Il lavoro intende analizzare il nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi bancarie recato dalla Banking Recovery and Resolution Directive (BRRD) per valutare se e in che misura le nuove regole, che prevedono un coinvolgimento coattivo e necessario di soci e creditori per superare la situazione di difficoltà della banca, abbiano rovesciato il paradigma tradizionale di composizione delle crisi bancarie affermatosi in Italia, il quale – in contrapposizione al sistema di gestione delle crisi delle generalità delle imprese, basato sul fallimento ed imperniato attorno al rapporto obbligatorio fra imprenditore-debitore e suoi creditori – vede la soluzione della crisi incentrata sulla tutela del complesso aziendale bancario e di interessi ulteriori a quelli del ceto creditorio. Il primo capitolo offre una ricostruzione del modello italiano di gestione delle crisi bancarie raffrontandolo con la procedura prevista per la generalità delle imprese, ossia il fallimento. In particolare, è evidenziato che mentre il fallimento è incentrato sul rapporto binario imprenditore-creditori e quindi è volto a tutelare precipuamente, se non esclusivamente, gli interessi del ceto creditorio, i modelli di composizione delle crisi affermatisi in Italia con la legge bancaria del 1936-38 e confermati dal Testo Unico Bancario pongono invece al centro l’azienda bancaria, la quale non è vista come mero contenitore di beni volto a soddisfare le pretese dei creditori delusi, bensì costituisce, attraverso un’articolazione della procedura di liquidazione coatta in senso conservativo, lo strumento per perseguire l’obiettivo di stabilità finanziaria affidato alla cura delle autorità di vigilanza. Il secondo capitolo analizza la nuove regole europee in materia di gestione delle crisi bancarie recate dalla BRRD per valutare se il nuovo regime della risoluzione confermi il ruolo fondamentale attribuito all’azienda bancaria dal paradigma tradizionale di crisis management ovvero restituisca rilevanza al rapporto obbligatorio fra creditori e impresa (bancaria) in crisi. Ciò avviene attraverso l’analisi dello strumentario previsto dalla BRRD, e in particolare delle cessioni (al terzo privato, all’ente-ponte, alla società veicolo), le quali sembrano confermare l’attenzione del legislatore per la continuità aziendale, e del bail-in, il quale per converso sembra dedicare una qualche rilevanza alla posizione dei creditori e dei soci, seppur apparentemente in contrasto con altre sezioni dell’ordinamento europeo, in particolare la disciplina in materia di protezione degli investitori. L’analisi conduce alla conclusione che le nuove regole, se da un lato sembrano aver confermato in parte l’assetto precedente incentrato sulla tutela dell’azienda, dall’altro ha ridato una qualche rilevanza alle esigenze dei creditori (e dei soci) della banca in crisi, realizzando così un modello in cui il perseguimento della stabilità complessiva può risultare inquinato dagli interessi del ceto creditorio, egoisticamente proiettato verso la mera soddisfazione delle proprie legittime pretese. Atteso che nel nuovo quadro le autorità hanno il potere-dovere di strutturare il going concern delle banche in funzione delle esigenze inerenti alla gestione delle (possibili) crisi, il modello di vigilanza appare connotato da profili di tipo strutturale in cui sono permanentemente considerate anche le istanze del ceto creditorio del sistema bancario.

La risoluzione delle crisi bancarie fra conservazione della continuità aziendale ed esigenze del ceto creditorio

LASCONI, FEDERICO
2019

Abstract

Il lavoro intende analizzare il nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi bancarie recato dalla Banking Recovery and Resolution Directive (BRRD) per valutare se e in che misura le nuove regole, che prevedono un coinvolgimento coattivo e necessario di soci e creditori per superare la situazione di difficoltà della banca, abbiano rovesciato il paradigma tradizionale di composizione delle crisi bancarie affermatosi in Italia, il quale – in contrapposizione al sistema di gestione delle crisi delle generalità delle imprese, basato sul fallimento ed imperniato attorno al rapporto obbligatorio fra imprenditore-debitore e suoi creditori – vede la soluzione della crisi incentrata sulla tutela del complesso aziendale bancario e di interessi ulteriori a quelli del ceto creditorio. Il primo capitolo offre una ricostruzione del modello italiano di gestione delle crisi bancarie raffrontandolo con la procedura prevista per la generalità delle imprese, ossia il fallimento. In particolare, è evidenziato che mentre il fallimento è incentrato sul rapporto binario imprenditore-creditori e quindi è volto a tutelare precipuamente, se non esclusivamente, gli interessi del ceto creditorio, i modelli di composizione delle crisi affermatisi in Italia con la legge bancaria del 1936-38 e confermati dal Testo Unico Bancario pongono invece al centro l’azienda bancaria, la quale non è vista come mero contenitore di beni volto a soddisfare le pretese dei creditori delusi, bensì costituisce, attraverso un’articolazione della procedura di liquidazione coatta in senso conservativo, lo strumento per perseguire l’obiettivo di stabilità finanziaria affidato alla cura delle autorità di vigilanza. Il secondo capitolo analizza la nuove regole europee in materia di gestione delle crisi bancarie recate dalla BRRD per valutare se il nuovo regime della risoluzione confermi il ruolo fondamentale attribuito all’azienda bancaria dal paradigma tradizionale di crisis management ovvero restituisca rilevanza al rapporto obbligatorio fra creditori e impresa (bancaria) in crisi. Ciò avviene attraverso l’analisi dello strumentario previsto dalla BRRD, e in particolare delle cessioni (al terzo privato, all’ente-ponte, alla società veicolo), le quali sembrano confermare l’attenzione del legislatore per la continuità aziendale, e del bail-in, il quale per converso sembra dedicare una qualche rilevanza alla posizione dei creditori e dei soci, seppur apparentemente in contrasto con altre sezioni dell’ordinamento europeo, in particolare la disciplina in materia di protezione degli investitori. L’analisi conduce alla conclusione che le nuove regole, se da un lato sembrano aver confermato in parte l’assetto precedente incentrato sulla tutela dell’azienda, dall’altro ha ridato una qualche rilevanza alle esigenze dei creditori (e dei soci) della banca in crisi, realizzando così un modello in cui il perseguimento della stabilità complessiva può risultare inquinato dagli interessi del ceto creditorio, egoisticamente proiettato verso la mera soddisfazione delle proprie legittime pretese. Atteso che nel nuovo quadro le autorità hanno il potere-dovere di strutturare il going concern delle banche in funzione delle esigenze inerenti alla gestione delle (possibili) crisi, il modello di vigilanza appare connotato da profili di tipo strutturale in cui sono permanentemente considerate anche le istanze del ceto creditorio del sistema bancario.
16-dic-2019
Italiano
Di Gaspare, Giuseppe
Luiss Guido Carli
78
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/62127
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:LUISS-62127