L’economia mondiale, ancora oggi, si basa sull’utilizzo di combustibili fossili per ricavare energia e nello specifico carbone e petrolio. Il consumo di petrolio nel 2020 è aumentato di 0.9 milioni di barili al giorno mentre la domanda di combustibili liquidi ha raggiunto massimi storici arrivando a 100 milioni di barili al giorno. L’utilizzo del petrolio governa borse e mercati mondiali, infatti pochi e specifici cartelli ne determinano il prezzo di vendita mantenendo una sorta di monopolio economico. Proprio per questo, l’estrazione e la raffinazione del greggio rimane ancora un’attività estremamente intensa. La Basilicata, regione del sud Italia, in particolare, rappresenta il sito onshore più grande del continente europeo, contribuendo da solo al 63% della produzione di greggio italiana. Il processo di estrazione, di raffinazione e di trasporto, tuttavia, costituiscono dei punti nevralgici per l’inquinamento ambientale di suolo, aria e acqua. Durante questo elaborato di tesi ci si è soffermati sull’inquinamento delle acque, causato sia dal trasporto (navi e/o condutture sottomarine) soggetto a numerosi incidenti, sia dall’estrazione, durante la quale acque di lavorazione vengono in contatto con idrocarburi tossici e nocivi. Il petrolio è costituito principalmente da idrocarburi alifatici e non, oltre che da altri elementi, principalmente eteroatomi come zolfo e azoto. Gli idrocarburi, inoltre, possono essere altamente tossici: gli idrocarburi volatili (VOCs) come il benzene, il toluene, l’etil-benzene e lo xilene (BTEX), o gli idrocarburi policiclici aromatici (PAHs) rappresentano la causa dell’insorgenza di diverse patologie neurologiche, respiratorie e tumorali. Risulta evidente, quindi, come tutto il processo industriale vada regolamentato per evitare contatti con questi composti e che, qualora avvengano, fuoriuscite accidentali, queste debbano essere immediatamente confinate e trattate. Le metodologie utilizzate a tal scopo comprendono processi fisico-chimici che rompono le molecole del greggio, rendendolo più sensibile agli attacchi degli agenti atmosferici e naturali. Tra queste l’evaporazione delle molecole a basso peso molecolare, l’emulsione della frazione oleosa con l’acqua, la solubilizzazione e la sedimentazione contribuiscono in parte, alla rimozione del greggio, ma vi è un grande contributo anche da parte del mondo microbiologico, soprattutto procariotico, il quale tramite processi di bioremediation degrada e rimuove molti composti tossici. I limiti di queste tecnologie risiedono nell’utilizzo di composti chimici che risultano essere più dannosi del petrolio stesso per l’ecosistema e la saturazione dei microrganismi che riescono ad agire solo su determinati composti. Proprio in virtù della necessità di trovare una metodologia che possa costituire una soluzione innovativa alle problematiche sopracitate, si è pensato alle microalghe. Le microalghe sono organismi unicellulari, microscopici, fotosintetici e fotoautotrofi in grado di rimuovere anidride carbonica dall’atmosfera, utilizzandola nel processo di fotosintesi per produrre energia e rilasciare ossigeno. Esistono diverse classi di microalghe collocabili anche in diversi domini (procarioti ed eucarioti), con caratteristiche e fisiologie diverse, ma l’oggetto del nostro studio sono state le microalghe verdi, eucariotiche e fotoautotrofe. La loro capacità di utilizzare il carbonio organico, modificando il loro metabolismo, divenendo così mixotrofici, le ha rese ottime candidate per il loro impiego nel mondo della bioremediation. Diversi studi si sono concentrati sul loro utilizzo per la bioremediation, ad esempio alcune microalghe sono state in grado di rimuovere solfato, e nitrati in percentuali significative. La microalga più investigata in questo ambito è stata Cholrella spp. che ha rimosso dopo 5 giorni di trattamento, l’80% di petrolio emulsionato nel mezzo in uno studio del 2020, e ha ridotto in maniera efficiente i PAHs presenti in uno studio del 2013. In