Il lavoro si propone di indagare in quali casi il rispetto del cd. “principio di equa valorizzazione” si imponga in modo imperativo nelle dinamiche societarie. Preliminarmente, è parso imprescindibile prendere in considerazione l’istituto del diritto di recesso, nel tentativo di rintracciare la funzione cui il medesimo è deputato all’interno dell’ordinamento e analizzando altresì i criteri di valorizzazione della partecipazione del socio recedente, al fine di far luce sulla ratio sottostante alla loro previsione e conformazione. Detti canoni, infatti, paiono costituire per il legislatore il principale referente operativo per giungere a determinare in modo equo e non arbitrario il valore delle partecipazioni sociali. L’analisi prende poi le mosse dalle fattispecie per le quali viene sancita l’applicabilità di detti criteri: il riscatto azionario convenzionale ed l’esclusione del socio di s.r.l. È proprio a queste ipotesi che si appellano dottrina e giurisprudenza, ricorrendo alla tecnica dell’analigia iuris, per definire i contorni, il perimetro applicativo, il tasso di imperatività e le conseguenti implicazioni in merito al suo rapporto con l’autonomia statutaria e contrattuale del detto principio, il cui rispetto assume una rilevanza centrale ogniqualvolta ci si trovi di fronte a meccanismi capaci di comportare un exit “passivo” del socio dalla compagine sociale. Tali disposizioni, inoltre, si inseriscono nella cornice delineata da alcune norme di rango costituzionale (artt. 24 e 42 Cost.), che conducono a supporre l’esistenza di un principio generale di necessaria sussistenza di parametri obiettivi idonei ad attribuire un valore equo alla partecipazione sociale. Il richiamo all’art. 42 Cost., in particolare, enfatizza il rischio dell’effetto espropriativo derivante dalle fattispecie implicanti una dismissione forzata della partecipazione. In termini economici, il rischio di espropriazione atterrebbe alla differenza di valore che intercorre tra il c.d. FMV (fair market value, ossia il valore di mercato o valore effettivo) ed il valore fissato per il trasferimento forzoso. Su queste basi, il principio di equa valorizzazione viene presentato come espressione di un principio immanente nel nostro ordinamento societario, ossia quello che, ponendo un limite all’autonomia privata, impedisce di introdurre clausole per effetto delle quali un socio possa venir obbligato a cedere la propria partecipazione ad un prezzo potenzialmente incongruo rispetto al valore di mercato della stessa. In ragione della sua considerazione quale principio generale dell’ordinamento, quello dell’equa valorizzazione, sarebbe perciò applicabile anche al di là delle ipotesi positivamente disciplinate, tutte le volte in cui un membro del consesso sociale si trovi nella posizione passiva di subire – per iniziativa altrui (dei soci, della società o di terzi) o per circostanze obiettive prescindenti dalla propria volontà – la fuoriuscita dalla compagine sociale. Si sono considerate perciò le clausole di drag-along e di roulette russa; la negazione del placet in caso di mero gradimento e le clausole di prelazione impropria; i diritti di far acquistare previsti in caso di fusione semplificata e di scissione non proporzionale. Per contro, il rispetto del principio non si impone nel caso in cui l’exit non sia né “coatto” né “indotto”, ma pienamente “volontario”, come nel caso delle azioni riscattabili e delle clausole di tag-along. In conclusione, si è considerato il rilievo che può avere il consenso prestato dal socio, in sede di stipula dell’atto costitutivo ovvero di acquisto della partecipazione (anche prendendo in considerazione le cd. “partecipazioni ad tempus”), al fine di rinunciare alla tutela dell’equa valorizzazione, nonché la possibilità di propendere per una soluzione che lasci maggiormente libera l’autonomia statutaria di redigere clausole anche prive di un floor minimo, rimettendo poi al soggetto eventualmente leso la possibilità di agire in giudizio mediante l’esperimento dei tradizionali rimedi civilistici.
