura della migrazione o letteratura migrante. Da allora una vivace ma incostante attività recensoria è venuta sviluppandosi dalla parte della stampa periodica, che si è dovuta confrontare con un filone letterario che non aveva precedenti nel paese, fatta eccezione alla produzione degli emigrati italiani all'estero sulla quale tuttavia non esiste a tutt'oggi una grande varietà di studi. L'intervento di questo sguardo “altro” nel “mondo letterario italiano” è stato raccontato in modi diversi nella stampa periodica, che ha colto sin dall'inizio, e cioè sin dai primissimi anni '90, il segnale “che qualcosa di importante sta accadendo”. La prima parte della tesi riguarda la messa a fuoco di questo nuovo fenomeno letterario da un punto di vista storico-critico; in questo modo abbiamo proceduto, in modo assolutamente inedito per quanto riguarda la critica della letteratura della migrazione, allo spoglio sistematico dei principali quotidiani italiani e di un settimanale («Il Corriere della Sera», «Il Manifesto», «L'Unità», «La Repubblica» - compreso l'inserto «Il Venerdì di Repubblica»-, «La Stampa», «Il Sole 24 ore», «L'Espresso») e di due periodici letterari («L'Indice dei libri del mese» e «Pulp Libri») tra gli anni 1990-2006 e delle recensioni ivi apparse, che permettesse una visione d'insieme utile a stabilire, in primo luogo, un punto di partenza per la comprensione e analisi del fenomeno complessivamente e in secondo luogo, una mappatura degli autori, delle problematiche e dei modi in cui viene intesa questa produzione al momento della sua manifestazione nel tessuto socio-culturale. Lo spoglio della critica sulla letteratura della migrazione nell'arco temporale compreso tra il 1990 e il 2006, benché eterogeneo e refrattario a qualsiasi tentativo di inquadramento in una cornice unica, sia per descrizione, valutazione, commento, approfondimento critico, ha tuttavia fatto emergere un dato comune: la letteratura della migrazione è percepita come un segnale di cambiamento nella letteratura italiana. Questa prospettiva, non sempre intesa come immediata, viene talvolta delegata alla seconda generazione, che costituisce tuttora un punto di dibattito tra critici: "È ancora presto per vedere un My beautiful laundrette indo-emiliano (...) bisognerà aspettare la seconda generazione". Parallelamente si è potuto verificare in che modo la critica accademica abbia recepito il fenomeno, nello stesso arco temporale indicato, e quali sono stati gli standard di valutazione nell'identificare questa nuova zona letteraria della letteratura italiana, come l'ha chiamata Armando Gnisci. Gli esiti sono variabili ma nel complesso indicano la ripresa di alcuni degli aspetti specifici già oggetto di riflessioni sulla letteratura della migrazione (aspetto linguistico, comunicativo, originalità) nella stampa periodica, ma pare evidente la difficoltà di racchiudere i testi scritti dai migranti in un'unica cornice, dove far confluire i due aspetti principali della questione, e cioè il suo essere letteratura, di per sé problematico, e la sua origine nel mondo immigratorio, che tende a limitare la sua ricezione e diffusione. Il percorso critico intrapreso dalla stampa periodica ha sin dall'inizio cercato di cogliere gli aspetti salienti del fenomeno che tuttavia non è stato recepito stabilmente come letterario; così le opere sono state associate maggiormente a tre grandi gruppi: il testimoniale-biografico, il socio-antropologico e l'interculturale. Inoltre, l'assenza di parametri e riferimenti ha portato i recensori ad un paragone con la letteratura postcoloniale, particolarmente quella fiorente in Francia e Inghilterra, e ai suoi epigoni principali, citati con grande frequenza (Hanif Kureish, Salman Rushdie, Tahar Ben Jelloun) e eletti a modelli da imitare sia per la qualità della produzione, sia per il ruolo occupato sulla scena letteraria del paese d'immigrazione. Il quadro complessivo delle recensioni pone diverse questioni pratiche e teoriche che attivano una descrizione di un fenomeno nel suo farsi, puntando l'attenzione su alcuni dei suoi snodi principali (terminologia, coautorità, appartenenza/questioni di genere/letterarietà, dimensione autobiografica, l'utilizzo della lingua italiana come lingua letteraria) e relativa importanza nel definire quella che viene considerata “la letteratura salvata dagli stranieri” . Benché nella storia della ricezione alla letteratura della migrazione in Italia, i termini di