Ogni attività umana porta con sé una dose di rischio. L’attività di una struttura sanitaria, sia essa un ospedale, un ambulatorio o un servizio di assistenza domiciliare, comporta un numero di rischi particolarmente elevato. Parlare di gestione di rischio, e di rischio clinico in particolare, comporta la necessità di definire una terminologia comune e condivisa, poiché spesso nell’uso comune dei termini si creano ambiguità. In particolare il concetto di rischio è difficilmente espresso in modo univoco soprattutto nel linguaggio comune. Esiste una concezione soggettiva del rischio, che è data dalla percezione di una determinata situazione come potenzialmente apportatrice di un danno e ha quindi notevoli implicazioni psicologiche. Esiste poi una concezione oggettiva, matematica, del rischio. Entrambe sono visioni rilevanti nell’ambito della Gestione del Rischio. Il rischio come percezione soggettiva è da tempo oggetto di studio in ambito psicologico sociologico e di interesse per la medicina, soprattutto preventiva, come elemento determinante nell’introduzione di comportamenti più o meni sicuri. Ciò che emerge è che anche dove il rischio è quantificato sulla base di dati statistici, la percezione differisce da individuo a individuo. Nel corso del ’900 l’assistenza sanitaria è diventata parte integrante della struttura di una società industrializzata. Nelle sue esperienze migliori, la medicina moderna possiede straordinarie capacità di mantenere in vita le persone, sane e libere da sofferenze. Il suo reale contributo ad una condizione più generalizzata di salute nell’umanità rimane però una questione aperta e nei paesi industrializzati, la moderna assistenza sanitaria è diventata una colossale industria di servizio ed i suoi critici peggiori la definiscono un moloc, un’istituzione fuori controllo o al limite, governata dal profitto e dal potere professionale invece che dai bisogni del paziente. La relazione interpersonale, tanto importante per la guarigione, si è estinta: così sostengono le persone sempre più numerose che hanno perduto a loro volta fiducia nella medicina scientifica occidentale ed è alla luce di queste considerazioni che il ruolo ed il raggio d’azione della medicina nei paesi avanzati sembrano destinati a mutare profondamente. Non è quindi affatto casuale che il tema della sicurezza per i pazienti abbia acquistato, negli ultimi anni, una notevole rilevanza a livello internazionale e che, in particolare, si discuta vivacemente sul ruolo che le tecnologie possono avere in questo ambito. L’idea che il progresso tecnico ed organizzativo tenda a rendere il nostro mondo sempre più “perfetto” fa si che si ripongano sempre maggiori attese nei riguardi della sicurezza e della affidabilità di quei sistemi che svolgono un ruolo centrale nella vita di tutti noi (traffico aereo, traffico stradale, ospedali,etc.). Se è ormai quasi scontato che nei sistemi complessi è possibile raggiungere un elevato grado di sicurezza grazie ad una rigida regolazione delle varie fasi di attività ed ampi sistemi di controllo è altrettanto sotto gli occhi di tutti il ripetersi di incidenti, con conseguenze anche gravi. Molti ricercatori (ergonomisti, esperti di sicurezza e di organizzazione etc.) stanno dedicandosi in modo complementare a studiare i meccanismi con cui accadono gli errori e le possibili soluzioni per prevenirli. Sempre più frequentemente viene posta, al centro del problema sicurezza, l’interazione tra fattori organizzativi, persone e tecnologie. L’evoluzione delle tecnologie biomediche, la disponibilità di nuovi e potenti farmaci, lo sviluppo di presidi e strumenti, hanno evidenziato enormemente il limite dell’operabilità consentendo oggi interventi fino a pochi anni fa impensabili. L’aumento della complessità porta inevitabilmente anche ad un aumento dei rischi correlati. Da qui l’esigenza, sempre maggiore, di verifiche e controlli sulle tecnologie, ma anche sulle procedure, sull’organizzazione del lavoro, sulla formazione, etc.
