The doctoral research project "GreenHouse. Bringing nature inside" stems from a radical question: is it possible to transform existing buildings without demolishing, erasing or forgetting? Is it possible to see hidden potential in existing buildings, a promise of space, light and freedom? This question lies at the heart of the thesis: a theoretical and critical reflection on ordinary building heritage and the possibility of reactivating it through a minimal but powerful device — the loggia — capable of redefining the threshold between inside and outside as a living, climatic and living space. In recent decades, the concept of heritage has undergone a profound semantic expansion: from something to be preserved to a resource to be transformed, to include ordinary, serial architecture produced in the second half of the 20th century. In particular, the research focuses on public housing and its most controversial forms of settlement in city suburbs. This “minor” heritage now represents a decisive challenge for contemporary design: not a void to be filled, but a living material to be listened to and reactivated. GreenHouse is part of a line of thinking that, from modernity onwards, has questioned the closure of rooms and blind walls, promoting openings, open plans and spatial fluidity. But as Jacques Lucan points out, the insights of the modern villa — starting with the Farnsworth House — have never been fully translated into collective housing. It is in this fracture that the thesis is situated: between the dream of single-family architecture and the reality of stacked residences, between the grand gestures of the masters and the anonymous repetition of serial production. It is precisely in this interstitial space that the loggia — fragile, light, reversible — is taken as a critical and design key for a respectful but incisive transformation. The research is divided into three complementary sections. The first constructs a genealogy of the loggia in modernity, distinguishing two critical lines: the loggia as a house — a primary space, between two horizontal floors, which opens directly onto the landscape; and the loggia as a threshold — a place of passage, of gradation, which mediates between interior and exterior, between private and public, between living and passing through. The second part analyses the trajectory of collective housing in France, retracing the history of the Grands Ensembles and the urban regeneration strategies developed since the 2000s. This is the context for the Plus research by Druot, Lacaton & Vassal (2006), which ushered in a real paradigm shift: transforming instead of demolishing, adding instead of replacing. The notion of “Transformation”, based on lightweight devices, independent structures and a new alliance between architecture and climate, offered a radical but concrete vision of living. The third part focuses on two emblematic case studies, the Tour Bois-le-Prêtre in Paris and the GHI blocks of the Cité du Grand Parc in Bordeaux, exploring the constructive and spatial functioning of juxtaposed loggias: modular, prefabricated, climatically active structures capable of extending domestic space, amplifying its quality and possibilities of use. The analysis moves on three scales — building, dwelling, structural span — and leads to the definition of a taxonomy of the loggia device as precision architecture. But GreenHouse does not merely celebrate a model. On the contrary, the research questions its transferability to the Mediterranean context, where light is more intense, the air drier, and the climate requires a different balance between transparency and shade. The capture and storage devices typical of the Atlantic climate could prove inadequate if transposed without mediation. This gives rise to a deeper reflection: Transformation is not a prescription, but a principle. Not a form, but a method. Each project is a response to a place, a time, an existence. In this transition — from imitation to interpretation, from technique to ethics — the theoretical heart of the thesis is revealed. To transform means to care, to listen, to add with precision and measure. In this perspective, the loggia becomes a symbol and a tool: a minimal gesture that generates maximum change. A silent addition that shelters, expands, connects. An active margin that becomes a life project. GreenHouse is therefore an exercise in attention. Not a manifesto, but a stance. Not a solution, but a question that remains open: how can we inhabit what has already been built without erasing its memory? How can we design with the climate, not against it? How can we make time, air and light not just frames, but materials of architecture? In this research, we can perhaps glimpse a possible future fertility: a project for Mediterranean living that arises not from the exceptional, but from the ordinary; not from heroism, but from care.