paragone siano perlopiù gli esponenti principali delle letterature anglofona e francofona, vengono subito evidenziati dalla critica alcuni dei modi che distinguono il fenomeno italiano, in primo luogo, da quello postcoloniale di matrice inglese o francese e in secondo luogo dalla letteratura della migrazione tedesca o olandese, con le quali condivide tuttavia alcuni aspetti formali e tematiche. La lettura dei numerosi articoli giornalistici, sulle singole opere o sul fenomeno globale ha fatto emergere aspetti rilevanti per la comprensione di questa nuova zona letteraria, della sua origine e percorso evolutivo, talvolta in modo marginale, ma anche complessivamente. La produzione degli scrittori migranti si articola in più tempi ed è caratterizzata da un processo evolutivo: si può in questo caso parlare di fasi. Nei primi anni le opere della letteratura della migrazione erano uno strumento di comunicazione con la società di accoglienza: “queste testimonianze sono state le prime rappresentazioni di desideri, progetti, aspirazioni, valori diversi e quindi di esistenze diverse che negavano lo stereotipo del comune venditore, del clandestino” . Nel giro di pochi anni, il fenomeno si allenta, ma la letteratura migrante continua a circolare tramite piccole case editrici, concorsi e riviste. Oggi è una realtà in crescita sostenuta da un'arricchente “diversità” capace di offrire nuovi orizzonti all'immaginario, materiali e strumenti capaci di portare la letteratura a soluzioni inedite, ma vive ancora incasellata in certi parametri che mettono in evidenza la sua definizione come letteratura “altra” e rimane spesso vincolata dalla cristallizzazione di certi modelli, come la tendenza ad accreditare come scelta tematica la descrizione letteraria delle esperienze migratorie con i modi della prosa autobiografica e l'“effusione lirica di sentimenti individuali” ; gli scrittori, allo stesso modo, sono vincolati dall'etichetta mentre invece aspirano alla legittimazione delle proprie aspirazioni artistiche: “chi scrive vive sì l'esperienza della migrazione ma vuole essere riconosciuto come intellettuale e scrittore nel senso pieno, non più solo come fenomeno di libreria esotico e compassionevole” . Nonostante sia oggi un fenomeno in crescita che entra un po' alla volta nella letteratura italiana, come hanno espresso Carola Susani e Mario Desiati nell'introduzione al numero monografico di «Nuovi argomenti» (29, 2005) dedicato alla letteratura della migrazione, essa resta oggi una letteratura "altra" o la letteratura dell'altro. La seconda parte della tesi tratta invece del tema dell'identità che nella letteratura della migrazione si sviluppa in motivi diversificati che con questo nucleo tematico maggioritario hanno un legame stretto, come il luogo, la lingua, la nostalgia e l'ibridismo-il meticciato. La mediazione fra passato e presente genera una revisione continua delle nozioni di luogo e di appartenenza che i processi di dislocamento inesorabilmente provocano. In questo senso, è interessante notare come la scoperta dell'altro in Italia avvenga tramite un processo simile a quello che Tzvetan Todorov descrisse ne La conquista dell'America : l'alterità, come per gli indigeni dell'America, viene allo stesso tempo rivelata e respinta. Colombo, in modo simile a quello che avviene in alcuni testi chiave della letteratura della migrazione, riconosce due forme di concepire l'alterità; la prima vede l'altro come uguale, il che porta ad un atteggiamento di assimilazione e alla proiezione dei propri valori sull'altro; la seconda parte dalla differenza, immediatamente tradotta in termini di superiorità e inferiorità, e rifiuta l'esistenza di un'altra sostanza umana che non sia soltanto uno stato imperfetto del sé. Queste due figure basiche dell'alterità sono basate, secondo Todorov, sull'identificazione dei propri valori con i valori in generale e dell'io con l'universo. Questa stessa ambiguità è alla base di alcune opere che appartengono alla letteratura della migrazione e che abbiamo avuto occasione di esaminare in questa seconda parte, in cui il desiderio di assimilare l'altro e di trasformarlo riguarda anche la questione del nome, ad esempio: in questo modo, i nomi stranieri vengono trasformati in nomi italiani. Si tratta di una strategia che Zygmunt Bauman riconosce come antropofagica, e cioè rendere simile il dissimile, che si contrappone alla strategia antropoemica, la quale determina l'esclusione