questo elaborato di tesi la microalga analizzata è stata Haematococcus pluvialis, nota all’ambiente scientifico per la sua capacità di produrre uno degli antiossidanti più potenti in natura, l’astaxantina (ASX) ma mai considerata per la bioremediation di idrocarburi di origine petrolifera. Lo scopo di questo progetto di dottorato è stato quello di ricercare una nuova e innovativa tecnologia che grazie all’impiego di microalghe possa rimuovere efficacemente gli idrocarburi petroliferi in matrici acquose, creando diversi genotipi in grado di agire in maniera più efficiente rispetto al genotipo non mutato (WT). Grazie a un processo di pressione selettiva si è indotto H. pluvialis a mutare e ad adattarsi ad una condizione estremamente tossica. Una volta selezionati diversi ceppi mutanti, questi sono stati seguiti nella loro crescita e nella loro capacità di produrre astaxantina, comparandoli sempre con il WT. Poiché le nostre conoscenze non permettevano di determinare se le mutazioni avvenute fossero genetiche o epigenetiche, è stata effettuata anche un’analisi genetica tramite RAPD-PCR su trascritto per evidenziare le diversità di espressione dei diversi genotipi tra di loro e con la specie non mutata, in condizioni di non stress e in generazioni successive. È stato così possibile ottenere tramite “cluster analysis” un dendrogramma che evidenziasse le distanze di espressione genetica tra essi. Questo risultato indica che la differenza di espressione in condizioni standard è ricollegabile a modificazioni genetiche alla base. Successivamente dopo aver provato diverse condizioni di stress e bioremediation, sono stati fatti crescere in presenza dell’1% di greggio puro in condizioni anaerobiche, per valutare l’attività di rimozione e/o degradazione. Le analisi chimiche effettuate solo dopo 10 giorni di trattamento hanno subito evidenziato come la quantità di carbonio presente nel mezzo di coltura era quasi raddoppiata mentre altri parametri come fluoruri, cloruri e solfati sono diminuiti. Dopo 40 giorni di trattamento, analisi preliminari tramite GS-MS e GC-FID hanno evidenziato come sia nel mezzo acquoso, che nella biomassa algale, vi erano idrocarburi e sostanze oleose, risultati confermati, poi, da un’analisi quantitativa a 20 e 160 giorni in cui si evidenzia, con diverse cinetiche, una diminuzione degli idrocarburi, che per il ceppo mutante PA1004 erano stati totalmente rimossi sia dal mezzo che dalla biomassa. Inoltre, dopo 120 giorni è stata ripetuta l’analisi genetica per valutare eventuali meccanismi adattativi avvenuti in seguito allo stress indotto dal petrolio. Mantenendo le stesse e identiche condizioni di amplificazione (primer, temperature e concentrazioni) il risultato della “cluster analysis” ha dimostrato come, effettivamente, ci fossero stati dei cambiamenti a livello di espressione genetica, portando a una riorganizzazione delle distanze ottenute precedentemente in condizioni ottimali. Queste distanze rispecchiano il comportamento dei genotipi in presenza dell’agente esogeno. Alcuni hanno rimosso totalmente il petrolio, altri hanno agito solo sulla frazione oleosa contribuendo a creare un particolato bituminoso raggruppandosi come da dendrogramma generato. L’assenza di idrocarburi all’interno del mezzo acquoso e della biomassa algale costituisce di per sé un risultato estremamente interessante andando a confermare gli obiettivi preposti all’inizio di questo percorso di ricerca. Non solo H. pluvialis è stato in grado di sopravvivere in presenza di petrolio greggio, ma anche i genotipi generati, sono risultati essere una promettente alternativa nella bioremediation degli idrocarburi. In futuro ci si predispone ad analizzare non solo le pathways coinvolte dalle mutazioni, per comprendere i meccanismi sottesi a tale processo, ma anche analizzare i sottoprodotti generati per riutilizzarli in un’ottica di economia circolare atta alla rimozione e al riutilizzo di un prodotto potenzialmente dannoso per l’uomo e l’ambiente.
