La richiesta di risarcimento per i danni all'ambiente viene spesso identificata e per l’entità delle lesioni apportate anche alle persone e per l’intento a volte doloso dell’agente, in chiave squisitamente processuale. Questo anche in ragione di fatti - valgano, anche per gli aspetti emotivi in essi compresi i casi ILVA, ETERNIT ed il naufragio della “Costa Concordia”- nei quali i risvolti di carattere penale acquistano, per la perdita di vite umane, necessariamente aspetto preponderante. La costituzione di parte civile del Ministero dell'Ambiente rappresenta pertanto l’unico strumento per giungere all’ottenimento, in forma risarcitoria, del danno ambientale. Eppure il nostro ordinamento - conformemente alla direttiva comunitaria che regola dal 2004 a livello sovranazionale l'intera materia – prevede un percorso accertativo e diretto del danno, totalmente di natura amministrativa ( abdicativo al diritto di azione in quanto il legislatore lo ha stabilito come alternativo),che si conclude con un provvedimento costituito da due distinte ordinanze, entrambe dotate di immediata esecutività. Nella relazione governativa di accompagnamento all’introduzione del Codice dell'Ambiente si enfatizzava proprio la realizzazione di un (nuovo)e diverso modello che, in alternativa all'azione civile anche in sede penale, prevede la forma dell'ordinanza –ingiunzione per il recupero in forma specifica nei confronti del diretto responsabile del danno, all'esito di una istruttoria condotta nelle varie fasi della procedimentalizzazione dell'attività amministrativa. Il potere coercitivo contenuto nella prima ordinanza è rafforzato dalla emanazione -in termini perentori- di una seconda ordinanza destinata alla riscossione in forma coattiva delle somme corrispondenti alle spese stimate nel corso dell'istruttoria per conseguire la riparazione specifica o in natura del danno a carico del soggetto che lo aveva causato. Considerando i tempi attuali della nostra giustizia il ricorso allo strumento amministrativo appare ad ogni effetto premiale. Nel corso del 2013 il legislatore, a seguito della procedura di infrazione n.2007/4679 avviata agli inizi del 2008 dalla Commissione europea ha rivisitato, di fatto riscrivendola dopo poco più di tre anni, l'intera disciplina del danno ambientale, introducendo da un lato il criterio di responsabilità oggettiva per le attività pericolose ,sopprimendo dall’altro ogni riferimento alle modalità di determinazione del risarcimento per equivalente patrimoniale. Si trattava , nello specifico, delle due più importanti censure contenute nella procedura di infrazione che la Commissione continuava a contestare al nostro Governo per la non corretta trasposizione nell’ordinamento delle direttiva comunitaria anche a seguito della prima modifica attuata nel 2009. Il legislatore infine, proprio per consentire l’attivazione del procedimento amministrativo rimasto sempre privo di operatività, dopo l’infruttuoso tentativo del 2009 ha demandato ad un nuovo decreto il compito di dettare criteri e metodi, anche di valutazione monetaria, per definire la portata delle misure di riparazione del danno. Rimane difficile, ad oltre un anno di distanza dall'entrata in vigore della Legge europea , chiedersi (e trovare soprattutto) logiche motivazionali ostative al mancata emanazione del decreto di attuazione, perno non solo del procedimento amministrativo ma anche nei procedimenti giudiziari. Ciò che contribuisce a rendere ancora più problematico il conseguimento dello scopo finale , vale a dire la quantificazione del danno è infatti la circostanza che il legislatore ha espressamente previsto che il contenuto del regolamento debba trovare applicazione non solo per la emanazione dell’ ordinanza ministeriale (in modo da fornire l’indispensabile supporto tecnico al procedimento), ma anche alle controversie pendenti, costituendo per il giudice del merito il solo punto di riferimento per definire in sentenza l'ammontare del risarcimento spettante.
