Tradizionalmente, gli enti collettivi si sono impegnati nella prevenzione della commissione di reati ambientali ricorrendo ai Modelli di Organizzazione e Gestione (MOG) adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001 disciplinante la responsabilità amministrativa da reato degli enti per taluni reati, definiti reati presupposto, fra i quali risultano compresi i reati ambientali. Negli ultimi anni, tuttavia, si avverte l’esigenza di poter adottare sistemi economici differenti da quelli attuali, che consentano di intervenire a monte dell’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione, al fine di ridurre il rischio di commissione di reati ambientali, soprattutto in materia di rifiuti, mediante scelte economiche più sostenibili. Se con il MOG si interviene per prevenire che vi sia un utilizzo o una gestione illecita dei rifiuti prodotti, tale da poter integrare ipotesi di reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti, attraverso il ricorso a sistemi di economia circolare si può, infatti, a monte, prevenire la stessa produzione di rifiuti, riducendola a pochi casi. Si tratta, quindi, di un’ulteriore anticipazione: si interviene, dapprima, con l’adozione di strategie economiche sostenibili, per prevenire la produzione dei rifiuti e, in un secondo momento, attraverso l’adozione del MOG, per prevenire una gestione illecita dei residui rifiuti prodotti e, dunque, per evitare ipotesi di responsabilità amministrativa da reato degli enti, così riducendo ampiamente sia i rischi ambientali, sia i rischi di sanzioni per le aziende. L’adozione di modelli economici improntati ad una maggiore sostenibilità ambientale, come l’economia circolare, rende necessario, in ogni caso, anche il ripensamento dei Modelli adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001 che, opportunamente integrati, possono prestarsi ad essere utilizzati dalle aziende come sistemi di governo consapevole anche in ottica sostenibilità. Al fine di elaborare un modello concreto di attuazione di tali principi, l’indagine prenderà le mosse dalla disamina dei principi che governano la tutela penale dell’ambiente, a livello sovranazionale e nazionale. Nello specifico, particolare attenzione sarà dedicata alla legge costituzionale n. 1 del 2022 che ha inciso sull’art. 9 Cost., modificando il comma 2, il quale ora attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare, oltre al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della nazione, anche “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Oggetto di analisi e approfondimento sarà, inoltre, la direttiva 2024/1203, sostitutiva delle direttive 2008/99 CE e 2009/123 CE. Tale intervento normativo è di particolare rilevanza perché il legislatore europeo interviene con l’obiettivo, fra gli altri, di meglio definire il concetto di danno ambientale, specificando che il danno ambientale deve essere inteso come danno alle singole matrici ambientali e, cioè, alle varie componenti dell’ecosistema. Il susseguirsi di importanti e costanti interventi legislativi in materia ambientale dimostra l’attenzione crescente che negli ultimi anni è stata rivolta alla necessità di proteggere l’ambiente, al fine di contrastare il cambiamento climatico, ridurre l’inquinamento e il verificarsi di drammatici eventi, con un’attenzione, tuttavia, anche alle attività produttive e alla loro necessità di poter continuare ad operare. Dopo aver messo a fuoco i principi relativi alla tutela dell’ambiente, si procederà alla ricostruzione dei più importanti illeciti penali ambientali fra quelli compresi nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti. Lo scopo della trattazione è quello di individuare le fattispecie di reato ambientale a cui gli enti collettivi rischiano maggiormente di andare incontro nella loro attività, delineandone la disciplina e le questioni di maggiore rilevanza nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La trattazione delle fattispecie più rilevanti, contenute sia nel Testo Unico dell’Ambiente, sia nel Codice penale a seguito della Legge n. 68/2015, è di fondamentale importanza poiché l’identificazione dei rischi potenziali costituisce il primo passaggio fondamentale per l’adozione del MOG. Dunque, comprendere quali sono le fattispecie più rilevanti, le loro caratteristiche e le questioni che hanno maggiormente animato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale è funzionale alla comprensione delle modalità con le quali i MOG vengono costruiti a livello aziendale. Fra le fattispecie analizzate, assumono particolare