La seconda guerra nella Repubblica Democratica del Congo (1998-2003) e la crisi dello Stato congolese si situano in un contesto regionale particolarmente complesso in cui coabita una varietà di soggetti: Stati nazionali divisi da linee etniche che debordano oltreconfine e da faglie politiche che li rendono vulnerabili (Ruanda, Uganda, Burundi); governi alla perenne ricerca della stabilizzazione del potere (Angola) o di una proiezione della propria influenza in ambito regionale (Zimbabwe, Sudafrica); Stati mediatori (Libia, Gabon, Zambia, Tanzania, Botswana, Sudafrica); Stati intaccati dal conflitto (Ciad, Repubblica Centrafricana, Sudan); attori intervenienti non africani a vario titolo interessati o coinvolti nella crisi congolese (Stati Uniti, Francia, Belgio, Gran Bretagna); Capi di Stato ascesi al potere sull’onda di guerre civili o movimenti rivoluzionari e che pertanto si trovano nella condizione di difendere una struttura istituzionale in fase di costituzione e perciò fragile; gruppi ribelli antigovernativi di diversa provenienza nazionale ed etnica che mirano alla conquista del potere; signori della guerra a capo di veri e propri eserciti di bambini soldato o di piccole bande armate che sopravvivono ricorrendo alla violenza e allo sfruttamento delle risorse naturali del Congo e che hanno suddiviso la RDC in potentati militari, spesso con la protezione degli Stati confinanti o con accordi d’affari stretti con imprese private del settore minerario; sistemi criminali ramificati, in cui si sovrappongono gli interessi di compagnie e multinazionali occidentali; attori commerciali e finanziari che, approfittando del caos politico congolese, si insediano nelle zone ricche di risorse naturali traendo profitto da connivenze e scambi affaristico-militari; organizzazioni internazionali (ONU, OUA, SADC ) che hanno perso l’occasione di far valere il bene comune sul tornaconto personale. In questo quadro d’insieme, che dà cognizione della complessità del conflitto gli elementi strutturali che sono stati all’origine della guerra sono stati affiancati e in parte rimpiazzati dalle pretese e dalle domande di cui i vari attori si sono fatti portatori, complicando il quadro nazionale con dinamiche di scontro regionali e locali, di natura politica ed economica, indotte dall’esterno. Questi processi di lacerazione e questi plurimi meccanismi di conflittualità hanno determinato una disintegrazione del panorama politico-militare nel quinquennio di guerra e hanno sconvolto il sistema di alleanze in tutta la subregione, generando nuovi antagonismi e riconciliazioni inattese. La frammentazione a sua volta ha provocato un ripiegamento del conflitto su stesso che ha favorito una sua evoluzione indipendentemente dai progressi diplomatici raggiunti nel faticoso e lungo processo di pace. Il disordine che ha sconvolto l’intera regione centrafricana è stato trasformato dai variegati interessi dei diversi attori intervenuti nella guerra in strumento politico. Tuttavia la generale frammentazione del panorama di crisi, malgrado introduca un elemento di complessità e di disturbo, rende possibile riportare alla loro dimensione quei fattori di natura storica e contingente (rivalità etniche, diritto di cittadinanza, accesso alla terra) e di inquadrarli nella giusta prospettiva del conflitto: il perseguimento di obiettivi geopolitici e geoeconomici. La complessità del conflitto può essere meglio compresa se si isolano gli elementi interni che sono stati alla base delle dinamiche belliche (esclusione politica, marginalità socio-economica, violenza etnica, decadenza istituzionale, diritto alla terra e alla nazionalità) dagli elementi esterni che ne hanno determinato il corso (interventismo economico, interessi commerciali, obiettivi geopolitici, alleanze politiche, guerre civili, flussi di rifugiati). La guerra nella RDC ebbe una specifica razionalità economica e le innegabili cause politiche (sicurezza, instabilità dei paesi confinanti, protezione di una classe etnica, lotta per il potere tra fazioni rivali) sono state sopravanzate dalle ragioni economico-commerciali.

