Il presente scritto ha ad oggetto la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, introdotta dalla direttiva 2005/29/CE e trasfusa nel codice del consumo dal d.lgs. n. 146 del 2 agosto 2007. Nel capitolo introduttivo ci si propone di mettere in luce la ratio di tale normativa, e di dar conto della sua natura ࢠbifronteࢠ. Per un verso essa mira à,«al conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatorià,», per altro verso intende garantire à,«nel settore da essa coordinato una concorrenza lealeà,»: in tal senso si pone pertanto a mezza via tra diritto della concorrenza e dei consumatori, quale tentativo di superamento della loro tradizionale distanza. Si ritiene in particolare che la mediazione tra i due ࢠdiritti secondiࢠsi realizzi attraverso lࢠaccento posto dalla direttiva su uno dei principali criteri ispiratori del diritto contrattuale europeo: la buona fede. Essa consente, infatti, di filtrare entro la forma giuridica del mercato i valori di cui àƒ¨ portatrice, non limitandosi alla consueta funzione di correttivo del singolo rapporto contrattuale, al fine di garantire il contraente piàƒ¹ debole dagli abusi che lo indurrebbero a una contrattazione non libera, ma assurgendo al ruolo di direttiva generale di comportamento per le imprese, cosàƒ¬ rivelando la sua funzione valoriale. Lࢠanalisi compiuta nel secondo capitolo intende mostrare che le due rationes della disciplina, messe in evidenza nel primo, trovano un preciso riscontro positivo giàƒÂ nella disposizione di apertura (art. 20 cod. cons.), la quale articola la fattispecie generale ࢠpratica commerciale scorrettaࢠnei due elementi costitutivi della contrarietàƒÂ alla diligenza professionale e dellࢠidoneitàƒÂ a falsare il comportamento economico del consumatore medio. Nellࢠesaminare tali due requisiti ci si sofferma specificamente sulla natura dei divieti imposti al professionista dalla normativa de qua, i quali, grazie allࢠintervento della buona fede, possono leggersi alla stregua di obblighi cui il professionista àƒ¨ tenuto nei confronti del consumatore, anche indipendentemente dalla conclusione di un contratto (con conseguente qualificazione degli stessi in termini di obbligazioni senza prestazione). Come viene chiarito segnatamente nel terzo capitolo, peraltro, pur dettando regole di comportamento che vincolano il professionista nel suo rapporto con il consumatore, la direttiva prescinde dallࢠindividuazione di rimedi di cui questࢠultimo possa avvalersi a fronte di una pratica commerciale scorretta, affidando agli ordinamenti degli stati membri il difficile compito della loro definizione. Tale disinteresse del legislatore europeo induce a interrogarsi sulle soluzioni plausibili secondo il nostro diritto, per il quale i rimedi astrattamente ipotizzabili sono - almeno a prima vista - molteplici, sia in termini di invaliditàƒÂ , in ragione dellࢠassonanza tra le condotte vietate e i vizi della volontàƒÂ , sia di responsabilitàƒÂ . E tuttavia, mentre degli uni deve constatarsi lࢠinadeguatezza a coprire lࢠintera gamma delle condotte scorrette, dellࢠaltra resta controversa la natura. Nella ricerca della via da intraprendere àƒ¨ ancora la buona fede a suggerire il percorso. Se infatti, secondo lࢠinterpretazione che si àƒ¨ suggerita, essa àƒ¨ in grado di attribuire ai divieti che la direttiva pone a carico del professionista il carattere di obblighi, ne deriva che, in caso di loro violazione, lࢠeffetto saràƒÂ quello della responsabilitàƒÂ contrattuale (purchàƒ© naturalmente ricorrano tutti gli elementi costitutivi della pratica commerciale scorretta e segnatamente lࢠidoneitàƒÂ a falsare il comportamento economico del consumatore medio). Se dunque, de iure condito, la soluzione in termini di responsabilitàƒÂ contrattuale (non giàƒÂ da inadempimento dellࢠobbligo primario di prestazione, bensàƒ¬ da violazione di obblighi funzionali autonomi da esso) pare lࢠunica