rilievo i reati in materia di rifiuti contenuti nel Testo Unico dell’Ambiente, rispetto ai quali diventa centrale la definizione di rifiuto, avuto riguardo anche alla nozione di sottoprodotto. Vengono poi analizzati i c.d. eco-delitti, inseriti nel Codice penale: inquinamento ambientale, disastro ambientale, delitti colposi contro l’ambiente, traffico di materiale radioattivo e la c.d. aggravante ambientale. Si darà adeguato spazio alle condotte riparatorie, muovendo dal presupposto che il risarcimento in forma economica del danno conseguente ad un reato ambientale, non ripara mai interamente l’offesa poiché essa non si esaurisce nel mero aspetto patrimoniale. Nel settore ambientale, in particolare, la condotta riparatoria assume tre forme particolari: messa in sicurezza, bonifica e ripristino, o anche recupero, così come definiti dall’art. 240 TUA, che sembrano collocarsi in un’ideale progressione logica e temporale che va dalla graduale eliminazione di fattori di rischio fino alla riconduzione del sito alla sua originaria fruibilità. Una volta individuati i principali reati ambientali a cui l’ente rischia di andare incontro nello svolgimento della propria attività, si analizzerà il sistema di prevenzione dei reati ambientali adottato dagli enti collettivi: il Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001. La trattazione si concentrerà sul Modello, delineandone definizioni e finalità, per poi passare a verificare come effettivamente le aziende costruiscano i loro Modelli. Dall’analisi congiunta della normativa 231, delle linee guida e delle pronunce giurisprudenziali, è possibile giungere alla determinazione di quelle che possono essere definite attività propedeutiche alla costruzione dei modelli 231, distinguendo due fasi fondamentali: 1. la fase di identificazione dei rischi potenziali: che consiste nell’analisi del contesto aziendale allo scopo di individuare le cosiddette “aree sensibili” (ossia quelle aree o settori di attività astrattamente a rischio reato 231); 2. la fase di progettazione del sistema di controllo (con la definizione dei “protocolli”), mediante la valutazione del sistema già esistente allo scopo di adeguarlo rispetto ai rischi individuati e valutati. Si vedrà come predette fasi devono inserirsi in un processo continuo di adeguamento che tenga conto dei cambiamenti del contesto ambientale in cui opera l’impresa e che coinvolgono anche il quadro normativo (ad esempio, introduzione di nuovi reati presupposto “231”) e delle innovazioni dovute a precise scelte strategiche (ad esempio, modifiche della struttura organizzativa, apertura di nuove sedi, acquisizioni, ecc.). Si passerà, quindi, alla disamina delle condotte riparative dell’ente collettivo. Difatti, il momento riparativo acquista importanza non solo per la persona fisica autrice del reato ma anche per la posizione processuale dell’ente come risulta dall’analisi della normativa sanzionatoria ambientale e dall’analisi delle norme incluse nel Titolo VI bis c.p. Emerge, infatti, chiaramente la volontà del legislatore di attribuire rilevanza all’atteggiamento virtuoso degli enti, con l’adozione post delictum di un modello di organizzazione e gestione, ma anche attraverso la riparazione del danno, la riparazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero l’essersi efficacemente adoperato in tal senso (artt. 17 e 12 del d.lgs. 231/2001). Dunque, la disciplina è delineata oltre che in chiave preventiva e repressiva del crimine delle organizzazioni, anche nel senso di dare rilievo a condotte collaborative e riparatorie, tenute dall’ente quale responsabile dell’illecito in un’ottica special preventiva. Come anticipato, il modello tradizionale di prevenzione dei reati ambientali attraverso l’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001 deve, oggi, essere ripensato alla luce dei principi dell’economia circolare. Le questioni ambientali e sociali entrano, infatti, nei processi decisionali aziendali e le imprese devono affrontare, con crescente consapevolezza, gli effetti negativi che l’attività di impresa può avere sull’ambiente, sulla società, sul cambiamento climatico, sull’inquinamento e sui diritti umani. Tale nuova coscienza ha condotto al progressivo sviluppo di un senso di responsabilità sociale delle imprese, responsabilità nota come “Corporate Sustainability and Responsability” (CSR). Nell’ambito della gestione aziendale diventa fondamentale poter gestire correttamente i fattori Environmental, Social, Governance (ESG), poiché gli amministratori devono agire come “fiduciari” non solo