dell'altro. Per preservare le caratteristiche fondanti del gruppo (controllo del territorio, cultura, tradizioni), l'autoctono tende a resistere all'alterità, a partire da un meccanismo di definizione e di rafforzamento dell'identità che rivela i principi concepiti da Todorov sull'ambiguità tra rivelazione e respingimento; nel differenziarsi dall'altro, il gruppo autoctono prende coscienza della propria identità. La differenza diventa perciò una frontiera impermeabile. È inoltre da osservare, alla luce delle teorie di Stuart Hall, come nelle opere degli scrittori migranti le identità non possano essere concepite come fisse o stabili per via delle conseguenze della globalizzazione; la letteratura della migrazione diventa un elemento dinamico in relazione al meccanismo delle identità in formazione di Stuart Hall, il quale sottolinea che l'articolazione tra il locale e il globale ha effetti diversi sui processi identitari: il primo è l'erosione delle identità nazionali che segue l'omogenizzazione culturale; il secondo è invece il rafforzamento o la resistenza delle identità locali; il terzo infine è l'ibridazione come sviluppo di nuove identità e di nuove posizioni di identificazione; sono emblematici in questo senso i racconti di Igiaba Scego (Salsicce, 2006) e di Laila Wadia (Curry di pollo, 2006) e il romanzo di Amara Lakhous (Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, 2006). Nel cercare di inserirsi nella società di arrivo o di accoglienza, il migrante deve fare i conti con la propria storia (tradizioni, modi di vivere, lingua, religione, strutture mentali, sociali, ecc.), naturalmente diverse (in qualche caso, radicalmente diverse) nel luogo d'arrivo. Questo processo, di grande complessità, può essere alla base di conflitti, personali o sociali, per il migrante. Ma non solo, esso può dare origine a fenomeni di assimilazione, rifiuto, esclusione, acculturazione, ma anche di ibridazione, meticciato (non solo razziale, ma anche culturale, in senso ampio, e linguistico) come nei romanzi e racconti che abbiamo avuto occasione di esaminare nella seconda parte e in particolar modo, in quelli di Amara Lakhous, Igiaba Scego, Laila Wadia, Salwa Salem, Christiana de Caldas Brito e Nassera Chohra. La relazione di alterità che determina la concezione del migrante come l'altro si riflette nella relazione tra la letteratura della migrazione e la letteratura italiana. La presenza della prima impone una rivalutazione e una ridefinizione dei confini della seconda e una articolazione maggiore tra il centro e la periferia. La terza parte della tesi è quindi dedicata a chiarire il ruolo della letteratura migrante sulla scena letteraria nazionale e come essa viene assorbita dalla tradizione letteraria italiana, forte di un nobilissimo passato ma per molti versi in crisi e per tradizione scarsamente radicata a livello popolare. Questo approccio è pressoché inedito nello studio della letteratura della migrazione: si tratta di un ambito problematico non ancora approfondito. Per cercare di capire il problema, siamo partiti da un quadro di riferimento teorico sugli gli snodi della questione canone, gli elementi fondanti, i criteri, i meccanismi e i modi di canonizzazione delle opere letterarie nel periodo novecentesco/contemporaneo attraverso le riflessioni di studiosi italiani che hanno discusso del problema in anni recenti (a partire dalla fine degli anni '90) per passare, in un secondo momento, alla discussione sulla posizione della letteratura della migrazione nella letteratura italiana oggi. L'applicazione di una etichetta aggiuntiva alla letteratura prodotta dagli scrittori migranti nella lingua e nel territorio della nazione costituisce un parametro divisore tra questa letteratura e la letteratura mainstream, rilegandola pertanto ad una posizione periferica e marginale. Gian Paolo Biasin si interroga sulla problematica definizione di ciò che è letterario e ciò che non lo è e del difficile consenso in relazione ai criteri da adottare, agli assi di riferimento, agli indirizzi e ai percorsi da seguire quando si tratta di stabilire il canone: "quand’è che un dato genere diventa letterario e “canonizzato”, e quando invece è marginale, popolare, fuori dal canone?" La questione proposta da Biasin riflette le strategie problematiche della inclusione della letteratura della migrazione nell'universo letterario nazionale, con il dislocamento del fuoco alle zone marginali o periferiche della