in grado di dare una risposta uniforme allࢠesigenza di tutela dei consumatori vittime delle condotte vietate (lࢠinvaliditàƒÂ restando confinata alle sole ipotesi di condotte che siano in grado di integrare i requisiti dei vizi della volontàƒÂ ), non sembra peregrino ipotizzare, de iure condendo, lࢠelaborazione di un rimedio ad hoc, in grado di privare di effetti il contratto che sia stato concluso a seguito della pratica commerciale scorretta. In tal senso potrebbe trarsi spunto dallࢠesperienza del diritto inglese che, a fronte della inadeguatezza del diritto privato tradizionale a rispondere allࢠesigenza di tutela dei consumatori va elaborando un inedito diritto di recesso, il quale, seppur giustificato dalla ratio di protezione del consumatore, àƒ¨ tuttavia altro dallࢠormai tipicamente consumeristico ius poenitendi, questࢠultimo essendo esercitabile senza alcuna giustificazione, laddove quello inglese di nuovo conio, esige la prova della scorrettezza. Lࢠelaborazione, ancora in corso, di nuovi strumenti di tutela del consumatore in common law, oltre che costituire utile spunto de iure condendo anche per il legislatore italiano, offre inoltre la misura di come lࢠordinamento inglese e quello nostro si attestino, allo stato, su posizioni divergenti, da una parte essendo caldeggiato - quale rimedio generale - il recesso, dallࢠaltra potendosi confidare sulla sola responsabilitàƒÂ quale soluzione percorribile a fronte di tutte indistintamente le pratiche commerciali scorrette. Tale divaricazione induce a prospettare esiti contrari rispetto a quelli auspicatidalla stessa direttiva 2005/29/CE in termini di piena armonizzazione, giacchàƒ©, pur a fronte di fattispecie pressochàƒ© identiche nei diversi ordinamenti, lࢠadozione di rimedi difformi non potràƒÂ che determinare conseguenze variegate sul piano dellࢠapplicazione.
Le pratiche commerciali scorrette nella prospettiva europea
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2012
Abstract
Il presente scritto ha ad oggetto la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, introdotta dalla direttiva 2005/29/CE e trasfusa nel codice del consumo dal d.lgs. n. 146 del 2 agosto 2007. Nel capitolo introduttivo ci si propone di mettere in luce la ratio di tale normativa, e di dar conto della sua natura ࢠbifronteࢠ. Per un verso essa mira à,«al conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatorià,», per altro verso intende garantire à,«nel settore da essa coordinato una concorrenza lealeà,»: in tal senso si pone pertanto a mezza via tra diritto della concorrenza e dei consumatori, quale tentativo di superamento della loro tradizionale distanza. Si ritiene in particolare che la mediazione tra i due ࢠdiritti secondiࢠsi realizzi attraverso lࢠaccento posto dalla direttiva su uno dei principali criteri ispiratori del diritto contrattuale europeo: la buona fede. Essa consente, infatti, di filtrare entro la forma giuridica del mercato i valori di cui àƒ¨ portatrice, non limitandosi alla consueta funzione di correttivo del singolo rapporto contrattuale, al fine di garantire il contraente piàƒ¹ debole dagli abusi che lo indurrebbero a una contrattazione non libera, ma assurgendo al ruolo di direttiva generale di comportamento per le imprese, cosàƒ¬ rivelando la sua funzione valoriale. Lࢠanalisi compiuta nel secondo capitolo intende mostrare che le due rationes della disciplina, messe in evidenza nel primo, trovano un preciso riscontro positivo giàƒÂ nella disposizione di apertura (art. 20 cod. cons.), la quale articola la fattispecie generale ࢠpratica commerciale scorrettaࢠnei due elementi costitutivi della contrarietàƒÂ alla diligenza professionale e dellࢠidoneitàƒÂ a falsare il comportamento economico del consumatore medio. Nellࢠesaminare tali due requisiti ci si sofferma specificamente sulla natura dei divieti imposti al professionista dalla normativa de qua, i quali, grazie