per gli azionisti, ma anche per la comunità, orientando le decisioni aziendali all’interesse dell’intera comunità, così riconoscendosi alle realtà societarie uno scopo sociale oltreché economico. In questo contesto, un ruolo centrale assume proprio l’economia circolare, che comporta implicazioni profonde per le imprese e per il loro posizionamento nei fattori ESG. Difatti, adottare pratiche circolari non è soltanto una scelta sostenibile, ma anche strategica per migliorare la produttività aziendale e il rating ESG. Il quarto capitolo ha, per l’appunto, ad oggetto, l’economia circolare, a partire dalle sue origini nella legislazione federale tedesca e nel diritto dell’Unione europea, fino alla riforma della parte IV del Codice dell’Ambiente. Si cerca di evidenziare come, se pienamente attuata, l’economia circolare potrebbe incidere sul diritto penale dell’ambiente, divenendo bene giuridico intermedio rispetto ai beni ambiente e sviluppo economico e favorendo la sottrazione di materia alla gestione criminale dei rifiuti. La trattazione si concentra poi sul ruolo del Modello 231 rispetto all’ambiente in ottica di economia circolare e, dunque, quale supporto alla sostenibilità delle procedure aziendali. Risulterà, infatti, evidente la necessità di un processo di integrazione tra compliance 231 e sostenibilità: i modelli 231, concepiti al fine di prevenire il rischio di compimento dei reati presupposto, contengono a tal fine principi, regole, divieti, norme di condotta necessarie per disciplinare comportamenti aziendali che potrebbero anche solo ipoteticamente dar luogo alla commissione di reati presupposto nell’interesse e a vantaggio dell’ente. In tal senso, l’arricchimento e l’integrazione dei modelli attraverso l’introduzione di regole di comportamento a tutela dell’ambiente consente non solo di rendere maggiormente efficace la prevenzione dei rischi 231, ma anche di evitare un potenziale impatto negativo in materia di sostenibilità a danno dell’ente e dei propri stakeholder. In tal modo, il modello verrebbe strutturato sin dall’inizio con la duplice finalità di prevenire i rischi 231 e, al contempo, di conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile che l’ente si è prefissato. Il quinto ed ultimo capitolo ha ad oggetto l’analisi del Modello organizzativo 231 adottato ed attuato da “SEI TOSCANA s.r.l.”, azienda con sede principale a Siena, al fine di offrire un’esemplificazione dell’applicazione pratica di un Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001 in modo da individuarne punti di forza, eventuali elementi di criticità e, infine, proporne una rilettura in prospettiva di economia circolare, con l’obiettivo, quindi, di realizzare un modello “integrato” in chiave Environment. L’analisi del modello organizzativo 231 aziendale e le prospettive di modifica ipotizzate, sono il risultato di un periodo di tirocinio svolto presso SEI TOSCANA s.r.l. dal 10 ottobre 2022 al 05 dicembre 2022. Il presente progetto di ricerca risulta, infatti, inserito nel programma PON, Piano Operativo Nazionale, Ricerca e Innovazione, rientrante nell’ambito del PNRR. Nel corso di tale esperienza che, seppur breve, è stata particolarmente significativa, la scrivente è stata inserita all’interno dell’Ufficio affari legali, societari e compliance dell’Azienda, affiancando la responsabile in tutte le attività quotidiane. L’esperienza si è rivelata estremamente costruttiva: la scrivente ha avuto, infatti, la possibilità di studiare e analizzare in concreto il modello organizzativo adottato dall’azienda ai sensi del D.lgs. 231/2001, di studiare il Codice etico, e di vedere da vicino quali criticità emergono nei contesti aziendali al momento dell’effettiva applicazione del modello predisposto. Le conoscenze acquisite nel corso del tirocinio aziendale e l’analisi di un insieme di documenti analiticamente riportati, consente di affermare che, allo stato, la SEI Toscana s.r.l. è ben lontana da una concreta e attuale applicazione dei principi dell’economia circolare. Un primo dato significativo, sotto questo punto di vista, si rinviene nello stesso Codice etico che, nel delineare i criteri di condotta generale, in tema di tutela dell’ambiente non fa alcuna menzione ai principi dell’economia circolare. Da questo punto di vista, quindi, si ritiene che l’Azienda potrebbe intervenire con un’opportuna integrazione, volta a ridurre l’impatto ambientale, incentivando un’offerta di prodotti in grado di essere riutilizzati ed un’economia che premi la qualità, piuttosto che il consumo eccessivo. Anche il