La ricerca di dottorato "GreenHouse. La natura entra in casa" nasce da una domanda radicale: è possibile trasformare l’edilizia esistente senza demolire, senza cancellare, senza dimenticare? È possibile leggere nel costruito un potenziale nascosto, una promessa di spazio, luce, libertà? In questo interrogarsi risiede l’anima della tesi: una riflessione teorica e critica sul patrimonio edilizio ordinario e sulla possibilità di riattivarlo attraverso un dispositivo minimo ma potente — la loggia — capace di ridefinire la soglia tra interno ed esterno come spazio abitabile, climatico, vivo. Negli ultimi decenni, il concetto di patrimonio ha subito un allargamento semantico profondo: da bene da conservare a risorsa da trasformare, fino a includere l’architettura ordinaria, seriale, prodotta nella seconda metà del Novecento. In particolare, la ricerca si concentra sull’edilizia residenziale pubblica e sulle sue forme insediative più controverse che popolano le periferie delle città. Questo patrimonio “minore” rappresenta oggi una sfida decisiva per il progetto contemporaneo: non un vuoto da colmare, ma una materia viva da ascoltare e riattivare. GreenHouse si innesta in un filone di pensiero che, dalla modernità in avanti, ha messo in discussione la chiusura della stanza e il muro cieco, promuovendo aperture, plan libre e fluidità spaziali. Ma come ricorda Jacques Lucan, le intuizioni della villa moderna — a partire dalla Farnsworth — non sono mai state pienamente tradotte nell’edilizia collettiva. È in questa frattura che si colloca la tesi: tra il sogno dell’architettura unifamiliare e la realtà della residenza impilata, tra i grandi gesti dei maestri e la ripetizione anonima della produzione seriale. Proprio in questo spazio interstiziale, la loggia — fragile, leggera, reversibile — viene assunta come chiave critica e progettuale per una trasformazione rispettosa ma incisiva. La ricerca si articola in tre sezioni complementari. La prima costruisce una genealogia della loggia nella modernità, distinguendo due linee critiche: la loggia come casa — uno spazio primario, compreso tra due piani orizzontali, che si apre direttamente al paesaggio; e la loggia come soglia — luogo di passaggio, di gradazione, che media tra interno ed esterno, tra privato e pubblico, tra abitare e attraversare. La seconda parte analizza la parabola dell’edilizia collettiva in Francia, ripercorrendo la storia dei Grands Ensembles e le strategie di rigenerazione urbana sviluppate a partire dagli anni Duemila. In questo contesto si inserisce la ricerca Plus di Druot, Lacaton & Vassal (2006), che ha inaugurato un vero e proprio cambio di paradigma: trasformare invece di demolire, aggiungere invece di sostituire. La nozione di Transformation, fondata su dispositivi leggeri, strutture indipendenti e una nuova alleanza tra architettura e clima, ha offerto una visione radicale ma concreta dell’abitare. La terza parte si concentra sui due casi studio emblematici della Tour Bois-le-Prêtre a Parigi e dei blocchi GHI della Cité du Grand Parc a Bordeaux, approfondendo il funzionamento costruttivo e spaziale delle logge giustapposte: strutture modulari, prefabbricate, climaticamente attive, capaci di estendere lo spazio domestico, amplificandone la qualità e le possibilità d’uso. L’analisi si muove su tre scale — edificio, alloggio, campata strutturale — e porta alla definizione di una tassonomia del dispositivo-loggia come architettura di precisione. Ma GreenHouse non si limita a celebrare un modello. Al contrario, la ricerca ne interroga la trasferibilità nel contesto mediterraneo, dove la luce è più intensa, l’aria più secca, e il clima impone un diverso equilibrio tra trasparenza e ombra. I dispositivi di captazione e accumulo tipici del clima atlantico potrebbero rivelarsi inadeguati se trasposti senza mediazioni. Da qui nasce una riflessione più profonda: la Transformation non è una prescrizione, ma un principio. Non una forma, ma un metodo. Ogni progetto è risposta a un luogo, a un tempo, a un’esistenza. In questo passaggio — dall’imitazione all’interpretazione, dalla tecnica all’etica — si svela il cuore teorico della tesi. Trasformare significa prendersi cura, ascoltare, aggiungere con precisione e misura. In questa prospettiva, la loggia diventa simbolo e strumento: un gesto minimo che genera una mutazione massima. Un’aggiunta silenziosa che ripara, dilata, connette. Un margine attivo che si fa progetto di vita. GreenHouse è dunque un esercizio di attenzione. Non un manifesto, ma una postura. Non una soluzione, ma una domanda che resta aperta: come abitare il già costruito, senza cancellarne la memoria? Come progettare con il clima, non contro di esso? Come fare del tempo, dell’aria, della luce — non solo cornici, ma materiali dell’architettura? In questa ricerca si intravede, forse, una possibile fertilità futura: un progetto per l’abitare mediterraneo che sappia nascere non dall’eccezione, ma dall’ordinario; non dall’eroismo, ma dalla cura.