allࢠintervento della buona fede, possono leggersi alla stregua di obblighi cui il professionista àƒ¨ tenuto nei confronti del consumatore, anche indipendentemente dalla conclusione di un contratto (con conseguente qualificazione degli stessi in termini di obbligazioni senza prestazione). Come viene chiarito segnatamente nel terzo capitolo, peraltro, pur dettando regole di comportamento che vincolano il professionista nel suo rapporto con il consumatore, la direttiva prescinde dallࢠindividuazione di rimedi di cui questࢠultimo possa avvalersi a fronte di una pratica commerciale scorretta, affidando agli ordinamenti degli stati membri il difficile compito della loro definizione. Tale disinteresse del legislatore europeo induce a interrogarsi sulle soluzioni plausibili secondo il nostro diritto, per il quale i rimedi astrattamente ipotizzabili sono - almeno a prima vista - molteplici, sia in termini di invaliditàƒÂ , in ragione dellࢠassonanza tra le condotte vietate e i vizi della volontàƒÂ , sia di responsabilitàƒÂ . E tuttavia, mentre degli uni deve constatarsi lࢠinadeguatezza a coprire lࢠintera gamma delle condotte scorrette, dellࢠaltra resta controversa la natura. Nella ricerca della via da intraprendere àƒ¨ ancora la buona fede a suggerire il percorso. Se infatti, secondo lࢠinterpretazione che si àƒ¨ suggerita, essa àƒ¨ in grado di attribuire ai divieti che la direttiva pone a carico del professionista il carattere di obblighi, ne deriva che, in caso di loro violazione, lࢠeffetto saràƒÂ quello della responsabilitàƒÂ contrattuale (purchàƒ© naturalmente ricorrano tutti gli elementi costitutivi della pratica commerciale scorretta e segnatamente lࢠidoneitàƒÂ a falsare il comportamento economico del consumatore medio). Se dunque, de iure condito, la soluzione in termini di responsabilitàƒÂ contrattuale (non giàƒÂ da inadempimento dellࢠobbligo primario di prestazione, bensàƒ¬ da violazione di obblighi funzionali autonomi da esso) pare lࢠunica in grado di dare una risposta uniforme allࢠesigenza di tutela dei consumatori vittime delle condotte vietate (lࢠinvaliditàƒÂ restando confinata alle sole ipotesi di condotte che siano in grado di integrare i requisiti dei vizi della volontàƒÂ ), non sembra peregrino ipotizzare, de iure condendo, lࢠelaborazione di un rimedio ad hoc, in grado di privare di effetti il contratto che sia stato concluso a seguito della pratica commerciale scorretta. In tal senso potrebbe trarsi spunto dallࢠesperienza del diritto inglese che, a fronte della inadeguatezza del diritto privato tradizionale a rispondere allࢠesigenza di tutela dei consumatori va elaborando un inedito diritto di recesso, il quale, seppur giustificato dalla ratio di protezione del consumatore, àƒ¨ tuttavia altro dallࢠormai tipicamente consumeristico ius poenitendi, questࢠultimo essendo esercitabile senza alcuna giustificazione, laddove quello inglese di nuovo conio, esige la prova della scorrettezza. Lࢠelaborazione, ancora in corso, di nuovi strumenti di tutela del consumatore in common law, oltre che costituire utile spunto de iure condendo anche per il legislatore italiano, offre inoltre la misura di come lࢠordinamento inglese e quello nostro si attestino, allo stato, su posizioni divergenti, da una parte essendo caldeggiato - quale rimedio generale - il recesso, dallࢠaltra potendosi confidare sulla sola responsabilitàƒÂ quale soluzione percorribile a fronte di tutte indistintamente le pratiche commerciali scorrette. Tale divaricazione induce a prospettare esiti contrari rispetto a quelli auspicatidalla stessa direttiva 2005/29/CE in termini di piena armonizzazione, giacchàƒ©, pur a fronte di fattispecie pressochàƒ© identiche nei diversi ordinamenti, lࢠadozione di rimedi difformi non potràƒÂ che determinare conseguenze variegate sul piano dellࢠapplicazione.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/253483
URN:NBN:IT:UNIROMA3-253483