Il principio di equa valorizzazione della partecipazione societaria
ALESSIO, CHIARA
2024
Abstract
Il lavoro si propone di indagare in quali casi il rispetto del cd. “principio di equa valorizzazione” si imponga in modo imperativo nelle dinamiche societarie. Preliminarmente, è parso imprescindibile prendere in considerazione l’istituto del diritto di recesso, nel tentativo di rintracciare la funzione cui il medesimo è deputato all’interno dell’ordinamento e analizzando altresì i criteri di valorizzazione della partecipazione del socio recedente, al fine di far luce sulla ratio sottostante alla loro previsione e conformazione. Detti canoni, infatti, paiono costituire per il legislatore il principale referente operativo per giungere a determinare in modo equo e non arbitrario il valore delle partecipazioni sociali. L’analisi prende poi le mosse dalle fattispecie per le quali viene sancita l’applicabilità di detti criteri: il riscatto azionario convenzionale ed l’esclusione del socio di s.r.l. È proprio a queste ipotesi che si appellano dottrina e giurisprudenza, ricorrendo alla tecnica dell’analigia iuris, per definire i contorni, il perimetro applicativo, il tasso di imperatività e le conseguenti implicazioni in merito al suo rapporto con l’autonomia statutaria e contrattuale del detto principio, il cui rispetto assume una rilevanza centrale ogniqualvolta ci si trovi di fronte a meccanismi capaci di comportare un exit “passivo” del socio dalla compagine sociale. Tali disposizioni, inoltre, si inseriscono nella cornice delineata da alcune norme di rango costituzionale (artt. 24 e 42 Cost.), che conducono a supporre l’esistenza di un principio generale di necessaria sussistenza di parametri obiettivi idonei ad attribuire un valore equo alla partecipazione sociale. Il richiamo all’art. 42 Cost., in particolare, enfatizza il rischio dell’effetto espropriativo derivante dalle fattispecie implicanti una dismissione forzata della partecipazione. In termini economici, il rischio di espropriazione atterrebbe alla differenza di valore che intercorre tra il c.d. FMV (fair market value, ossia il valore di mercato o valore effettivo) ed il valore fissato per il trasferimento forzoso. Su queste basi, il principio di equa valorizzazione viene presentato come espressione di un principio immanente nel nostro ordinamento societario, ossia quello che, ponendo un limite all’autonomia privata, impedisce di introdurre clausole per effetto delle quali un socio possa venir obbligato a cedere la propria partecipazione ad un prezzo potenzialmente incongruo rispetto al valore di mercato della stessa. In ragione della sua considerazione quale principio generale dell’ordinamento, quello dell’equa valorizzazione, sarebbe perciò applicabile anche al di là delle ipotesi positivamente disciplinate, tutte le volte in cui un membro del consesso sociale si trovi nella posizione passiva di subire – per iniziativa altrui (dei soci, della società o di terzi) o per circostanze obiettive prescindenti dalla propria volontà – la fuoriuscita dalla compagine sociale. Si sono considerate perciò le clausole di drag-along e di roulette russa; la negazione del placet in caso di mero gradimento e le clausole di prelazione impropria; i diritti di far acquistare previsti in caso di fusione semplificata e di scissione non proporzionale. Per contro, il rispetto del principio non si impone nel caso in cui l’exit non sia né “coatto” né “indotto”, ma pienamente “volontario”, come nel caso delle azioni riscattabili e delle clausole di tag-along. In conclusione, si è considerato il rilievo che può avere il consenso prestato dal socio, in sede di stipula dell’atto costitutivo ovvero di acquisto della partecipazione (anche prendendo in considerazione le cd. “partecipazioni ad tempus”), al fine di rinunciare alla tutela dell’equa valorizzazione, nonché la possibilità di propendere per una soluzione che lasci maggiormente libera l’autonomia statutaria di redigere clausole anche prive di un floor minimo, rimettendo poi al soggetto eventualmente leso la possibilità di agire in giudizio mediante l’esperimento dei tradizionali rimedi civilistici.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/215837
URN:NBN:IT:UNIPI-215837