Il presente lavoro ha tentato di analizzare le principali problematiche e le interazioni tra reati ambientali presenti nel nostro ordinamento ed il principio di offensività  che, come noto, svolge un ruolo fondamentale nel diritto penale moderno. In particolare, l'indagine ha avuto due linee direttrici fondamentali: da una parte, l'analisi del principio in esame ed, in particolare, della concezione del reato come offesa a un bene giuridico, dall'altra, l'applicazione di tale principio ai reati ambientali che, proprio a fronte delle peculiarità  del bene giuridico tutelato †" l' ambiente †" che ਠun bene super-individuale ed aggredibile (nella maggior parte dei casi) da condotte †œseriali†�, presentano la struttura propria dei reati di pericolo astratto. In estrema sintesi si puಠdire che il principio di offensività , la cui forza e rango costituzionale sono ormai riconosciuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria, si fonda sul presupposto secondo cui deve considerarsi reato, e dunque necessita di sanzione penale, esclusivamente quel fatto umano che, non solo violi il precetto posto dal legislatore, ma che rechi altresଠoffesa, tanto nella forma della lesione effettiva quanto nell'esposizione a pericolo, all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice. Posto che il tema dell' offensività  à¨ naturalmente condizionato dall'esatta delimitazione della nozione di bene giuridico, in quanto soltanto una corretta qualificazione dell'oggetto dell'offesa, e dunque dell'interesse tutelato dalle singole norme incriminatrici, consente di individuare il grado di anticipazione della tutela realmente approntata con le singole fattispecie o quello giuridicamente ammissibile o politicamente opportuno, l'analisi ha affrontato la vexata questio dell'esatto inquadramento del bene ambiente nel novero dei c.d. beni strumentali - tutelabili in quanto la loro integrità  rappresenta lo strumento e la condizione per preservare beni ulteriori - ovvero in quello dei c.d. beni finali e, dunque, meritevoli e bisognosi di tutela in se e per sà©. Ed infatti, se per una parte della dottrina l'ambiente rappresenta il paradigma dei beni strumentali in quanto i vari elementi di cui esso si compone (acqua suolo etc.) sono penalmente protetti come condizioni e strumenti per assicurare l'integrità  di altri beni, individuali e collettivi quali la vita e la salute delle generazioni presenti e future, il patrimonio di singole e intere comunità , lo sviluppo economico etc., l'orientamento ad oggi prevalente, in un'ottica peraltro di maggior rispetto del canone dell'offensività  del reato, tende ad inquadrarlo nel genus dei beni finali, in quanto tale tutelabile in se per sà©. Ciಠpremesso, il primo problema che i reati ambientali pongono non ਠdi certo sconosciuto alla dottrina penalistica, in quanto attiene alla dibattuta questione della compatibilità  dei reati di pericolo presunto con il principio di offensività . Come noto, esso, nasce dalla circostanza che, in tali reati l'incriminazione si fonda su un giudizio di pericolosità  formulato direttamente dal legislatore sulla base dell'id quod plerumque accidit e, pertanto, ben puಠaccadere che vengano puniti comportamenti che, sebbene corrispondenti al modello legale, risultino in concreto inoffensivi poichà© privi di quella pericolosità  in vista della quale il legislatore ha, appunto, creato la norma penale. Al fine di scongiurare o quantomeno limitare un simile rischio ਠstata prospettata, in via generale, la necessità  di far leva sulla formulazione letterale della fattispecie incriminatrice dotando gli elementi utilizzati nella descrizione del fatto tipico di una †œpregnanza semantica†� tale da rendere difficilmente ipotizzabile che un fatto conforme a quello astratto non sia al contempo pericoloso per il bene tutelato. Tuttavia, nel settore del diritto penale dell'ambiente, la maggior parte delle fattispecie incriminatrici non presenta tale caratteristica ma, al contrario, le condotte risultano descritte attraverso l'uso di termini in sà© sostanzialmente privi di reale capacità  selettiva (es. immissione, scarico, smaltimento non autorizzato). In quest'ambito, poi, ancor pi๠che in altri, il problema della compatibilità  con il canone del reato come offesa a beni giuridici risulta ancora pi๠accentuato dalla particolare struttura degli illeciti ambientali presenti nel nostro ordinamento caratterizzati da un frequente rinvio, nella definizione del comportamento vietato, a fonti diverse dalla norma incriminatrice e generalmente sublegislative (secondo la tecnica delle norme penali in bianco). Invero, la necessità  di dover contemperare la tutela dell'ambiente con altri interessi antagonisti d'indiscutibile rilievo collettivo e spesso di rango costituzionale, ha fatto sଠche le fattispecie incriminatrici in materia ambientale siano per lo pi๠aggregate a complessi amministrativi di disciplina e gli illeciti da esse previsti si incentrino, fondamentalmente: sull'inosservanza di disposizioni, generali o particolari, impartite dalla Pubblica Amministrazione, sull'inadempimento di determinate formalità  quali, ad esempio, la richiesta del necessario provvedimento prescritto per l'esercizio di determinate attività  ovvero sul superamento di