La dissertazione ha per oggetto le implicazioni di una pratica professionale, quella della mediazione familiare che, fin dalla sua comparsa, è con alterne vicende in cerca di un riconoscimento sociale e di uno spazio in cui affermare la propria specificità e la propria autonomia. Tali implicazioni sono discusse alla luce del dibattito internazionale, con una particolare attenzione alla realtà italiana, che è stata esplorata empiricamente con metodologie di tipo qualitativo: è stata infatti condotta un’analisi sia dei documenti ufficiali prodotti dalle associazioni dei mediatori, che delle testimonianze offerte da 24 operatori, che sono state raccolte attraverso interviste in profondità. I primi due capitoli introducono il contesto culturale e socio-giuridico all’interno del quale si sviluppa la mediazione familiare: nel primo le trasformazioni della famiglia e del diritto di famiglia nei paesi occidentali e le conseguenze del démariage, nel secondo l’affermarsi delle procedure alternative di risoluzione dei conflitti a partire dagli anni ‘60 del Novecento. I capitoli successivi sono più esplicitamente dedicati alla mediazione familiare, di cui si traccia una breve storia e si delinea la specificità rispetto alle altre forme di mediazione. Viene ricostruito il percorso di istituzionalizzazione di questa pratica, i cui esiti non risultano ancora ben definiti, e, sulla base dell’ipotesi che in questo momento storico una importante fonte di identità professionale per gli operatori sia costituita dall’adesione ai codici di autoregolamentazione, ampio spazio viene dato ai principali codici deontologici europei e italiani. I dilemmi etici del mediatore vengono inoltre approfonditi valendosi del contributo della letteratura specialistica. Tra i più interessanti elementi emersi dall’analisi tematica delle interviste, spicca la maggiore identificazione nella figura del mediatore da parte di coloro che non dispongono di un’altra identità professionale “forte” (come quella dell’avvocato o dello psicoterapeuta); la prevalenza di una lettura psicologica – anche da parte di coloro che non sono psicologi – della questione delle differenze di potere tra i genitori e, più in generale, delle principali dinamiche in atto nella separazione; la sostanziale adesione al modello corrente del mediatore come “terzo neutrale e privo di potere” e la generale rivendicazione dell’autonomia del suo operato rispetto alla magistratura. Nelle conclusioni viene evidenziata l’importanza del contributo portato dai mediatori alla costruzione sociale dell’ideale della co-genitorialità e nello stesso tempo sottolineato il carattere ancora largamente “utopico” del messaggio di cui questa pratica - con la sua enfasi sulla negoziazione delle relazioni familiari e sulla parità dei ruoli genitoriali - si fa portatrice.
L'identità, i valori e le prospettive della mediazione familiare in Italia: l'emergere di una nuova pratica professionale e la costruzione dell'ideale della co-genitorialità
2008
Abstract
La dissertazione ha per oggetto le implicazioni di una pratica professionale, quella della mediazione familiare che, fin dalla sua comparsa, è con alterne vicende in cerca di un riconoscimento sociale e di uno spazio in cui affermare la propria specificità e la propria autonomia. Tali implicazioni sono discusse alla luce del dibattito internazionale, con una particolare attenzione alla realtà italiana, che è stata esplorata empiricamente con metodologie di tipo qualitativo: è stata infatti condotta un’analisi sia dei documenti ufficiali prodotti dalle associazioni dei mediatori, che delle testimonianze offerte da 24 operatori, che sono state raccolte attraverso interviste in profondità. I primi due capitoli introducono il contesto culturale e socio-giuridico all’interno del quale si sviluppa la mediazione familiare: nel primo le trasformazioni della famiglia e del diritto di famiglia nei paesi occidentali e le conseguenze del démariage, nel secondo l’affermarsi delle procedure alternative di risoluzione dei conflitti a partire dagli anni ‘60 del Novecento. I capitoli successivi sono più esplicitamente dedicati alla mediazione familiare, di cui si traccia una breve storia e si delinea la specificità rispetto alle altre forme di mediazione. Viene ricostruito il percorso di istituzionalizzazione di questa pratica, i cui esiti non risultano ancora ben definiti, e, sulla base dell’ipotesi che in questo momento storico una importante fonte di identità professionale per gli operatori sia costituita dall’adesione ai codici di autoregolamentazione, ampio spazio viene dato ai principali codici deontologici europei e italiani. I dilemmi etici del mediatore vengono inoltre approfonditi valendosi del contributo della letteratura specialistica. Tra i più interessanti elementi emersi dall’analisi tematica delle interviste, spicca la maggiore identificazione nella figura del mediatore da parte di coloro che non dispongono di un’altra identità professionale “forte” (come quella dell’avvocato o dello psicoterapeuta); la prevalenza di una lettura psicologica – anche da parte di coloro che non sono psicologi – della questione delle differenze di potere tra i genitori e, più in generale, delle principali dinamiche in atto nella separazione; la sostanziale adesione al modello corrente del mediatore come “terzo neutrale e privo di potere” e la generale rivendicazione dell’autonomia del suo operato rispetto alla magistratura. Nelle conclusioni viene evidenziata l’importanza del contributo portato dai mediatori alla costruzione sociale dell’ideale della co-genitorialità e nello stesso tempo sottolineato il carattere ancora largamente “utopico” del messaggio di cui questa pratica - con la sua enfasi sulla negoziazione delle relazioni familiari e sulla parità dei ruoli genitoriali - si fa portatrice.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/154894
URN:NBN:IT:UNIPI-154894