letteratura e punta alla investigazione delle tensioni tra il centro e la periferia. La critica ha spesso associato le opere degli scrittori migranti ad un contesto interculturale e ad un prisma etnico (e perciò "altro"), confinandole in categorie extraletterarie, il che rende opaca o addirittura invisibile la possibilità di una valutazione letteraria di tali opere. Non di rado esse ricevono un trattamento critico isolato, dissociato dal quadro generale della letteratura italiana contemporanea e senza un confronto critico con la tradizione nazionale, rimanendo perciò vincolate a certi modelli stereotipati ed omogeneizzanti che risalgono soprattutto alle prime opere pubblicate, nonostante rappresentino uno snodo vitale (tematico, immaginario, formale, stilistico, linguistico) nella concezione di una letteratura nazionale che aderisce alla contemporaneità, nonché una sfida all'impostazione di un canone basato su un progetto nazionale. Diventa fondamentale ripensare il valore e l'influenza della letteratura della migrazione nel quadro di una letteratura nazionale, mettendo al contempo in evidenza la definizione problematica del proprio spazio e la destabilizzazione dei confini. La complessità della istituzione letteraria in età contemporanea non sembra giustificare la definizione di un canone unitario fondato sulla specificità italiana quando, come afferma Homi Bhabha, il concetto omogeneo di cultura nazionale, la contigua trasmissione delle tradizioni storiche e le comunità etniche organiche vivono un profondo processo di ridefinizione . Occorre infine superare certi modelli etnocentrici in favore di un esercizio di delocalizzazione che ammetta la valutazione della qualità letteraria di un'opera che non faccia parte di una concezione essenzialmente nazionale di canone: si tratta cioè di evitare l'istituzionalizzazione della differenza in favore di una riflessione plurale più fedele alla realtà storico-letteraria.
La conquista dell'Italia e la questione dell'altro. Letteratura, migrazione e canone nell'Italia attuale
2010
Abstract
Nel 1990, con la pubblicazione delle opere Io venditore di elefanti del senegalese Pap Khouma e Immigrato del tunisino Salah Methnani s'inaugurava in suolo italiano una nuova stagione letteraria che, richiamando esperienze analoghe in altri paesi, soprattutto europei, venne chiamata letteratura della migrazione o letteratura migrante. Da allora una vivace ma incostante attività recensoria è venuta sviluppandosi dalla parte della stampa periodica, che si è dovuta confrontare con un filone letterario che non aveva precedenti nel paese, fatta eccezione alla produzione degli emigrati italiani all'estero sulla quale tuttavia non esiste a tutt'oggi una grande varietà di studi. L'intervento di questo sguardo “altro” nel “mondo letterario italiano” è stato raccontato in modi diversi nella stampa periodica, che ha colto sin dall'inizio, e cioè sin dai primissimi anni '90, il segnale “che qualcosa di importante sta accadendo”. La prima parte della tesi riguarda la messa a fuoco di questo nuovo fenomeno letterario da un punto di vista storico-critico; in questo modo abbiamo proceduto, in modo assolutamente inedito per quanto riguarda la critica della letteratura della migrazione, allo spoglio sistematico dei principali quotidiani italiani e di un settimanale («Il Corriere della Sera», «Il Manifesto», «L'Unità», «La Repubblica» - compreso l'inserto «Il Venerdì di Repubblica»-, «La Stampa», «Il Sole 24 ore», «L'Espresso») e di due periodici letterari («L'Indice dei libri del mese» e «Pulp Libri») tra gli anni 1990-2006 e delle recensioni ivi apparse, che permettesse una visione d'insieme utile a stabilire, in primo luogo, un punto di partenza per la comprensione e analisi del fenomeno complessivamente e in secondo luogo, una mappatura degli autori, delle problematiche e dei modi in cui viene intesa questa produzione al momento della sua manifestazione nel tessuto socio-culturale. Lo spoglio della critica sulla letteratura della migrazione nell'arco temporale compreso tra il 1990 e il 2006, benché eterogeneo e refrattario a qualsiasi tentativo di inquadramento in una cornice unica, sia per descrizione, valutazione, commento, approfondimento critico, ha tuttavia fatto emergere un dato comune: la letteratura della migrazione è percepita come un segnale di cambiamento nella letteratura italiana. Questa prospettiva, non sempre intesa come immediata, viene talvolta delegata