Procedimento amministrativo e danno ambientale
2014
Abstract
La richiesta di risarcimento per i danni all'ambiente viene spesso identificata e per l’entità delle lesioni apportate anche alle persone e per l’intento a volte doloso dell’agente, in chiave squisitamente processuale. Questo anche in ragione di fatti - valgano, anche per gli aspetti emotivi in essi compresi i casi ILVA, ETERNIT ed il naufragio della “Costa Concordia”- nei quali i risvolti di carattere penale acquistano, per la perdita di vite umane, necessariamente aspetto preponderante. La costituzione di parte civile del Ministero dell'Ambiente rappresenta pertanto l’unico strumento per giungere all’ottenimento, in forma risarcitoria, del danno ambientale. Eppure il nostro ordinamento - conformemente alla direttiva comunitaria che regola dal 2004 a livello sovranazionale l'intera materia – prevede un percorso accertativo e diretto del danno, totalmente di natura amministrativa ( abdicativo al diritto di azione in quanto il legislatore lo ha stabilito come alternativo),che si conclude con un provvedimento costituito da due distinte ordinanze, entrambe dotate di immediata esecutività. Nella relazione governativa di accompagnamento all’introduzione del Codice dell'Ambiente si enfatizzava proprio la realizzazione di un (nuovo)e diverso modello che, in alternativa all'azione civile anche in sede penale, prevede la forma dell'ordinanza –ingiunzione per il recupero in forma specifica nei confronti del diretto responsabile del danno, all'esito di una istruttoria condotta nelle varie fasi della procedimentalizzazione dell'attività amministrativa. Il potere coercitivo contenuto nella prima ordinanza è rafforzato dalla emanazione -in termini perentori- di una seconda ordinanza destinata alla riscossione in forma coattiva delle somme corrispondenti alle spese stimate nel corso dell'istruttoria per conseguire la riparazione specifica o in natura del danno a carico del soggetto che lo aveva causato. Considerando i tempi attuali della nostra giustizia il ricorso allo strumento amministrativo appare ad ogni effetto premiale. Nel corso del 2013 il legislatore, a seguito della procedura di infrazione n.2007/4679 avviata agli inizi del 2008 dalla Commissione europea ha rivisitato, di fatto riscrivendola dopo poco più di tre anni, l'intera disciplina del danno ambientale, introducendo da un lato il criterio di responsabilità oggettiva per le attività pericolose ,sopprimendo dall’altro ogni riferimento alle modalità di determinazione del risarcimento per equivalente patrimoniale. Si trattava , nello specifico, delle due più importanti censure contenute nella procedura di infrazione che la Commissione continuava a contestare al nostro Governo per la non corretta trasposizione nell’ordinamento delle direttiva comunitaria anche a seguito della prima modifica attuata nel 2009. Il legislatore infine, proprio per consentire l’attivazione del procedimento amministrativo rimasto sempre privo di operatività, dopo l’infruttuoso tentativo del 2009 ha demandato ad un nuovo decreto il compito di dettare criteri e metodi, anche di valutazione monetaria, per definire la portata delle misure di riparazione del danno. Rimane difficile, ad oltre un anno di distanza dall'entrata in vigore della Legge europea , chiedersi (e trovare soprattutto) logiche motivazionali ostative al mancata emanazione del decreto di attuazione, perno non solo del procedimento amministrativo ma anche nei procedimenti giudiziari. Ciò che contribuisce a rendere ancora più problematico il conseguimento dello scopo finale , vale a dire la quantificazione del danno è infatti la circostanza che il legislatore ha espressamente previsto che il contenuto del regolamento debba trovare applicazione non solo per la emanazione dell’ ordinanza ministeriale (in modo da fornire l’indispensabile supporto tecnico al procedimento), ma anche alle controversie pendenti, costituendo per il giudice del merito il solo punto di riferimento per definire in sentenza l'ammontare del risarcimento spettante.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/152531
URN:NBN:IT:UNIPI-152531