GreenHouse. La natura entra in casa

Catella, Nicola
2025

Abstract

The doctoral research project "GreenHouse. Bringing nature inside" stems from a radical question: is it possible to transform existing buildings without demolishing, erasing or forgetting? Is it possible to see hidden potential in existing buildings, a promise of space, light and freedom? This question lies at the heart of the thesis: a theoretical and critical reflection on ordinary building heritage and the possibility of reactivating it through a minimal but powerful device — the loggia — capable of redefining the threshold between inside and outside as a living, climatic and living space. In recent decades, the concept of heritage has undergone a profound semantic expansion: from something to be preserved to a resource to be transformed, to include ordinary, serial architecture produced in the second half of the 20th century. In particular, the research focuses on public housing and its most controversial forms of settlement in city suburbs. This “minor” heritage now represents a decisive challenge for contemporary design: not a void to be filled, but a living material to be listened to and reactivated. GreenHouse is part of a line of thinking that, from modernity onwards, has questioned the closure of rooms and blind walls, promoting openings, open plans and spatial fluidity. But as Jacques Lucan points out, the insights of the modern villa — starting with the Farnsworth House — have never been fully translated into collective housing. It is in this fracture that the thesis is situated: between the dream of single-family architecture and the reality of stacked residences, between the grand gestures of the masters and the anonymous repetition of serial production. It is precisely in this interstitial space that the loggia — fragile, light, reversible — is taken as a critical and design key for a respectful but incisive transformation. The research is divided into three complementary sections. The first constructs a genealogy of the loggia in modernity, distinguishing two critical lines: the loggia as a house — a primary space, between two horizontal floors, which opens directly onto the landscape; and the loggia as a threshold — a place of passage, of gradation, which mediates between interior and exterior, between private and public, between living and passing through. The second part analyses the trajectory of collective housing in France, retracing the history of the Grands Ensembles and the urban regeneration strategies developed since the 2000s. This is the context for the Plus research by Druot, Lacaton & Vassal (2006), which ushered in a real paradigm shift: transforming instead of demolishing, adding instead of replacing. The notion of “Transformation”, based on lightweight devices, independent structures and a new alliance between architecture and climate, offered a radical but concrete vision of living. The third part focuses on two emblematic case studies, the Tour Bois-le-Prêtre in Paris and the GHI blocks of the Cité du Grand Parc in Bordeaux, exploring the constructive and spatial functioning of juxtaposed loggias: modular, prefabricated, climatically active structures capable of extending domestic space, amplifying its quality and possibilities of use. The analysis moves on three scales — building, dwelling, structural span — and leads to the definition of a taxonomy of the loggia device as precision architecture. But GreenHouse does not merely celebrate a model. On the contrary, the research questions its transferability to the Mediterranean context, where light is more intense, the air drier, and the climate requires a different balance between transparency and shade. The capture and storage devices typical of the Atlantic climate could prove inadequate if transposed without mediation. This gives rise to a deeper reflection: Transformation is not a prescription, but a principle. Not a form, but a method. Each project is a response to a place, a time, an existence. In this transition — from imitation to interpretation, from technique to ethics — the theoretical heart of the thesis is revealed. To transform means to care, to listen, to add with precision and measure. In this perspective, the loggia becomes a symbol and a tool: a minimal gesture that generates maximum change. A silent addition that shelters, expands, connects. An active margin that becomes a life project. GreenHouse is therefore an exercise in attention. Not a manifesto, but a stance. Not a solution, but a question that remains open: how can we inhabit what has already been built without erasing its memory? How can we design with the climate, not against it? How can we make time, air and light not just frames, but materials of architecture? In this research, we can perhaps glimpse a possible future fertility: a project for Mediterranean living that arises not from the exceptional, but from the ordinary; not from heroism, but from care.