The world economy, even today, is based on the use of fossil fuels to obtain energy and specifically coal and oil. Oil consumption in 2020 increased by 0.9 million barrels per day while the demand for liquid fuels reached historic highs reaching 100 million barrels per day. The use of oil governs stock exchanges and world markets few and specific cartels determine the selling price while maintaining a sort of economic monopoly. Precisely for this reason, the extraction and refining of crude oil remain an extremely intense activity. Basilicata, a region of southern Italy, in particular, represents the largest onshore site on the European continent, contributing alone to 63% of Italian crude oil production. The process of extraction, refining and transport, however, are crucial points for the environmental pollution of soil, air and water. During this thesis paper, we focused on water pollution, caused both by transport (ships and/or underwater pipelines) subject to numerous accidents, and by extraction, during which processing waters come into contact with toxic hydrocarbons and harmful. Petroleum consists of aliphatic and non-aliphatic hydrocarbons, as well as other elements, main heteroatoms such as sulfur and nitrogen. Furthermore, hydrocarbons can be highly toxic: volatile hydrocarbons (VOCs) such as benzene, toluene, ethylbenzene and xylene (BTEX), or polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are the cause of the onset of various neurological, respiratory and tumour pathologies. It is therefore evident that the entire industrial process must be regulated to avoid contact with these compounds and that, if accidental spills occur, they must be immediately confined and treated. The methodologies used for this purpose include physicochemical processes that break down the molecules of the crude oil, making it more sensitive to attacks by atmospheric and natural agents. Among these, the evaporation of low molecular weight molecules, the emulsion of the oily fraction with water, solubilization and sedimentation contribute in part to the removal of the crude oil, but there is also a great contribution from the microbiological world, especially prokaryotic, which through bioremediation processes degrades and removes many toxic compounds. The limitations of these technologies lie in the use of chemical compounds that are more harmful to the ecosystem than the oil itself and the saturation of microorganisms that can act only on certain compounds. Precisely by the need to find a methodology that can constitute an innovative solution to the aforementioned problems, microalgae were thought of. Microalgae are unicellular, microscopic, photosynthetic and photoautotrophic organisms capable of removing carbon dioxide from the atmosphere, using it in the photosynthesis process to produce energy and release oxygen. There are different classes of microalgae that can also be placed in different domains (prokaryotes and eukaryotes), with different characteristics and physiologies, but the object of our study was green, eukaryotic and photoautotrophic microalgae. Their ability to use organic carbon, modifying their metabolism, thus becoming mixotrophic, has made them excellent candidates for their use in the world of bioremediation. Several studies have focused on their use for bioremediation, for example, some microalgae have been able to remove sulphate, and nitrates in significant percentages. The most investigated microalgae in this area was Chlorella spp. which removed after 5 days of treatment, 80% of oil emulsified in the middle in a 2020 study, and efficiently reduced the PAHs present in a 2013 study. In this thesis, the analyzed microalgae was Haematococcus pluvialis, known to the scientific world for its ability to produce one of the most powerful antioxidants in nature, astaxanthin (ASX) but never considered for the bioremediation of hydrocarbons of petroleum origin. This PhD project aimed to research a new and innovative technology that, thanks to the use of microalgae, can effectively remove petroleum hydrocarbons in aqueous matrices, creating different genotypes capable of acting more efficiently than the unchanged genotype. (WT). Thanks to a selective pressure process, H. pluvialis was induced to mutate and adapt to an extremely toxic condition. Once several mutant strains were selected, they were followed in their growth and their ability to produce astaxanthin, always comparing them with WT. Since our knowledge did not allow us to determine whether the mutations that occurred were genetic or epigenetic, a genetic analysis was also carried out through RAPD-PCR on the transcript to highlight the diversity of expression of the different genotypes between them and with the non-mutated species. under conditions of non-stress and in subsequent generations. It was thus possible to obtain a dendrogram through “cluster analysis” which highlighted the genetic expression distances between them.This result indicates that the difference in expression under standard conditions is attributable to underlying genetic modifications. Subsequently, after trying different stress and bioremediation conditions, they were grown in the presence of 1% of pure crude in anaerobic conditions, to evaluate the removal and/or degradation activity. The chemical analyses carried out only after 10 days of treatment immediately showed that the amount of carbon present in the culture medium had almost doubled while other parameters such as fluorides, chlorides and sulphates decreased. After 40 days of treatment, preliminary analyzes by GS-MS and GC-FID showed that both in the aqueous medium and in the algal biomass, there were hydrocarbons and oily substances, results confirmed, then, by a quantitative analysis at 20 and 160 days in which, with different kinetics, a decrease in hydrocarbons is highlighted, which for the mutant strain PA1004 had been removed both from the medium and from the biomass. Furthermore, after 120 days the genetic analysis was repeated to evaluate any adaptive mechanisms that occurred following the stress induced by oil. By maintaining the identical amplification conditions (primers, temperatures and concentrations), the result of the "cluster analysis" showed that, indeed, there had been changes in genetic expression, leading to a reorganization of the distances previously obtained in optimal conditions. These distances reflect the behaviour of the genotypes in the presence of the exogenous agent. Some have completely removed the oil, others have acted only on the oily fraction, helping to create a bituminous particulate by grouping as per the generated dendrogram. The absence of hydrocarbons within the aqueous medium and algal biomass is in itself an extremely interesting result, confirming the objectives set at the beginning of this research path. Not only was H. pluvialis able to survive in the presence of crude oil, but also the genotypes generated, proved to be a promising alternative in hydrocarbon bioremediation. In the future, we prepare ourselves to analyze not only the pathways involved in the mutations, to understand the mechanisms underlying this process, but also to analyze the by-products generated to reuse them in a circular economy perspective suitable for the removal and reuse of a potentially harmful product. for man and the environment.