Modello 231 adottato dalla Sei Toscana s.r.l. non si discosta dal tradizionale approccio normalmente adottato dalle aziende per la prevenzione dei reati ambientali presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti. L’azienda si è, infatti, impegnata nell’individuare i rischi per l’ambiente derivanti, direttamente o indirettamente, dalla propria attività, ha individuato le aree di rischio potenziale e, conseguentemente, ha adottato i propri correttivi interni al fine di prevenirne la commissione. Tuttavia, non è stata in alcun modo presa in considerazione, la possibilità di intervenire, a monte, per promuovere una riduzione del quantitativo di rifiuti prodotti o per favorirne, nell’immediato, un riutilizzo sostenibile. Si ritiene, conclusivamente, che l’azienda potrebbe adottare un approccio più attivo nella gestione dei rifiuti, in linea con l’economia circolare, muovendosi, da un lato, verso la riduzione del quantitativo di rifiuti da essa stessa prodotti e, dall’altro, nel senso di favorire un immediato riutilizzo dei rifiuti raccolti. Quanto a quest’ultimo aspetto, il Modello dovrebbe prevedere che, nell’ambito delle attività maggiormente a rischio di commissione di reati in materia di rifiuti presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti - dunque nei settori di lavaggio, manutenzione, rimessaggio automezzi, servizi al personale, nonché nei Centri di Raccolta- si provveda ad evitare di far confluire i prodotti in discarica, recuperandoli e reimmettendoli nel ciclo produttivo, come energia, previ processi di termovalorizzazione, contribuendo così a ridurre il carico ambientale, a risparmiare energia e diminuire le emissioni di gas serra. Il sistema così delineato, realizzando una piena integrazione fra Modello 231 e il fattore Environment, nel quadro dei principi dell’economia circolare, consentirebbe di attuare un’economia sostenibile, ridurre i rifiuti, reimpiegarli in energia sostenibile, ridurre il rischio di commissione di reati ambientali in materia di rifiuti, prevenendo, in definitiva, rischi per l’ambiente e profili di responsabilità da reato dell’ente.
LA PREVENZIONE DEI REATI AMBIENTALI NEGLI ENTI COLLETTIVI: DAL TRADIZIONALE “MODELLO 231” AL “MODELLO 231” IN CHIAVE ENVIRONMENT, ALLA LUCE DEI PRINCIPI DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
BANCHI, ELENA
2025
Abstract
Tradizionalmente, gli enti collettivi si sono impegnati nella prevenzione della commissione di reati ambientali ricorrendo ai Modelli di Organizzazione e Gestione (MOG) adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001 disciplinante la responsabilità amministrativa da reato degli enti per taluni reati, definiti reati presupposto, fra i quali risultano compresi i reati ambientali. Negli ultimi anni, tuttavia, si avverte l’esigenza di poter adottare sistemi economici differenti da quelli attuali, che consentano di intervenire a monte dell’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione, al fine di ridurre il rischio di commissione di reati ambientali, soprattutto in materia di rifiuti, mediante scelte economiche più sostenibili. Se con il MOG si interviene per prevenire che vi sia un utilizzo o una gestione illecita dei rifiuti prodotti, tale da poter integrare ipotesi di reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti, attraverso il ricorso a sistemi di economia circolare si può, infatti, a monte, prevenire la stessa produzione di rifiuti, riducendola a pochi casi. Si tratta, quindi, di un’ulteriore anticipazione: si interviene, dapprima, con l’adozione di strategie economiche sostenibili, per prevenire la produzione dei rifiuti e, in un secondo momento, attraverso l’adozione del MOG, per prevenire una gestione illecita dei residui rifiuti prodotti e, dunque, per evitare ipotesi di responsabilità amministrativa da reato degli enti, così riducendo ampiamente sia i rischi ambientali, sia i rischi di sanzioni per le aziende. L’adozione di modelli economici improntati ad una maggiore sostenibilità ambientale, come l’economia circolare, rende necessario, in ogni caso, anche il ripensamento dei Modelli adottati ai sensi del D.lgs. 231/2001 che, opportunamente integrati, possono prestarsi ad essere utilizzati dalle aziende come sistemi di governo consapevole anche in ottica sostenibilità. Al fine di elaborare un modello concreto di attuazione di tali principi, l’indagine prenderà le mosse dalla disamina dei principi che governano la tutela penale dell’ambiente, a livello sovranazionale e nazionale. Nello specifico, particolare attenzione sarà dedicata