Risk Management delle nuove tecnologie in sala operatoria
2007
Abstract
Ogni attività umana porta con sé una dose di rischio. L’attività di una struttura sanitaria, sia essa un ospedale, un ambulatorio o un servizio di assistenza domiciliare, comporta un numero di rischi particolarmente elevato. Parlare di gestione di rischio, e di rischio clinico in particolare, comporta la necessità di definire una terminologia comune e condivisa, poiché spesso nell’uso comune dei termini si creano ambiguità. In particolare il concetto di rischio è difficilmente espresso in modo univoco soprattutto nel linguaggio comune. Esiste una concezione soggettiva del rischio, che è data dalla percezione di una determinata situazione come potenzialmente apportatrice di un danno e ha quindi notevoli implicazioni psicologiche. Esiste poi una concezione oggettiva, matematica, del rischio. Entrambe sono visioni rilevanti nell’ambito della Gestione del Rischio. Il rischio come percezione soggettiva è da tempo oggetto di studio in ambito psicologico sociologico e di interesse per la medicina, soprattutto preventiva, come elemento determinante nell’introduzione di comportamenti più o meni sicuri. Ciò che emerge è che anche dove il rischio è quantificato sulla base di dati statistici, la percezione differisce da individuo a individuo. Nel corso del ’900 l’assistenza sanitaria è diventata parte integrante della struttura di una società industrializzata. Nelle sue esperienze migliori, la medicina moderna possiede straordinarie capacità di mantenere in vita le persone, sane e libere da sofferenze. Il suo reale contributo ad una condizione più generalizzata di salute nell’umanità rimane però una questione aperta e nei paesi industrializzati, la moderna assistenza sanitaria è diventata una colossale industria di servizio ed i suoi critici peggiori la definiscono un moloc, un’istituzione fuori controllo o al limite, governata dal profitto e dal potere professionale invece che dai bisogni del paziente. La relazione interpersonale, tanto importante per la guarigione, si è estinta: così sostengono le persone sempre più numerose che hanno perduto a loro volta fiducia nella medicina scientifica occidentale ed è alla luce di queste considerazioni che il ruolo ed il raggio d’azione della medicina nei paesi avanzati sembrano destinati a mutare profondamente. Non è quindi affatto casuale che il tema della sicurezza per i pazienti abbia acquistato, negli ultimi anni, una notevole rilevanza a livello internazionale e che, in particolare, si discuta vivacemente sul ruolo che le tecnologie possono avere in questo ambito. L’idea che il progresso tecnico ed organizzativo tenda a rendere il nostro mondo sempre più “perfetto” fa si che si ripongano sempre maggiori attese nei riguardi della sicurezza e della affidabilità di quei sistemi che svolgono un ruolo centrale nella vita di tutti noi (traffico aereo, traffico stradale, ospedali,etc.). Se è ormai quasi scontato che nei sistemi complessi è possibile raggiungere un elevato grado di sicurezza grazie ad una rigida regolazione delle varie fasi di attività ed ampi sistemi di controllo è altrettanto sotto gli occhi di tutti il ripetersi di incidenti, con conseguenze anche gravi. Molti ricercatori (ergonomisti, esperti di sicurezza e di organizzazione etc.) stanno dedicandosi in modo complementare a studiare i meccanismi con cui accadono gli errori e le possibili soluzioni per prevenirli. Sempre più frequentemente viene posta, al centro del problema sicurezza, l’interazione tra fattori organizzativi, persone e tecnologie. L’evoluzione delle tecnologie biomediche, la disponibilità di nuovi e potenti farmaci, lo sviluppo di presidi e strumenti, hanno evidenziato enormemente il limite dell’operabilità consentendo oggi interventi fino a pochi anni fa impensabili. L’aumento della complessità porta inevitabilmente anche ad un aumento dei rischi correlati. Da qui l’esigenza, sempre maggiore, di verifiche e controlli sulle tecnologie, ma anche sulle procedure, sull’organizzazione del lavoro, sulla formazione, etc.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/153878
URN:NBN:IT:UNIPI-153878