alla seconda generazione, che costituisce tuttora un punto di dibattito tra critici: "È ancora presto per vedere un My beautiful laundrette indo-emiliano (...) bisognerà aspettare la seconda generazione". Parallelamente si è potuto verificare in che modo la critica accademica abbia recepito il fenomeno, nello stesso arco temporale indicato, e quali sono stati gli standard di valutazione nell'identificare questa nuova zona letteraria della letteratura italiana, come l'ha chiamata Armando Gnisci. Gli esiti sono variabili ma nel complesso indicano la ripresa di alcuni degli aspetti specifici già oggetto di riflessioni sulla letteratura della migrazione (aspetto linguistico, comunicativo, originalità) nella stampa periodica, ma pare evidente la difficoltà di racchiudere i testi scritti dai migranti in un'unica cornice, dove far confluire i due aspetti principali della questione, e cioè il suo essere letteratura, di per sé problematico, e la sua origine nel mondo immigratorio, che tende a limitare la sua ricezione e diffusione. Il percorso critico intrapreso dalla stampa periodica ha sin dall'inizio cercato di cogliere gli aspetti salienti del fenomeno che tuttavia non è stato recepito stabilmente come letterario; così le opere sono state associate maggiormente a tre grandi gruppi: il testimoniale-biografico, il socio-antropologico e l'interculturale. Inoltre, l'assenza di parametri e riferimenti ha portato i recensori ad un paragone con la letteratura postcoloniale, particolarmente quella fiorente in Francia e Inghilterra, e ai suoi epigoni principali, citati con grande frequenza (Hanif Kureish, Salman Rushdie, Tahar Ben Jelloun) e eletti a modelli da imitare sia per la qualità della produzione, sia per il ruolo occupato sulla scena letteraria del paese d'immigrazione. Il quadro complessivo delle recensioni pone diverse questioni pratiche e teoriche che attivano una descrizione di un fenomeno nel suo farsi, puntando l'attenzione su alcuni dei suoi snodi principali (terminologia, coautorità, appartenenza/questioni di genere/letterarietà, dimensione autobiografica, l'utilizzo della lingua italiana come lingua letteraria) e relativa importanza nel definire quella che viene considerata “la letteratura salvata dagli stranieri” . Benché nella storia della ricezione alla letteratura della migrazione in Italia, i termini di paragone siano perlopiù gli esponenti principali delle letterature anglofona e francofona, vengono subito evidenziati dalla critica alcuni dei modi che distinguono il fenomeno italiano, in primo luogo, da quello postcoloniale di matrice inglese o francese e in secondo luogo dalla letteratura della migrazione tedesca o olandese, con le quali condivide tuttavia alcuni aspetti formali e tematiche. La lettura dei numerosi articoli giornalistici, sulle singole opere o sul fenomeno globale ha fatto emergere aspetti rilevanti per la comprensione di questa nuova zona letteraria, della sua origine e percorso evolutivo, talvolta in modo marginale, ma anche complessivamente. La produzione degli scrittori migranti si articola in più tempi ed è caratterizzata da un processo evolutivo: si può in questo caso parlare di fasi. Nei primi anni le opere della letteratura della migrazione erano uno strumento di comunicazione con la società di accoglienza: “queste testimonianze sono state le prime rappresentazioni di desideri, progetti, aspirazioni, valori diversi e quindi di esistenze diverse che negavano lo stereotipo del comune venditore, del clandestino” . Nel giro di pochi anni, il fenomeno si allenta, ma la letteratura migrante continua a circolare tramite piccole case editrici, concorsi e riviste. Oggi è una realtà in crescita sostenuta da un'arricchente “diversità” capace di offrire nuovi orizzonti all'immaginario, materiali e strumenti capaci di portare la letteratura a soluzioni inedite, ma vive ancora incasellata in certi parametri che mettono in evidenza la sua definizione come letteratura “altra” e rimane spesso vincolata dalla cristallizzazione di certi modelli, come la tendenza ad accreditare come scelta tematica la descrizione letteraria delle esperienze migratorie con i modi della prosa autobiografica e l'“effusione lirica di sentimenti individuali” ; gli scrittori, allo stesso modo, sono vincolati dall'etichetta mentre invece aspirano alla legittimazione delle proprie aspirazioni artistiche: “chi scrive vive sì l'esperienza della migrazione ma vuole essere riconosciuto come