alla legge costituzionale n. 1 del 2022 che ha inciso sull’art. 9 Cost., modificando il comma 2, il quale ora attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare, oltre al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della nazione, anche “l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Oggetto di analisi e approfondimento sarà, inoltre, la direttiva 2024/1203, sostitutiva delle direttive 2008/99 CE e 2009/123 CE. Tale intervento normativo è di particolare rilevanza perché il legislatore europeo interviene con l’obiettivo, fra gli altri, di meglio definire il concetto di danno ambientale, specificando che il danno ambientale deve essere inteso come danno alle singole matrici ambientali e, cioè, alle varie componenti dell’ecosistema. Il susseguirsi di importanti e costanti interventi legislativi in materia ambientale dimostra l’attenzione crescente che negli ultimi anni è stata rivolta alla necessità di proteggere l’ambiente, al fine di contrastare il cambiamento climatico, ridurre l’inquinamento e il verificarsi di drammatici eventi, con un’attenzione, tuttavia, anche alle attività produttive e alla loro necessità di poter continuare ad operare. Dopo aver messo a fuoco i principi relativi alla tutela dell’ambiente, si procederà alla ricostruzione dei più importanti illeciti penali ambientali fra quelli compresi nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti. Lo scopo della trattazione è quello di individuare le fattispecie di reato ambientale a cui gli enti collettivi rischiano maggiormente di andare incontro nella loro attività, delineandone la disciplina e le questioni di maggiore rilevanza nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La trattazione delle fattispecie più rilevanti, contenute sia nel Testo Unico dell’Ambiente, sia nel Codice penale a seguito della Legge n. 68/2015, è di fondamentale importanza poiché l’identificazione dei rischi potenziali costituisce il primo passaggio fondamentale per l’adozione del MOG. Dunque, comprendere quali sono le fattispecie più rilevanti, le loro caratteristiche e le questioni che hanno maggiormente animato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale è funzionale alla comprensione delle modalità con le quali i MOG vengono costruiti a livello aziendale. Fra le fattispecie analizzate, assumono particolare rilievo i reati in materia di rifiuti contenuti nel Testo Unico dell’Ambiente, rispetto ai quali diventa centrale la definizione di rifiuto, avuto riguardo anche alla nozione di sottoprodotto. Vengono poi analizzati i c.d. eco-delitti, inseriti nel Codice penale: inquinamento ambientale, disastro ambientale, delitti colposi contro l’ambiente, traffico di materiale radioattivo e la c.d. aggravante ambientale. Si darà adeguato spazio alle condotte riparatorie, muovendo dal presupposto che il risarcimento in forma economica del danno conseguente ad un reato ambientale, non ripara mai interamente l’offesa poiché essa non si esaurisce nel mero aspetto patrimoniale. Nel settore ambientale, in particolare, la condotta riparatoria assume tre forme particolari: messa in sicurezza, bonifica e ripristino, o anche recupero, così come definiti dall’art. 240 TUA, che sembrano collocarsi in un’ideale progressione logica e temporale che va dalla graduale eliminazione di fattori di rischio fino alla riconduzione del sito alla sua originaria fruibilità. Una volta individuati i principali reati ambientali a cui l’ente rischia di andare incontro nello svolgimento della propria attività, si analizzerà il sistema di prevenzione dei reati ambientali adottato dagli enti collettivi: il Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001. La trattazione si concentrerà sul Modello, delineandone definizioni e finalità, per poi passare a verificare come effettivamente le aziende costruiscano i loro Modelli. Dall’analisi congiunta della normativa 231, delle linee guida e delle pronunce giurisprudenziali, è possibile giungere alla determinazione di quelle che possono essere definite attività propedeutiche alla costruzione dei modelli 231, distinguendo due fasi fondamentali: 1. la fase di identificazione dei rischi potenziali: che consiste nell’analisi del contesto aziendale allo scopo di individuare le cosiddette “aree sensibili” (ossia quelle aree o settori di attività astrattamente a rischio reato 231); 2. la fase di progettazione del sistema di controllo (con la definizione dei “protocolli”), mediante la valutazione del sistema già esistente allo scopo di adeguarlo rispetto ai rischi individuati e valutati. Si vedrà