2025
Italiano
La ricerca di dottorato "GreenHouse. La natura entra in casa" nasce da una domanda radicale: è possibile trasformare l’edilizia esistente senza demolire, senza cancellare, senza dimenticare? È possibile leggere nel costruito un potenziale nascosto, una promessa di spazio, luce, libertà? In questo interrogarsi risiede l’anima della tesi: una riflessione teorica e critica sul patrimonio edilizio ordinario e sulla possibilità di riattivarlo attraverso un dispositivo minimo ma potente — la loggia — capace di ridefinire la soglia tra interno ed esterno come spazio abitabile, climatico, vivo. Negli ultimi decenni, il concetto di patrimonio ha subito un allargamento semantico profondo: da bene da conservare a risorsa da trasformare, fino a includere l’architettura ordinaria, seriale, prodotta nella seconda metà del Novecento. In particolare, la ricerca si concentra sull’edilizia residenziale pubblica e sulle sue forme insediative più controverse che popolano le periferie delle città. Questo patrimonio “minore” rappresenta oggi una sfida decisiva per il progetto contemporaneo: non un vuoto da colmare, ma una materia viva da ascoltare e riattivare. GreenHouse si innesta in un filone di pensiero che, dalla modernità in avanti, ha messo in discussione la chiusura della stanza e il muro cieco, promuovendo aperture, plan libre e fluidità spaziali. Ma come ricorda Jacques Lucan, le intuizioni della villa moderna — a partire dalla Farnsworth — non sono mai state pienamente tradotte nell’edilizia collettiva. È in questa frattura che si colloca la tesi: tra il sogno dell’architettura unifamiliare e la realtà della residenza impilata, tra i grandi gesti dei maestri e la ripetizione anonima della produzione seriale. Proprio in questo spazio interstiziale, la loggia — fragile, leggera, reversibile — viene assunta come chiave critica e progettuale per una trasformazione rispettosa ma incisiva. La ricerca si articola in tre sezioni complementari. La prima costruisce una genealogia della loggia nella modernità, distinguendo due linee critiche: la loggia come casa — uno spazio primario, compreso tra due piani orizzontali, che si apre direttamente al paesaggio; e la loggia come soglia — luogo di passaggio, di gradazione, che media tra interno ed esterno, tra privato e pubblico, tra abitare e attraversare. La seconda parte analizza la parabola dell’edilizia collettiva in Francia, ripercorrendo la storia dei Grands Ensembles e le strategie di rigenerazione urbana sviluppate a partire dagli anni Duemila. In questo contesto si inserisce la ricerca Plus di Druot, Lacaton & Vassal (2006), che ha inaugurato un vero e proprio cambio di paradigma: trasformare invece di demolire, aggiungere invece di sostituire. La nozione di Transformation, fondata su dispositivi leggeri, strutture indipendenti e una nuova alleanza tra architettura e clima, ha offerto una visione radicale ma concreta dell’abitare. La terza parte si concentra sui due casi studio emblematici della Tour Bois-le-Prêtre a Parigi e dei blocchi GHI della Cité du Grand Parc a Bordeaux, approfondendo il funzionamento costruttivo e spaziale delle logge giustapposte: strutture modulari, prefabbricate, climaticamente attive, capaci di estendere lo spazio domestico, amplificandone la qualità e le possibilità d’uso. L’analisi si muove su tre scale — edificio, alloggio, campata strutturale — e porta alla definizione di una tassonomia del dispositivo-loggia come architettura di precisione. Ma GreenHouse non si limita a celebrare un modello. Al contrario, la ricerca ne interroga la trasferibilità nel contesto mediterraneo, dove la luce è più intensa, l’aria più secca, e il clima impone un diverso equilibrio tra trasparenza e ombra. I dispositivi di captazione e accumulo tipici del clima atlantico potrebbero rivelarsi inadeguati se trasposti senza mediazioni. Da qui nasce una riflessione più profonda: la Transformation non è una prescrizione, ma un principio. Non una forma, ma un metodo. Ogni progetto è risposta a un luogo, a un tempo, a un’esistenza. In questo passaggio — dall’imitazione all’interpretazione, dalla tecnica all’etica — si svela il cuore teorico della tesi. Trasformare significa prendersi cura, ascoltare, aggiungere con precisione e misura. In questa prospettiva, la loggia diventa simbolo e strumento: un gesto minimo che genera una mutazione massima. Un’aggiunta silenziosa che ripara, dilata, connette. Un margine attivo che si fa progetto di vita. GreenHouse è dunque un esercizio di attenzione. Non un manifesto, ma una postura. Non una soluzione, ma una domanda che resta aperta: come abitare il già costruito, senza cancellarne la memoria? Come progettare con il clima, non contro di esso? Come fare del tempo, dell’aria, della luce — non solo cornici, ma materiali dell’architettura? In questa ricerca si intravede, forse, una possibile fertilità futura: un progetto per l’abitare mediterraneo che sappia nascere non dall’eccezione, ma dall’ordinario; non dall’eroismo, ma dalla cura.
Defilippis, Francesco
De Venuto, Tiziano
Panzini, Nicola
Moccia, Carlo
Politecnico di Bari
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