Il tema del disagio psichico impegna il diritto penale sia quando il folle commette un reato, sia quando il disagio emerge nel corso dell’esecuzione della pena. La presente ricerca si è concentrata principalmente sull’analisi degli strumenti per fornire una prestazione di cura, contemperandola con le esigenze di salvaguardia della difesa sociale. Partendo dalle origini e dallo sviluppo del lungo processo di superamento della logica manicomiale, si è inteso tracciare l’evoluzione delle soluzioni adottate nell’ordinamento italiano in tema di trattamento dell’autore di reato affetto da infermità psichica. L’analisi si è quindi concentrata sul sistema delle cosiddette REMS, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ad esclusiva gestione sanitaria, introdotte con la riforma operata dalle leggi n. 9/2012 e n. 81/2014. Seppure si sia trattato di una soluzione innovativa, soprattutto nel panorama comparatistico, le REMS hanno tuttavia sin dagli esordi sollevato aspre critiche, a causa dei limitati posti messi a disposizione in base alla normativa ad esse applicabile, risultando inidonee ad accogliere tutti i soggetti ivi indirizzati dalla autorità giudiziaria. L’analisi delle ragioni di questa crisi precoce ha innanzitutto comportato una riflessione sul complessivo sistema di gestione del malato psichico intercettato dal “circuito” penale, al fine di comprendere se effettivamente la concreta attuazione della riforma e le scelte legislative operate dall’ordinamento italiano necessitino di una nuova radicale rivisitazione. Ciò che si è inteso sottoporre ad approfondimento è la persistenza di un dibattito culturale di carattere più generale, risalente nella storia delle idee giuridico-penali e tuttora aperto e sostanzialmente irrisolto. Fra i cultori del diritto penale sostanziale è agevole riscontrare una divisione tra coloro i quali ritengono che la soluzione preferibile sia quella improntata alla conservazione del sistema del doppio binario, sia pure apportando le riforme necessarie ad adeguare il sistema penale sostanziale alla intervenuta riforma, e quanti ritengono invece che le misure di sicurezza debbano essere abolite, giungendo, in alcuni casi, a ipotizzare l’eliminazione stessa dell’imputabilità e non la semplice revisione della categoria della pericolosità sociale. È sempre più evidente e di stringente attualità, cioè, nel quadro di mutate sensibilità normative e di problematiche evoluzioni dei saperi psichiatrici, il problema della distinzione tra pericolosità sociale e bisogno di cura e del loro difficile equilibrio in un contesto reale che esige una differenziazione dei percorsi trattamentali e penitenziari. Il complesso delle soluzioni illustrate nel lavoro conferma l’impostazione innovativa delle riforme introdotte, tenuto conto anche del quadro internazionale. L’analisi comparata si è conclusa nel senso che, allo stato attuale della cultura giuridica e degli orientamenti sociali che caratterizzano la realtà italiana, la soluzione di eliminare radicalmente l’idea dell’imputabilità sembra francamente utopistica. Appare invece più condivisibile l’adozione dell’approccio fondato sull’idea che una rete di strumenti e figure professionali funzionale ad una prevenzione precoce costituisca una scelta più promettente dal punto di vista dell’efficacia, consentendo lo sviluppo di modelli di gestione comunitaria del disagio psichico su cui investire anche finanziariamente. Su questa base, inoltre, emerge l’opportunità di mantenere la gestione sanitaria del disagio mentale come elemento, certamente non esclusivo, ma centrale nell’organizzazione delle competenze delle autorità pubbliche. Si tratta, d’altronde, di una raccomandazione che viene dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale auspica che l’accertamento della condizione soggettiva della persona detenuta sia effettuata da un’autorità competente sulla base di una perizia medica obiettiva, secondo una procedura che elimini ogni rischio di arbitrarietà. È stata svolta una valutazione dei progetti di riforma della gestione penale del disagio mentale. I tentativi di superamento del sistema del c.d. doppio binario si dispongono lungo due direttrici ideali, da tempo tematizzate in dottrina. Da un lato, si pone l’abolizionismo, che si fonda sul riconoscimento di una sfera di libertà anche in capo al malato di mente e a sua volta presenta le due diverse linee propositive della carcerizzazione e della medicalizzazione. Dall’altro lato si collocano gli indirizzi riformisti, i quali non abbandonano la logica dell’istituzionalizzazione ma tendono a rivedere l’attuale disciplina esecutiva relativa ai malati di mente autori di reato, intervenendo sia sul trattamento custodiale che sulla concreta gestione delle nuove strutture. A questi approcci – e in particolare al tema della ripartizione delle competenze fra diritto e psichiatria, fra giudici e consulenti, nel decidere sul trattamento del disagio psichico – è sottesa l’esigenza di controllo del rapporto tra libertà personale e necessità terapeutiche, una esigenza che a sua volta si traduce in un problema di allocazione del potere di definire la misura da applicare e la sua gestione. È un tema del tutto aperto, di cui nelle considerazioni conclusive si cerca di individuare gli elementi chiave, in prospettiva di riforma.

