Gli ormai classici studi di Frances A. Yates e di Paolo Rossi sull’ars memoriae si chiudevano entrambi nel nome di Leibniz, poiché è possibile, scriveva la studiosa warburghiana, che con il filosofo di Lipsia, nel quale culmina e allo stesso tempo si esaurisce la tradizione sia lulliana sia ermetico-occultista, «si arresti l’influsso dell’arte della memoria come fattore nei progressi fondamentali dell’Europa»1 . Eppure, continua Yates, libri sulla mnemotecnica continueranno ad apparire (più avanti ne vedremo due esempi), e «probabilmente si potrebbe scrivere un altro libro che estendesse l’esame dell’argomento ai secoli successivi»2 . Le pagine che seguono non hanno un obiettivo così ambizioso, ma mirano a rintracciare ciò che resta, o non resta, della disciplina inaugurata da Simonide nell’arco cronologico che va da Vico a Leopardi. Tra questi due estremi, si è scelto di indagare testi e autori meno approfonditi dalla critica (Muratori, Conti, Genovesi e Bettinelli) con uno sguardo attento a una serie di fattori socioculturali di vasta portata: la crisi della retorica e la sempre più diffusa ‘scritturalizzazione’ della memoria (e dunque il diverso rapporto con la voce e con le immagini); la scissione tra segni, parole e cose (ovvero, in termini foucaultiani, il passaggio dalla cultura della somiglianza a quella della differenza) 3 ; l’esplosione del moderno mercato editoriale, la minaccia del troppo e il ‘collasso’ dell’enciclopedia; o ancora, l’affermarsi di un’estetica dell’originalità e la differente funzione attribuita alla memoria e alla fantasia nei processi creativi e conoscitivi (entrambe, almeno da Cartesio in poi, associate all’errore, ma con significative eccezioni, tra le quali, per non dire di Vico e Leopardi, vi è senz’altro Bettinelli e in parte anche Conti). [...].

La nuova retorica della memoria. Teorie e pratiche di memorizzazione da Vico a Leopardi

ALLEGRINI, Vincenzo
2019

Abstract

Gli ormai classici studi di Frances A. Yates e di Paolo Rossi sull’ars memoriae si chiudevano entrambi nel nome di Leibniz, poiché è possibile, scriveva la studiosa warburghiana, che con il filosofo di Lipsia, nel quale culmina e allo stesso tempo si esaurisce la tradizione sia lulliana sia ermetico-occultista, «si arresti l’influsso dell’arte della memoria come fattore nei progressi fondamentali dell’Europa»1 . Eppure, continua Yates, libri sulla mnemotecnica continueranno ad apparire (più avanti ne vedremo due esempi), e «probabilmente si potrebbe scrivere un altro libro che estendesse l’esame dell’argomento ai secoli successivi»2 . Le pagine che seguono non hanno un obiettivo così ambizioso, ma mirano a rintracciare ciò che resta, o non resta, della disciplina inaugurata da Simonide nell’arco cronologico che va da Vico a Leopardi. Tra questi due estremi, si è scelto di indagare testi e autori meno approfonditi dalla critica (Muratori, Conti, Genovesi e Bettinelli) con uno sguardo attento a una serie di fattori socioculturali di vasta portata: la crisi della retorica e la sempre più diffusa ‘scritturalizzazione’ della memoria (e dunque il diverso rapporto con la voce e con le immagini); la scissione tra segni, parole e cose (ovvero, in termini foucaultiani, il passaggio dalla cultura della somiglianza a quella della differenza) 3 ; l’esplosione del moderno mercato editoriale, la minaccia del troppo e il ‘collasso’ dell’enciclopedia; o ancora, l’affermarsi di un’estetica dell’originalità e la differente funzione attribuita alla memoria e alla fantasia nei processi creativi e conoscitivi (entrambe, almeno da Cartesio in poi, associate all’errore, ma con significative eccezioni, tra le quali, per non dire di Vico e Leopardi, vi è senz’altro Bettinelli e in parte anche Conti). [...].
2019
Italiano
BOLZONI, LINA
Scuola Normale Superiore
Esperti anonimi
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