intellettuale e scrittore nel senso pieno, non più solo come fenomeno di libreria esotico e compassionevole” . Nonostante sia oggi un fenomeno in crescita che entra un po' alla volta nella letteratura italiana, come hanno espresso Carola Susani e Mario Desiati nell'introduzione al numero monografico di «Nuovi argomenti» (29, 2005) dedicato alla letteratura della migrazione, essa resta oggi una letteratura "altra" o la letteratura dell'altro. La seconda parte della tesi tratta invece del tema dell'identità che nella letteratura della migrazione si sviluppa in motivi diversificati che con questo nucleo tematico maggioritario hanno un legame stretto, come il luogo, la lingua, la nostalgia e l'ibridismo-il meticciato. La mediazione fra passato e presente genera una revisione continua delle nozioni di luogo e di appartenenza che i processi di dislocamento inesorabilmente provocano. In questo senso, è interessante notare come la scoperta dell'altro in Italia avvenga tramite un processo simile a quello che Tzvetan Todorov descrisse ne La conquista dell'America : l'alterità, come per gli indigeni dell'America, viene allo stesso tempo rivelata e respinta. Colombo, in modo simile a quello che avviene in alcuni testi chiave della letteratura della migrazione, riconosce due forme di concepire l'alterità; la prima vede l'altro come uguale, il che porta ad un atteggiamento di assimilazione e alla proiezione dei propri valori sull'altro; la seconda parte dalla differenza, immediatamente tradotta in termini di superiorità e inferiorità, e rifiuta l'esistenza di un'altra sostanza umana che non sia soltanto uno stato imperfetto del sé. Queste due figure basiche dell'alterità sono basate, secondo Todorov, sull'identificazione dei propri valori con i valori in generale e dell'io con l'universo. Questa stessa ambiguità è alla base di alcune opere che appartengono alla letteratura della migrazione e che abbiamo avuto occasione di esaminare in questa seconda parte, in cui il desiderio di assimilare l'altro e di trasformarlo riguarda anche la questione del nome, ad esempio: in questo modo, i nomi stranieri vengono trasformati in nomi italiani. Si tratta di una strategia che Zygmunt Bauman riconosce come antropofagica, e cioè rendere simile il dissimile, che si contrappone alla strategia antropoemica, la quale determina l'esclusione dell'altro. Per preservare le caratteristiche fondanti del gruppo (controllo del territorio, cultura, tradizioni), l'autoctono tende a resistere all'alterità, a partire da un meccanismo di definizione e di rafforzamento dell'identità che rivela i principi concepiti da Todorov sull'ambiguità tra rivelazione e respingimento; nel differenziarsi dall'altro, il gruppo autoctono prende coscienza della propria identità. La differenza diventa perciò una frontiera impermeabile. È inoltre da osservare, alla luce delle teorie di Stuart Hall, come nelle opere degli scrittori migranti le identità non possano essere concepite come fisse o stabili per via delle conseguenze della globalizzazione; la letteratura della migrazione diventa un elemento dinamico in relazione al meccanismo delle identità in formazione di Stuart Hall, il quale sottolinea che l'articolazione tra il locale e il globale ha effetti diversi sui processi identitari: il primo è l'erosione delle identità nazionali che segue l'omogenizzazione culturale; il secondo è invece il rafforzamento o la resistenza delle identità locali; il terzo infine è l'ibridazione come sviluppo di nuove identità e di nuove posizioni di identificazione; sono emblematici in questo senso i racconti di Igiaba Scego (Salsicce, 2006) e di Laila Wadia (Curry di pollo, 2006) e il romanzo di Amara Lakhous (Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, 2006). Nel cercare di inserirsi nella società di arrivo o di accoglienza, il migrante deve fare i conti con la propria storia (tradizioni, modi di vivere, lingua, religione, strutture mentali, sociali, ecc.), naturalmente diverse (in qualche caso, radicalmente diverse) nel luogo d'arrivo. Questo processo, di grande complessità, può essere alla base di conflitti, personali o sociali, per il migrante. Ma non solo, esso può dare origine a fenomeni di assimilazione, rifiuto, esclusione, acculturazione, ma anche di ibridazione, meticciato (non solo razziale, ma anche culturale, in senso ampio, e linguistico) come nei romanzi e racconti che abbiamo avuto occasione di esaminare nella seconda parte e