determinate soglie di rischio stabilite da fonti sublegislative. A fronte di fattispecie cosଠcostruite, il presente lavoro tentato di analizzare quali tra le fattispecie presenti nella materia de qua, sanzionano condotte in qualche misura effettivamente dotate di attitudine offensiva nei confronti del bene finale ambiente e quali, invece, incriminano condotte inosservanti sostanzialmente neutre quanto a disvalore e, rispetto alle quali, la disobbedienza al precetto parrebbe riassumere effettivamente l'unico elemento fondante il ricorso alla sanzione penale, posto che la tutela della funzione amministrativa sembrerebbe potersi giustificare solo se il controllo pubblico sia effettivamente finalizzato all'accertamento di quei requisiti di idoneità  in assenza dei quali, secondo l'id quod plerumque accidit, l'attività  controllata presenti un rilevante pericolo per il bene ambiente, e non anche quando detto controllo esprima la sola esigenza di garantire l'ordine e la regolarità  del suo svolgimento. A tal fine, stante la molteplicità  di illeciti ambientali esistenti, si ਠdeciso di procedere ad un'analisi degli stessi sulla base di una classificazione ((rectius: tripartizione) strutturata a seconda del comportamento tipizzato e del grado o livello di subordinazione della norma penale a fonti o provvedimenti extrapenali, distinguendo tra: 1) illeciti incentrati sul superamento dei limiti tabellari di emissione o immissione di sostanza nocive per l'ambiente indicati da fonti sub legislative; 2) illeciti incentrati sull'omessa richiesta di preventiva autorizzazione all'esercizio di talune attività  o sull'esercizio di attività  con autorizzazione sospesa o revocata o negata; 3) illeciti incentrati sul mancato rispetto di un obbligo di comunicazione o informazione alla Pubblica Amministrazione. Ebbene, dall'indagine effettuata si ਠgiunti alla conclusione che, pur avendo il legislatore optato nella quasi totalità  dei casi allo schema dei reati di pericolo astratto, in talune ipotesi la condotta incriminata risulta talmente †œlontana†� dalla messa in pericolo del bene ambiente da lasciare ragionevolmente presumere la natura esclusivamente formale dell'infrazione e il conseguente mancato rispetto del canone di offensività  che, come noto, identifica il reato come il fatto umano che, non solo violi il precetto, ma che rechi altresଠoffesa all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice.

Principio di necessaria offensività  e i reati ambientali

2013

Abstract

Il presente lavoro ha tentato di analizzare le principali problematiche e le interazioni tra reati ambientali presenti nel nostro ordinamento ed il principio di offensività  che, come noto, svolge un ruolo fondamentale nel diritto penale moderno. In particolare, l'indagine ha avuto due linee direttrici fondamentali: da una parte, l'analisi del principio in esame ed, in particolare, della concezione del reato come offesa a un bene giuridico, dall'altra, l'applicazione di tale principio ai reati ambientali che, proprio a fronte delle peculiarità  del bene giuridico tutelato †" l' ambiente †" che ਠun bene super-individuale ed aggredibile (nella maggior parte dei casi) da condotte †œseriali†�, presentano la struttura propria dei reati di pericolo astratto. In estrema sintesi si puಠdire che il principio di offensività , la cui forza e rango costituzionale sono ormai riconosciuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria, si fonda sul presupposto secondo cui deve considerarsi reato, e dunque necessita di sanzione penale, esclusivamente quel fatto umano che, non solo violi il precetto posto dal legislatore, ma che rechi altresଠoffesa, tanto nella forma della lesione effettiva quanto nell'esposizione a pericolo, all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice. Posto che il tema dell' offensività  à¨ naturalmente condizionato dall'esatta delimitazione della nozione di bene giuridico, in quanto soltanto una corretta qualificazione dell'oggetto dell'offesa, e dunque dell'interesse tutelato dalle singole norme incriminatrici, consente di individuare il grado di anticipazione della tutela realmente approntata con le singole fattispecie o quello giuridicamente ammissibile o politicamente opportuno, l'analisi ha affrontato la vexata questio dell'esatto inquadramento del bene ambiente nel novero dei c.d. beni strumentali - tutelabili in quanto la loro integrità  rappresenta lo strumento e la condizione per preservare beni ulteriori - ovvero in quello dei c.d. beni finali e, dunque, meritevoli e bisognosi di tutela in se e per sà©. Ed infatti, se per una parte della dottrina l'ambiente rappresenta il paradigma dei beni strumentali in quanto i vari elementi di cui esso si compone (acqua suolo etc.) sono penalmente protetti come condizioni e strumenti per assicurare l'integrità  di altri beni, individuali e collettivi quali la vita e la salute delle generazioni presenti e future, il patrimonio di singole e intere comunità , lo sviluppo economico etc., l'orientamento ad oggi prevalente, in un'ottica peraltro di maggior rispetto del canone dell'offensività  del reato, tende ad inquadrarlo nel genus dei beni finali, in quanto tale tutelabile in se per sà©. Ciಠpremesso, il primo problema che i reati ambientali pongono