“Obtaining and selecting microalgal genotypes suitable for the bioremediation of matrices containing hydrocarbons, starting from Haematococcus pluvialis (Flotow,1844)”
RADICE, ROSA PAOLA
2022
Abstract
L’economia mondiale, ancora oggi, si basa sull’utilizzo di combustibili fossili per ricavare energia e nello specifico carbone e petrolio. Il consumo di petrolio nel 2020 è aumentato di 0.9 milioni di barili al giorno mentre la domanda di combustibili liquidi ha raggiunto massimi storici arrivando a 100 milioni di barili al giorno. L’utilizzo del petrolio governa borse e mercati mondiali, infatti pochi e specifici cartelli ne determinano il prezzo di vendita mantenendo una sorta di monopolio economico. Proprio per questo, l’estrazione e la raffinazione del greggio rimane ancora un’attività estremamente intensa. La Basilicata, regione del sud Italia, in particolare, rappresenta il sito onshore più grande del continente europeo, contribuendo da solo al 63% della produzione di greggio italiana. Il processo di estrazione, di raffinazione e di trasporto, tuttavia, costituiscono dei punti nevralgici per l’inquinamento ambientale di suolo, aria e acqua. Durante questo elaborato di tesi ci si è soffermati sull’inquinamento delle acque, causato sia dal trasporto (navi e/o condutture sottomarine) soggetto a numerosi incidenti, sia dall’estrazione, durante la quale acque di lavorazione vengono in contatto con idrocarburi tossici e nocivi. Il petrolio è costituito principalmente da idrocarburi alifatici e non, oltre che da altri elementi, principalmente eteroatomi come zolfo e azoto. Gli idrocarburi, inoltre, possono essere altamente tossici: gli idrocarburi volatili (VOCs) come il benzene, il toluene, l’etil-benzene e lo xilene (BTEX), o gli idrocarburi policiclici aromatici (PAHs) rappresentano la causa dell’insorgenza di diverse patologie neurologiche, respiratorie e tumorali. Risulta evidente, quindi, come tutto il processo industriale vada regolamentato per evitare contatti con questi composti e che, qualora avvengano, fuoriuscite accidentali, queste debbano essere immediatamente confinate e trattate. Le metodologie utilizzate a tal scopo comprendono processi fisico-chimici che rompono le molecole del greggio, rendendolo più sensibile agli attacchi degli agenti atmosferici e naturali. Tra queste l’evaporazione delle molecole a basso peso molecolare, l’emulsione della frazione oleosa con l’acqua, la solubilizzazione e la sedimentazione contribuiscono in parte, alla rimozione del greggio, ma vi è un grande contributo anche da parte del mondo microbiologico, soprattutto procariotico, il quale tramite processi di bioremediation degrada e rimuove molti composti tossici. I limiti di queste tecnologie risiedono nell’utilizzo di composti chimici che risultano essere più dannosi del petrolio stesso per l’ecosistema e la saturazione dei microrganismi che riescono ad agire solo su determinati composti. Proprio in virtù della necessità di trovare una metodologia che possa costituire una soluzione innovativa alle problematiche sopracitate, si è pensato alle microalghe. Le microalghe sono organismi unicellulari, microscopici, fotosintetici e fotoautotrofi in grado di rimuovere anidride carbonica dall’atmosfera, utilizzandola nel processo di fotosintesi per produrre energia e rilasciare ossigeno. Esistono diverse classi di microalghe collocabili anche in diversi domini (procarioti ed eucarioti), con caratteristiche e fisiologie diverse, ma l’oggetto del nostro studio sono state le microalghe verdi, eucariotiche e fotoautotrofe. La loro capacità di utilizzare il carbonio organico, modificando il loro metabolismo, divenendo così mixotrofici, le ha rese ottime candidate per il loro impiego nel mondo della bioremediation. Diversi studi si sono concentrati sul loro utilizzo per la bioremediation, ad esempio alcune microalghe sono state in grado di rimuovere solfato, e nitrati in percentuali significative. La microalga più investigata in questo ambito è stata Cholrella spp. che ha rimosso dopo 5 giorni di trattamento, l’80% di petrolio emulsionato nel mezzo in uno studio del 2020, e ha ridotto in maniera efficiente i PAHs presenti in uno studio del 2013. In questo