in particolar modo, in quelli di Amara Lakhous, Igiaba Scego, Laila Wadia, Salwa Salem, Christiana de Caldas Brito e Nassera Chohra. La relazione di alterità che determina la concezione del migrante come l'altro si riflette nella relazione tra la letteratura della migrazione e la letteratura italiana. La presenza della prima impone una rivalutazione e una ridefinizione dei confini della seconda e una articolazione maggiore tra il centro e la periferia. La terza parte della tesi è quindi dedicata a chiarire il ruolo della letteratura migrante sulla scena letteraria nazionale e come essa viene assorbita dalla tradizione letteraria italiana, forte di un nobilissimo passato ma per molti versi in crisi e per tradizione scarsamente radicata a livello popolare. Questo approccio è pressoché inedito nello studio della letteratura della migrazione: si tratta di un ambito problematico non ancora approfondito. Per cercare di capire il problema, siamo partiti da un quadro di riferimento teorico sugli gli snodi della questione canone, gli elementi fondanti, i criteri, i meccanismi e i modi di canonizzazione delle opere letterarie nel periodo novecentesco/contemporaneo attraverso le riflessioni di studiosi italiani che hanno discusso del problema in anni recenti (a partire dalla fine degli anni '90) per passare, in un secondo momento, alla discussione sulla posizione della letteratura della migrazione nella letteratura italiana oggi. L'applicazione di una etichetta aggiuntiva alla letteratura prodotta dagli scrittori migranti nella lingua e nel territorio della nazione costituisce un parametro divisore tra questa letteratura e la letteratura mainstream, rilegandola pertanto ad una posizione periferica e marginale. Gian Paolo Biasin si interroga sulla problematica definizione di ciò che è letterario e ciò che non lo è e del difficile consenso in relazione ai criteri da adottare, agli assi di riferimento, agli indirizzi e ai percorsi da seguire quando si tratta di stabilire il canone: "quand’è che un dato genere diventa letterario e “canonizzato”, e quando invece è marginale, popolare, fuori dal canone?" La questione proposta da Biasin riflette le strategie problematiche della inclusione della letteratura della migrazione nell'universo letterario nazionale, con il dislocamento del fuoco alle zone marginali o periferiche della letteratura e punta alla investigazione delle tensioni tra il centro e la periferia. La critica ha spesso associato le opere degli scrittori migranti ad un contesto interculturale e ad un prisma etnico (e perciò "altro"), confinandole in categorie extraletterarie, il che rende opaca o addirittura invisibile la possibilità di una valutazione letteraria di tali opere. Non di rado esse ricevono un trattamento critico isolato, dissociato dal quadro generale della letteratura italiana contemporanea e senza un confronto critico con la tradizione nazionale, rimanendo perciò vincolate a certi modelli stereotipati ed omogeneizzanti che risalgono soprattutto alle prime opere pubblicate, nonostante rappresentino uno snodo vitale (tematico, immaginario, formale, stilistico, linguistico) nella concezione di una letteratura nazionale che aderisce alla contemporaneità, nonché una sfida all'impostazione di un canone basato su un progetto nazionale. Diventa fondamentale ripensare il valore e l'influenza della letteratura della migrazione nel quadro di una letteratura nazionale, mettendo al contempo in evidenza la definizione problematica del proprio spazio e la destabilizzazione dei confini. La complessità della istituzione letteraria in età contemporanea non sembra giustificare la definizione di un canone unitario fondato sulla specificità italiana quando, come afferma Homi Bhabha, il concetto omogeneo di cultura nazionale, la contigua trasmissione delle tradizioni storiche e le comunità etniche organiche vivono un profondo processo di ridefinizione . Occorre infine superare certi modelli etnocentrici in favore di un esercizio di delocalizzazione che ammetta la valutazione della qualità letteraria di un'opera che non faccia parte di una concezione essenzialmente nazionale di canone: si tratta cioè di evitare l'istituzionalizzazione della differenza in favore di una riflessione plurale più fedele alla realtà storico-letteraria.File | Dimensione | Formato | |
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embargo fino al 23/03/2048
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