A intervalli di periodo piuttosto regolari la letteratura, insieme ai regolatori, ricercano eroiche figure in grado di porre rimedio ai malfunzionamenti delle grandi società quotate; negli ultimi decenni, queste figure sono stati gli investitori istituzionali. Le ragioni sottese alla scelta sono ben note e possono riassumersi nell’amplissimo potere economico da questi raggiunto per via della raccolta della gran parte dei risparmi privati, poi investiti negli emittenti dei quali divengono, di conseguenza, importanti azionisti. Sull’assunto che chi meglio può occuparsi dei propri interessi è il titolare degli stessi, gli investitori istituzionali, in qualità di soci altamente qualificati, sono parsi – mediante l’utilizzo informato e consapevole dei propri diritti amministrativi – i soggetti in grado di apportare un contributo positivo (e risolutivo) alla governance degli emittenti. Il ruolo degli azionisti istituzionali ha assunto un’ulteriore connotazione funzionale allorché è stato universalmente riconosciuto che le prospettive di breve periodo adottate da alcuni operatori hanno contribuito a dare origine a comportamenti poco virtuosi da parte degli amministratori delle grandi società quotate. Gli azionisti istituzionali sono stati perciò incentivati, dal legislatore europeo, per un verso, a prendere parte alla vita delle società in maniera attiva e, per altro, a sollecitare – in esse – strategie di lungo periodo. A ciò si aggiunge il recente impulso del legislatore il quale, al fine di porre rimedio alle conseguenze ambientali e sociali prodotte dall’economia globalizzata, aspira ad orientare l’agire degli investitori istituzionali, tanto nel rapporto con le imprese partecipate (affinché essi favoriscano, mediante l’esercizio dei diritti amministrativi, strategie sostenibili) tanto in quello con la società intera (attraverso la collocazione dei propri investimenti in imprese che rispondono a requisiti di sostenibilità adeguati). La più recente legislazione (così come pure la più parte della letteratura interna e straniera) avente ad oggetto gli investitori istituzionali ha riguardato principalmente la prospettiva delle società da questi partecipate, interessandosi del loro ruolo di azionisti anziché di quello di intermediari sui quali gravano doveri fiduciari nei confronti dei propri clienti. Purtuttavia, il piano che riguarda la partecipazione alle società dev’essere distinto da quello che afferisce al rapporto di gestione, che ne rappresenta il necessario presupposto. Ne discende che le istruzioni, gli incentivi e le regole che riguardano gli investitori istituzionali debbono essere lette alla luce (verificandone, eventualmente, la compatibilità) dei doveri fiduciari che su di essi gravano nei confronti dei loro clienti. L’obiettivo del lavoro è pertanto di chiarire l’estensione dei suddetti doveri alla luce della normativa vigente. S’intende, anzitutto, far luce sul significato che assume, nell’ordinamento interno, la connotazione fiduciaria in relazione ai doveri degli investitori istituzionali la quale, pur nella costanza di uso da parte del legislatore europeo, trova accoglimento normativo nei soli ordinamenti di common law. Nonostante in capo agli investitori istituzionali gravino, per legge, obblighi rivolti alla tutela dei soli clienti, in ragione del quadro legislativo che privilegia il ruolo dei primi in quanto soci, ci si interroga, in secondo luogo, circa la configurabilità di un dovere fiduciario anche nei confronti della società partecipata. L’indagine si propone, infine, di approfondire il dovere di lealtà e il dovere di diligente gestione, in particolare nel loro rapporto con la normativa che ha ad oggetto l’investimento sostenibile.

I doveri fiduciari degli investitori istituzionali

ROSSI, SARA PIETRA
2023

Abstract

A intervalli di periodo piuttosto regolari la letteratura, insieme ai regolatori, ricercano eroiche figure in grado di porre rimedio ai malfunzionamenti delle grandi società quotate; negli ultimi decenni, queste figure sono stati gli investitori istituzionali. Le ragioni sottese alla scelta sono ben note e possono riassumersi nell’amplissimo potere economico da questi raggiunto per via della raccolta della gran parte dei risparmi privati, poi investiti negli emittenti dei quali divengono, di conseguenza, importanti azionisti. Sull’assunto che chi meglio può occuparsi dei propri interessi è il titolare degli stessi, gli investitori istituzionali, in qualità di soci altamente qualificati, sono parsi – mediante l’utilizzo informato e consapevole dei propri diritti amministrativi – i soggetti in grado di apportare un contributo positivo (e risolutivo) alla governance degli emittenti. Il ruolo degli azionisti istituzionali ha assunto un’ulteriore connotazione funzionale allorché è stato universalmente riconosciuto che le prospettive di breve periodo adottate da alcuni operatori hanno contribuito a dare origine a comportamenti poco virtuosi da parte degli amministratori delle grandi società quotate. Gli azionisti istituzionali sono stati perciò incentivati, dal legislatore europeo, per un verso, a prendere parte alla vita delle società in maniera attiva e, per altro, a sollecitare – in esse – strategie di lungo periodo. A ciò si aggiunge il recente impulso del legislatore il quale, al fine di porre rimedio alle conseguenze ambientali e sociali prodotte dall’economia globalizzata, aspira ad orientare l’agire degli investitori istituzionali, tanto nel rapporto con le imprese partecipate (affinché essi favoriscano, mediante l’esercizio dei diritti amministrativi, strategie sostenibili) tanto in quello con la società intera (attraverso la collocazione dei propri investimenti in imprese che rispondono a requisiti di sostenibilità adeguati). La più recente legislazione (così come pure la più parte della letteratura interna e straniera) avente ad oggetto gli investitori istituzionali ha riguardato principalmente la prospettiva delle società da questi partecipate, interessandosi del loro ruolo di azionisti anziché di quello di intermediari sui quali gravano doveri fiduciari nei confronti dei propri clienti. Purtuttavia, il piano che riguarda la partecipazione alle società dev’essere distinto da quello che afferisce al rapporto di gestione, che ne rappresenta il necessario presupposto. Ne discende che le istruzioni, gli incentivi e le regole che riguardano gli investitori istituzionali debbono essere lette alla luce (verificandone, eventualmente, la compatibilità) dei doveri fiduciari che su di essi gravano nei confronti dei loro clienti. L’obiettivo del lavoro è pertanto di chiarire l’estensione dei suddetti doveri alla luce della normativa vigente. S’intende, anzitutto, far luce sul significato che assume, nell’ordinamento interno, la connotazione fiduciaria in relazione ai doveri degli investitori istituzionali la quale, pur nella costanza di uso da parte del legislatore europeo, trova accoglimento normativo nei soli ordinamenti di common law. Nonostante in capo agli investitori istituzionali gravino, per legge, obblighi rivolti alla tutela dei soli clienti, in ragione del quadro legislativo che privilegia il ruolo dei primi in quanto soci, ci si interroga, in secondo luogo, circa la configurabilità di un dovere fiduciario anche nei confronti della società partecipata. L’indagine si propone, infine, di approfondire il dovere di lealtà e il dovere di diligente gestione, in particolare nel loro rapporto con la normativa che ha ad oggetto l’investimento sostenibile.
21-giu-2023
Italiano
STRAMPELLI, GIOVANNI
Università Bocconi
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIBOCCONI-69295