elaborato di tesi la microalga analizzata è stata Haematococcus pluvialis, nota all’ambiente scientifico per la sua capacità di produrre uno degli antiossidanti più potenti in natura, l’astaxantina (ASX) ma mai considerata per la bioremediation di idrocarburi di origine petrolifera. Lo scopo di questo progetto di dottorato è stato quello di ricercare una nuova e innovativa tecnologia che grazie all’impiego di microalghe possa rimuovere efficacemente gli idrocarburi petroliferi in matrici acquose, creando diversi genotipi in grado di agire in maniera più efficiente rispetto al genotipo non mutato (WT). Grazie a un processo di pressione selettiva si è indotto H. pluvialis a mutare e ad adattarsi ad una condizione estremamente tossica. Una volta selezionati diversi ceppi mutanti, questi sono stati seguiti nella loro crescita e nella loro capacità di produrre astaxantina, comparandoli sempre con il WT. Poiché le nostre conoscenze non permettevano di determinare se le mutazioni avvenute fossero genetiche o epigenetiche, è stata effettuata anche un’analisi genetica tramite RAPD-PCR su trascritto per evidenziare le diversità di espressione dei diversi genotipi tra di loro e con la specie non mutata, in condizioni di non stress e in generazioni successive. È stato così possibile ottenere tramite “cluster analysis” un dendrogramma che evidenziasse le distanze di espressione genetica tra essi. Questo risultato indica che la differenza di espressione in condizioni standard è ricollegabile a modificazioni genetiche alla base. Successivamente dopo aver provato diverse condizioni di stress e bioremediation, sono stati fatti crescere in presenza dell’1% di greggio puro in condizioni anaerobiche, per valutare l’attività di rimozione e/o degradazione. Le analisi chimiche effettuate solo dopo 10 giorni di trattamento hanno subito evidenziato come la quantità di carbonio presente nel mezzo di coltura era quasi raddoppiata mentre altri parametri come fluoruri, cloruri e solfati sono diminuiti. Dopo 40 giorni di trattamento, analisi preliminari tramite GS-MS e GC-FID hanno evidenziato come sia nel mezzo acquoso, che nella biomassa algale, vi erano idrocarburi e sostanze oleose, risultati confermati, poi, da un’analisi quantitativa a 20 e 160 giorni in cui si evidenzia, con diverse cinetiche, una diminuzione degli idrocarburi, che per il ceppo mutante PA1004 erano stati totalmente rimossi sia dal mezzo che dalla biomassa. Inoltre, dopo 120 giorni è stata ripetuta l’analisi genetica per valutare eventuali meccanismi adattativi avvenuti in seguito allo stress indotto dal petrolio. Mantenendo le stesse e identiche condizioni di amplificazione (primer, temperature e concentrazioni) il risultato della “cluster analysis” ha dimostrato come, effettivamente, ci fossero stati dei cambiamenti a livello di espressione genetica, portando a una riorganizzazione delle distanze ottenute precedentemente in condizioni ottimali. Queste distanze rispecchiano il comportamento dei genotipi in presenza dell’agente esogeno. Alcuni hanno rimosso totalmente il petrolio, altri hanno agito solo sulla frazione oleosa contribuendo a creare un particolato bituminoso raggruppandosi come da dendrogramma generato. L’assenza di idrocarburi all’interno del mezzo acquoso e della biomassa algale costituisce di per sé un risultato estremamente interessante andando a confermare gli obiettivi preposti all’inizio di questo percorso di ricerca. Non solo H. pluvialis è stato in grado di sopravvivere in presenza di petrolio greggio, ma anche i genotipi generati, sono risultati essere una promettente alternativa nella bioremediation degli idrocarburi. In futuro ci si predispone ad analizzare non solo le pathways coinvolte dalle mutazioni, per comprendere i meccanismi sottesi a tale processo, ma anche analizzare i sottoprodotti generati per riutilizzarli in un’ottica di economia circolare atta alla rimozione e al riutilizzo di un prodotto potenzialmente dannoso per l’uomo e l’ambiente.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
PhD thesis__Rosa Paola RADICE.pdf
accesso aperto
Dimensione
7.03 MB
Formato
Adobe PDF
|
7.03 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/65684
URN:NBN:IT:UNIBAS-65684