come predette fasi devono inserirsi in un processo continuo di adeguamento che tenga conto dei cambiamenti del contesto ambientale in cui opera l’impresa e che coinvolgono anche il quadro normativo (ad esempio, introduzione di nuovi reati presupposto “231”) e delle innovazioni dovute a precise scelte strategiche (ad esempio, modifiche della struttura organizzativa, apertura di nuove sedi, acquisizioni, ecc.). Si passerà, quindi, alla disamina delle condotte riparative dell’ente collettivo. Difatti, il momento riparativo acquista importanza non solo per la persona fisica autrice del reato ma anche per la posizione processuale dell’ente come risulta dall’analisi della normativa sanzionatoria ambientale e dall’analisi delle norme incluse nel Titolo VI bis c.p. Emerge, infatti, chiaramente la volontà del legislatore di attribuire rilevanza all’atteggiamento virtuoso degli enti, con l’adozione post delictum di un modello di organizzazione e gestione, ma anche attraverso la riparazione del danno, la riparazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero l’essersi efficacemente adoperato in tal senso (artt. 17 e 12 del d.lgs. 231/2001). Dunque, la disciplina è delineata oltre che in chiave preventiva e repressiva del crimine delle organizzazioni, anche nel senso di dare rilievo a condotte collaborative e riparatorie, tenute dall’ente quale responsabile dell’illecito in un’ottica special preventiva. Come anticipato, il modello tradizionale di prevenzione dei reati ambientali attraverso l’adozione del Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001 deve, oggi, essere ripensato alla luce dei principi dell’economia circolare. Le questioni ambientali e sociali entrano, infatti, nei processi decisionali aziendali e le imprese devono affrontare, con crescente consapevolezza, gli effetti negativi che l’attività di impresa può avere sull’ambiente, sulla società, sul cambiamento climatico, sull’inquinamento e sui diritti umani. Tale nuova coscienza ha condotto al progressivo sviluppo di un senso di responsabilità sociale delle imprese, responsabilità nota come “Corporate Sustainability and Responsability” (CSR). Nell’ambito della gestione aziendale diventa fondamentale poter gestire correttamente i fattori Environmental, Social, Governance (ESG), poiché gli amministratori devono agire come “fiduciari” non solo per gli azionisti, ma anche per la comunità, orientando le decisioni aziendali all’interesse dell’intera comunità, così riconoscendosi alle realtà societarie uno scopo sociale oltreché economico. In questo contesto, un ruolo centrale assume proprio l’economia circolare, che comporta implicazioni profonde per le imprese e per il loro posizionamento nei fattori ESG. Difatti, adottare pratiche circolari non è soltanto una scelta sostenibile, ma anche strategica per migliorare la produttività aziendale e il rating ESG. Il quarto capitolo ha, per l’appunto, ad oggetto, l’economia circolare, a partire dalle sue origini nella legislazione federale tedesca e nel diritto dell’Unione europea, fino alla riforma della parte IV del Codice dell’Ambiente. Si cerca di evidenziare come, se pienamente attuata, l’economia circolare potrebbe incidere sul diritto penale dell’ambiente, divenendo bene giuridico intermedio rispetto ai beni ambiente e sviluppo economico e favorendo la sottrazione di materia alla gestione criminale dei rifiuti. La trattazione si concentra poi sul ruolo del Modello 231 rispetto all’ambiente in ottica di economia circolare e, dunque, quale supporto alla sostenibilità delle procedure aziendali. Risulterà, infatti, evidente la necessità di un processo di integrazione tra compliance 231 e sostenibilità: i modelli 231, concepiti al fine di prevenire il rischio di compimento dei reati presupposto, contengono a tal fine principi, regole, divieti, norme di condotta necessarie per disciplinare comportamenti aziendali che potrebbero anche solo ipoteticamente dar luogo alla commissione di reati presupposto nell’interesse e a vantaggio dell’ente. In tal senso, l’arricchimento e l’integrazione dei modelli attraverso l’introduzione di regole di comportamento a tutela dell’ambiente consente non solo di rendere maggiormente efficace la prevenzione dei rischi 231, ma anche di evitare un potenziale impatto negativo in materia di sostenibilità a danno dell’ente e dei propri stakeholder. In tal modo, il modello verrebbe strutturato sin dall’inizio con la duplice finalità di prevenire i rischi 231 e, al contempo, di conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile che l’ente si è