non ਠdi certo sconosciuto alla dottrina penalistica, in quanto attiene alla dibattuta questione della compatibilità  dei reati di pericolo presunto con il principio di offensività . Come noto, esso, nasce dalla circostanza che, in tali reati l'incriminazione si fonda su un giudizio di pericolosità  formulato direttamente dal legislatore sulla base dell'id quod plerumque accidit e, pertanto, ben puಠaccadere che vengano puniti comportamenti che, sebbene corrispondenti al modello legale, risultino in concreto inoffensivi poichà© privi di quella pericolosità  in vista della quale il legislatore ha, appunto, creato la norma penale. Al fine di scongiurare o quantomeno limitare un simile rischio ਠstata prospettata, in via generale, la necessità  di far leva sulla formulazione letterale della fattispecie incriminatrice dotando gli elementi utilizzati nella descrizione del fatto tipico di una †œpregnanza semantica†� tale da rendere difficilmente ipotizzabile che un fatto conforme a quello astratto non sia al contempo pericoloso per il bene tutelato. Tuttavia, nel settore del diritto penale dell'ambiente, la maggior parte delle fattispecie incriminatrici non presenta tale caratteristica ma, al contrario, le condotte risultano descritte attraverso l'uso di termini in sà© sostanzialmente privi di reale capacità  selettiva (es. immissione, scarico, smaltimento non autorizzato). In quest'ambito, poi, ancor pi๠che in altri, il problema della compatibilità  con il canone del reato come offesa a beni giuridici risulta ancora pi๠accentuato dalla particolare struttura degli illeciti ambientali presenti nel nostro ordinamento caratterizzati da un frequente rinvio, nella definizione del comportamento vietato, a fonti diverse dalla norma incriminatrice e generalmente sublegislative (secondo la tecnica delle norme penali in bianco). Invero, la necessità  di dover contemperare la tutela dell'ambiente con altri interessi antagonisti d'indiscutibile rilievo collettivo e spesso di rango costituzionale, ha fatto sଠche le fattispecie incriminatrici in materia ambientale siano per lo pi๠aggregate a complessi amministrativi di disciplina e gli illeciti da esse previsti si incentrino, fondamentalmente: sull'inosservanza di disposizioni, generali o particolari, impartite dalla Pubblica Amministrazione, sull'inadempimento di determinate formalità  quali, ad esempio, la richiesta del necessario provvedimento prescritto per l'esercizio di determinate attività  ovvero sul superamento di determinate soglie di rischio stabilite da fonti sublegislative. A fronte di fattispecie cosଠcostruite, il presente lavoro tentato di analizzare quali tra le fattispecie presenti nella materia de qua, sanzionano condotte in qualche misura effettivamente dotate di attitudine offensiva nei confronti del bene finale ambiente e quali, invece, incriminano condotte inosservanti sostanzialmente neutre quanto a disvalore e, rispetto alle quali, la disobbedienza al precetto parrebbe riassumere effettivamente l'unico elemento fondante il ricorso alla sanzione penale, posto che la tutela della funzione amministrativa sembrerebbe potersi giustificare solo se il controllo pubblico sia effettivamente finalizzato all'accertamento di quei requisiti di idoneità  in assenza dei quali, secondo l'id quod plerumque accidit, l'attività  controllata presenti un rilevante pericolo per il bene ambiente, e non anche quando detto controllo esprima la sola esigenza di garantire l'ordine e la regolarità  del suo svolgimento. A tal fine, stante la molteplicità  di illeciti ambientali esistenti, si ਠdeciso di procedere ad un'analisi degli stessi sulla base di una classificazione ((rectius: tripartizione) strutturata a seconda del comportamento tipizzato e del grado o livello di subordinazione della norma penale a fonti o provvedimenti extrapenali, distinguendo tra: 1) illeciti incentrati sul superamento dei limiti tabellari di emissione o immissione di sostanza nocive per l'ambiente indicati da fonti sub legislative; 2) illeciti incentrati sull'omessa richiesta di preventiva autorizzazione all'esercizio di talune attività  o sull'esercizio di attività  con autorizzazione sospesa o revocata o negata; 3) illeciti incentrati sul mancato rispetto di un obbligo di comunicazione o informazione alla Pubblica Amministrazione. Ebbene, dall'indagine effettuata si ਠgiunti alla conclusione che, pur avendo il legislatore optato nella quasi totalità  dei casi allo schema dei reati di pericolo astratto, in talune ipotesi la condotta incriminata risulta talmente †œlontana†� dalla messa in pericolo del bene ambiente da lasciare ragionevolmente presumere la natura esclusivamente formale dell'infrazione e il conseguente mancato rispetto del canone di offensività  che, come noto, identifica il reato come il fatto umano che, non solo violi il precetto, ma che rechi altresଠoffesa all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice.
2013
it
ambiente
Categorie ISI-CRUI::Scienze giuridiche::Law
principio di offensività 
reati ambientali
Scienze giuridiche
Settori Disciplinari MIUR::Scienze giuridiche::DIRITTO PENALE
Università degli Studi Roma Tre
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/273090
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA3-273090