Composti da un poeta poco pi๠che diciottenne, alle soglie della sua decisiva †œconversione letteraria†�, i falsi Inno a Nettuno e Odae adespotae, pubblicati nel 1817 come adespoti greci rinvenuti in un codice medievale, rappresentano uno dei primi e pi๠estremi tentativi di Giacomo Leopardi sul terreno dell'imitazione degli antichi e degli antichissimi. A dispetto della difformità linguistica (l'Inno fu presentato come volgarizzamento moderno del testo ritrovato, le odicine vennero redatte direttamente in greco), delle dimensioni contenute e della forte componente erudita e filologica, Inno e Odae sono opere di grande interesse. In esse si riconoscono le profonde radici dell'apprendistato letterario di Leopardi, il rapporto intrattenuto dal giovanissimo filologo-poeta con i modelli classici †" specialmente epici e lirici greci (Omero, Callimaco, Anacreonte) †" i riflessi della coeva teoria sul tradurre e il legame con lo sfondo storico relativo al dibattito classico-romantico. Nonostante i sicuri motivi d'interesse, i falsi leopardiani hanno finora conservato una posizione marginale nel panorama critico. Questa dissertazione ne propone innanzitutto un approfondito studio storico-letterario, che illumina la complessa natura e le molteplici implicazioni dell'operazione condotta da Leopardi, anche in rapporto alla scrittura †œantica†� dei Canti, fornendo poi un inedito e assai ampio commento testuale, che puntualmente considera gli aspetti contenutistici, strutturali, stilistici, linguistici e metrico-prosodici dei componimenti. L'analisi filologica ਠanche accompagnata da un'attenta indagine sui densi apparati eruditi dei testi, nonchà© dall'edizione di una carta autografa, contenente appunti utili alla loro stesura.
Le muse greche di Giacomo Leopardi. Inno a Nettuno e Odae adespotae (1816-1817) tra falsificazione dell'antico e poetica dell'imitatio.
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2015
Abstract
Composti da un poeta poco pi๠che diciottenne, alle soglie della sua decisiva †œconversione letteraria†�, i falsi Inno a Nettuno e Odae adespotae, pubblicati nel 1817 come adespoti greci rinvenuti in un codice medievale, rappresentano uno dei primi e pi๠estremi tentativi di Giacomo Leopardi sul terreno dell'imitazione degli antichi e degli antichissimi. A dispetto della difformità linguistica (l'Inno fu presentato come volgarizzamento moderno del testo ritrovato, le odicine vennero redatte direttamente in greco), delle dimensioni contenute e della forte componente erudita e filologica, Inno e Odae sono opere di grande interesse. In esse si riconoscono le profonde radici dell'apprendistato letterario di Leopardi, il rapporto intrattenuto dal giovanissimo filologo-poeta con i modelli classici †" specialmente epici e lirici greci (Omero, Callimaco, Anacreonte) †" i riflessi della coeva teoria sul tradurre e il legame con lo sfondo storico relativo al dibattito classico-romantico. Nonostante i sicuri motivi d'interesse, i falsi leopardiani hanno finora conservato una posizione marginale nel panorama critico. Questa dissertazione ne propone innanzitutto un approfondito studio storico-letterario, che illumina la complessa natura e le molteplici implicazioni dell'operazione condotta da Leopardi, anche in rapporto alla scrittura †œantica†� dei Canti, fornendo poi un inedito e assai ampio commento testuale, che puntualmente considera gli aspetti contenutistici, strutturali, stilistici, linguistici e metrico-prosodici dei componimenti. L'analisi filologica ਠanche accompagnata da un'attenta indagine sui densi apparati eruditi dei testi, nonchà© dall'edizione di una carta autografa, contenente appunti utili alla loro stesura.I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/272834
URN:NBN:IT:UNIPR-272834