IL TRATTAMENTO ESECUTIVO DELL’AUTORE DI REATO DISABILE PSICHICO E SOCIALMENTE PERICOLOSO TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

GIOVINAZZO, ANGELA ANNA ANTONIA
2025

Abstract

Il tema del disagio psichico impegna il diritto penale sia quando il folle commette un reato, sia quando il disagio emerge nel corso dell’esecuzione della pena. La presente ricerca si è concentrata principalmente sull’analisi degli strumenti per fornire una prestazione di cura, contemperandola con le esigenze di salvaguardia della difesa sociale. Partendo dalle origini e dallo sviluppo del lungo processo di superamento della logica manicomiale, si è inteso tracciare l’evoluzione delle soluzioni adottate nell’ordinamento italiano in tema di trattamento dell’autore di reato affetto da infermità psichica. L’analisi si è quindi concentrata sul sistema delle cosiddette REMS, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ad esclusiva gestione sanitaria, introdotte con la riforma operata dalle leggi n. 9/2012 e n. 81/2014. Seppure si sia trattato di una soluzione innovativa, soprattutto nel panorama comparatistico, le REMS hanno tuttavia sin dagli esordi sollevato aspre critiche, a causa dei limitati posti messi a disposizione in base alla normativa ad esse applicabile, risultando inidonee ad accogliere tutti i soggetti ivi indirizzati dalla autorità giudiziaria. L’analisi delle ragioni di questa crisi precoce ha innanzitutto comportato una riflessione sul complessivo sistema di gestione del malato psichico intercettato dal “circuito” penale, al fine di comprendere se effettivamente la concreta attuazione della riforma e le scelte legislative operate dall’ordinamento italiano necessitino di una nuova radicale rivisitazione. Ciò che si è inteso sottoporre ad approfondimento è la persistenza di un dibattito culturale di carattere più generale, risalente nella storia delle idee giuridico-penali e tuttora aperto e sostanzialmente irrisolto. Fra i cultori del diritto penale sostanziale è agevole riscontrare una divisione tra coloro i quali ritengono che la soluzione preferibile sia quella improntata alla conservazione del sistema del doppio binario, sia pure apportando le riforme necessarie ad adeguare il sistema penale sostanziale alla intervenuta riforma, e quanti ritengono invece che le misure di sicurezza debbano essere abolite, giungendo, in alcuni casi, a ipotizzare l’eliminazione stessa dell’imputabilità e non la semplice revisione della categoria della pericolosità sociale. È sempre più evidente e di stringente attualità, cioè, nel quadro di mutate sensibilità normative e di problematiche evoluzioni dei saperi psichiatrici, il problema della distinzione tra pericolosità sociale e bisogno di cura e del loro difficile equilibrio in un contesto reale che esige una differenziazione dei percorsi trattamentali e penitenziari. Il complesso delle soluzioni illustrate nel lavoro conferma l’impostazione innovativa delle riforme introdotte, tenuto conto anche del quadro internazionale. L’analisi comparata si è conclusa nel senso che, allo stato attuale della cultura giuridica e degli orientamenti sociali che caratterizzano la realtà italiana, la soluzione di eliminare radicalmente l’idea dell’imputabilità sembra francamente utopistica. Appare invece più condivisibile l’adozione dell’approccio fondato sull’idea che una rete di strumenti e figure professionali funzionale ad una prevenzione precoce costituisca una scelta più promettente dal punto di vista dell’efficacia, consentendo lo sviluppo di modelli di gestione comunitaria del disagio psichico su cui investire anche finanziariamente. Su questa base, inoltre, emerge l’opportunità di mantenere la gestione sanitaria del disagio mentale come elemento, certamente non esclusivo, ma centrale nell’organizzazione delle competenze delle autorità pubbliche. Si tratta, d’altronde, di una raccomandazione che viene dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale auspica che l’accertamento della condizione soggettiva della persona detenuta sia effettuata da un’autorità competente sulla base di una perizia medica obiettiva, secondo una procedura che elimini ogni rischio di arbitrarietà. È stata svolta una valutazione dei progetti di riforma della gestione penale del disagio mentale. I tentativi di superamento del sistema del c.d. doppio binario si dispongono lungo due direttrici ideali, da tempo tematizzate in dottrina. Da un lato, si pone l’abolizionismo, che si fonda sul riconoscimento di una sfera di libertà anche in capo al malato di mente e a sua volta presenta le due diverse linee propositive della carcerizzazione e della medicalizzazione. Dall’altro lato si collocano gli indirizzi riformisti, i quali non abbandonano la logica dell’istituzionalizzazione ma tendono a rivedere l’attuale disciplina esecutiva relativa ai malati di mente autori di reato, intervenendo sia sul trattamento custodiale che sulla concreta gestione delle nuove strutture. A questi approcci – e in particolare al tema della ripartizione delle competenze fra diritto e psichiatria, fra giudici e consulenti, nel decidere sul trattamento del disagio psichico – è sottesa l’esigenza di controllo del rapporto tra libertà personale e necessità terapeutiche, una esigenza che a sua volta si traduce in un problema di allocazione del potere di definire la misura da applicare e la sua gestione. È un tema del tutto aperto, di cui nelle considerazioni conclusive si cerca di individuare gli elementi chiave, in prospettiva di riforma.
10-nov-2025
Italiano
autore di reato disabile psichico
Gargani, Alberto
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPI-352920