Le teorie dell'anomia e della disorganizzazione sociale sono sempre richiamate come spiegazioni causali dell'altrimenti incomprensibile aumento dei reati registrato dal secondo dopoguerra in poi nelle società occidentali dell'urbanesimo industriale. Ma lo sviluppo e la modernizzazione (il riferimento ਠalla cosiddetta development-crime hypothesis) hanno funzionato in Sardegna come forze di contenimento di una intensa e diffusa conflittualità violenta, piuttosto che come fattori di moltiplicazione della devianza. Eppure, il graduale †œprocesso di civilizzazione†� (Elias 1988) non pare ancora compiuto in quei territori dell'isola che per ragioni storiche, demografiche e sociali restano pi๠legate alla cultura tradizionale (le cosiddette †œzone interne†�). Questi piccoli centri, afflitti da spopolamento e ridotte opportunità di sviluppo, continuano a rivolgersi al †œcodice della vendetta†� (Pigliaru, 1959) come ad †œun'abitudine acquisita†� (Weber, 1995) che sopravvive alla scomparsa del sistema economico-sociale che in passato lo ha originato e ne giustificava l'esistenza. Che la violenza ancora viva in questi piccoli universi sociali rappresenti un tentativo di conservazione dell'ordine sociale dato ਠindirettamente confermato dalla elevata incidenza che anche il suicidio qui registra con puntualità . La corrispondenza alto omicidio - alto suicidio, che già Durkheim identificava come tratto caratterizzante la vita delle società primitive, induce ad interpretare la persistenza della vendetta come il frutto di una società ancora fatta di segmenti omogenei che, non potendosi differenziare, competono tra loro in modo violento e distruttivo, oppure soccombono secondo le regole della solidarietà meccanica. Il percorso interpretativo conduce a rifiutare la spiegazione †œanomica†� classica (sia per l'omicidio, sia per il suicidio), che Durkheim legava invece alle società pi๠evolute, urbanizzate, liberate dal dominio del gruppo e tenute insieme dalla †œsolidarietà organica†�. Persuade, infine, a respingere il convincimento diffuso che la violenza omicida, per come si manifesta nel particolare contesto sardo, sia interpretabile nei termini di un ridotto controllo sociale. Per quanto paradossale possa sembrare, continua piuttosto ad esserne strumento a salvaguardia del presunto ordine comunitario.
Omicidio e suicidio nei piccoli centri della Sardegna: indagine su anomia e solidarietà meccanica attraverso le statistiche giudiziarie
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2009
Abstract
Le teorie dell'anomia e della disorganizzazione sociale sono sempre richiamate come spiegazioni causali dell'altrimenti incomprensibile aumento dei reati registrato dal secondo dopoguerra in poi nelle società occidentali dell'urbanesimo industriale. Ma lo sviluppo e la modernizzazione (il riferimento ਠalla cosiddetta development-crime hypothesis) hanno funzionato in Sardegna come forze di contenimento di una intensa e diffusa conflittualità violenta, piuttosto che come fattori di moltiplicazione della devianza. Eppure, il graduale †œprocesso di civilizzazione†� (Elias 1988) non pare ancora compiuto in quei territori dell'isola che per ragioni storiche, demografiche e sociali restano pi๠legate alla cultura tradizionale (le cosiddette †œzone interne†�). Questi piccoli centri, afflitti da spopolamento e ridotte opportunità di sviluppo, continuano a rivolgersi al †œcodice della vendetta†� (Pigliaru, 1959) come ad †œun'abitudine acquisita†� (Weber, 1995) che sopravvive alla scomparsa del sistema economico-sociale che in passato lo ha originato e ne giustificava l'esistenza. Che la violenza ancora viva in questi piccoli universi sociali rappresenti un tentativo di conservazione dell'ordine sociale dato ਠindirettamente confermato dalla elevata incidenza che anche il suicidio qui registra con puntualità . La corrispondenza alto omicidio - alto suicidio, che già Durkheim identificava come tratto caratterizzante la vita delle società primitive, induce ad interpretare la persistenza della vendetta come il frutto di una società ancora fatta di segmenti omogenei che, non potendosi differenziare, competono tra loro in modo violento e distruttivo, oppure soccombono secondo le regole della solidarietà meccanica. Il percorso interpretativo conduce a rifiutare la spiegazione †œanomica†� classica (sia per l'omicidio, sia per il suicidio), che Durkheim legava invece alle società pi๠evolute, urbanizzate, liberate dal dominio del gruppo e tenute insieme dalla †œsolidarietà organica†�. Persuade, infine, a respingere il convincimento diffuso che la violenza omicida, per come si manifesta nel particolare contesto sardo, sia interpretabile nei termini di un ridotto controllo sociale. Per quanto paradossale possa sembrare, continua piuttosto ad esserne strumento a salvaguardia del presunto ordine comunitario.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/298016
URN:NBN:IT:UNISS-298016