Repubblica Democratica del Congo. Anatomia di una guerra ciclica. Conflitti, attori e interessi nella seconda guerra congolese (1998-2003)

2008

Abstract

La seconda guerra nella Repubblica Democratica del Congo (1998-2003) e la crisi dello Stato congolese si situano in un contesto regionale particolarmente complesso in cui coabita una varietà di soggetti: Stati nazionali divisi da linee etniche che debordano oltreconfine e da faglie politiche che li rendono vulnerabili (Ruanda, Uganda, Burundi); governi alla perenne ricerca della stabilizzazione del potere (Angola) o di una proiezione della propria influenza in ambito regionale (Zimbabwe, Sudafrica); Stati mediatori (Libia, Gabon, Zambia, Tanzania, Botswana, Sudafrica); Stati intaccati dal conflitto (Ciad, Repubblica Centrafricana, Sudan); attori intervenienti non africani a vario titolo interessati o coinvolti nella crisi congolese (Stati Uniti, Francia, Belgio, Gran Bretagna); Capi di Stato ascesi al potere sull’onda di guerre civili o movimenti rivoluzionari e che pertanto si trovano nella condizione di difendere una struttura istituzionale in fase di costituzione e perciò fragile; gruppi ribelli antigovernativi di diversa provenienza nazionale ed etnica che mirano alla conquista del potere; signori della guerra a capo di veri e propri eserciti di bambini soldato o di piccole bande armate che sopravvivono ricorrendo alla violenza e allo sfruttamento delle risorse naturali del Congo e che hanno suddiviso la RDC in potentati militari, spesso con la protezione degli Stati confinanti o con accordi d’affari stretti con imprese private del settore minerario; sistemi criminali ramificati, in cui si sovrappongono gli interessi di compagnie e multinazionali occidentali; attori commerciali e finanziari che, approfittando del caos politico congolese, si insediano nelle zone ricche di risorse naturali traendo profitto da connivenze e scambi affaristico-militari; organizzazioni internazionali (ONU, OUA, SADC ) che hanno perso l’occasione di far valere il bene comune sul tornaconto personale. In questo quadro d’insieme, che dà cognizione della complessità del conflitto gli elementi strutturali che sono stati all’origine della guerra sono stati affiancati e in parte rimpiazzati dalle pretese e dalle domande di cui i vari attori si sono fatti portatori, complicando il quadro nazionale con dinamiche di scontro regionali e locali, di natura politica ed economica, indotte dall’esterno. Questi processi di lacerazione e questi plurimi meccanismi di conflittualità hanno determinato una disintegrazione del panorama politico-militare nel quinquennio di guerra e hanno sconvolto il sistema di alleanze in tutta la subregione, generando nuovi antagonismi e riconciliazioni inattese. La frammentazione a sua volta ha provocato un ripiegamento del conflitto su stesso che ha favorito una sua evoluzione indipendentemente dai progressi diplomatici raggiunti nel faticoso e lungo processo di pace. Il disordine che ha sconvolto l’intera regione centrafricana è stato trasformato dai variegati interessi dei diversi attori intervenuti nella guerra in strumento politico. Tuttavia la generale frammentazione del panorama di crisi, malgrado introduca un elemento di complessità e di disturbo, rende possibile riportare alla loro dimensione quei fattori di natura storica e contingente (rivalità etniche, diritto di cittadinanza, accesso alla terra) e di inquadrarli nella giusta prospettiva del conflitto: il perseguimento di obiettivi geopolitici e geoeconomici. La complessità del conflitto può essere meglio compresa se si isolano gli elementi interni che sono stati alla base delle dinamiche belliche (esclusione politica, marginalità socio-economica, violenza etnica, decadenza istituzionale, diritto alla terra e alla nazionalità) dagli elementi esterni che ne hanno determinato il corso (interventismo economico, interessi commerciali, obiettivi geopolitici, alleanze politiche, guerre civili, flussi di rifugiati). La guerra nella RDC ebbe una specifica razionalità economica e le innegabili cause politiche (sicurezza, instabilità dei paesi confinanti, protezione di una classe etnica, lotta per il potere tra fazioni rivali) sono state sopravanzate dalle ragioni economico-commerciali.
28-feb-2008
Italiano
Salvadorini, Vittorio A.
Università degli Studi di Pisa
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPI-151247