prefissato. Il quinto ed ultimo capitolo ha ad oggetto l’analisi del Modello organizzativo 231 adottato ed attuato da “SEI TOSCANA s.r.l.”, azienda con sede principale a Siena, al fine di offrire un’esemplificazione dell’applicazione pratica di un Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D.lgs. 231/2001 in modo da individuarne punti di forza, eventuali elementi di criticità e, infine, proporne una rilettura in prospettiva di economia circolare, con l’obiettivo, quindi, di realizzare un modello “integrato” in chiave Environment. L’analisi del modello organizzativo 231 aziendale e le prospettive di modifica ipotizzate, sono il risultato di un periodo di tirocinio svolto presso SEI TOSCANA s.r.l. dal 10 ottobre 2022 al 05 dicembre 2022. Il presente progetto di ricerca risulta, infatti, inserito nel programma PON, Piano Operativo Nazionale, Ricerca e Innovazione, rientrante nell’ambito del PNRR. Nel corso di tale esperienza che, seppur breve, è stata particolarmente significativa, la scrivente è stata inserita all’interno dell’Ufficio affari legali, societari e compliance dell’Azienda, affiancando la responsabile in tutte le attività quotidiane. L’esperienza si è rivelata estremamente costruttiva: la scrivente ha avuto, infatti, la possibilità di studiare e analizzare in concreto il modello organizzativo adottato dall’azienda ai sensi del D.lgs. 231/2001, di studiare il Codice etico, e di vedere da vicino quali criticità emergono nei contesti aziendali al momento dell’effettiva applicazione del modello predisposto. Le conoscenze acquisite nel corso del tirocinio aziendale e l’analisi di un insieme di documenti analiticamente riportati, consente di affermare che, allo stato, la SEI Toscana s.r.l. è ben lontana da una concreta e attuale applicazione dei principi dell’economia circolare. Un primo dato significativo, sotto questo punto di vista, si rinviene nello stesso Codice etico che, nel delineare i criteri di condotta generale, in tema di tutela dell’ambiente non fa alcuna menzione ai principi dell’economia circolare. Da questo punto di vista, quindi, si ritiene che l’Azienda potrebbe intervenire con un’opportuna integrazione, volta a ridurre l’impatto ambientale, incentivando un’offerta di prodotti in grado di essere riutilizzati ed un’economia che premi la qualità, piuttosto che il consumo eccessivo. Anche il Modello 231 adottato dalla Sei Toscana s.r.l. non si discosta dal tradizionale approccio normalmente adottato dalle aziende per la prevenzione dei reati ambientali presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti. L’azienda si è, infatti, impegnata nell’individuare i rischi per l’ambiente derivanti, direttamente o indirettamente, dalla propria attività, ha individuato le aree di rischio potenziale e, conseguentemente, ha adottato i propri correttivi interni al fine di prevenirne la commissione. Tuttavia, non è stata in alcun modo presa in considerazione, la possibilità di intervenire, a monte, per promuovere una riduzione del quantitativo di rifiuti prodotti o per favorirne, nell’immediato, un riutilizzo sostenibile. Si ritiene, conclusivamente, che l’azienda potrebbe adottare un approccio più attivo nella gestione dei rifiuti, in linea con l’economia circolare, muovendosi, da un lato, verso la riduzione del quantitativo di rifiuti da essa stessa prodotti e, dall’altro, nel senso di favorire un immediato riutilizzo dei rifiuti raccolti. Quanto a quest’ultimo aspetto, il Modello dovrebbe prevedere che, nell’ambito delle attività maggiormente a rischio di commissione di reati in materia di rifiuti presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti - dunque nei settori di lavaggio, manutenzione, rimessaggio automezzi, servizi al personale, nonché nei Centri di Raccolta- si provveda ad evitare di far confluire i prodotti in discarica, recuperandoli e reimmettendoli nel ciclo produttivo, come energia, previ processi di termovalorizzazione, contribuendo così a ridurre il carico ambientale, a risparmiare energia e diminuire le emissioni di gas serra. Il sistema così delineato, realizzando una piena integrazione fra Modello 231 e il fattore Environment, nel quadro dei principi dell’economia circolare, consentirebbe di attuare un’economia sostenibile, ridurre i rifiuti, reimpiegarli in energia sostenibile, ridurre il rischio di commissione di reati ambientali in materia di rifiuti, prevenendo, in definitiva, rischi per l’ambiente e profili di responsabilità da reato dell’ente.| File | Dimensione | Formato | |
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