Nella tesi di dottorato dal titolo ‘Figure di un ossimoro. Interpretazioni della filosofia italiana dall’Unità ai nostri giorni’ ci si propone di confrontare e analizzare tre differenti risposte alla stessa domanda: esiste una filosofia italiana? e se esiste, quali sono i caratteri che consentono di distinguerla dalle altre tradizioni nazionali? Il problema che qui si pone è quello del carattere di per sé stesso ossimorico dell’espressione ‘filosofia nazionale’, in cui l’unione dei due termini appare contraddittorio alla luce della connessione istituita tra un soggetto – la filosofia – che ha o aspira ad avere carattere o validità universale e un aggettivo – nazionale – che sembra costringerlo indebitamente all’interno di una dimensione particolare. Per questo motivo ci si concentra su tre momenti nei quali la discussione intorno a questo argomento è stata più accesa all’interno del dibattito filosofico nel nostro Paese. Il primo capitolo della tesi è dedicato a Bertrando Spaventa, colui che Giovanni Gentile considera il primo ad aver scritto una «Storia della filosofia italiana». Principale esponente (insieme a Francesco De Sanctis) dell’hegelismo napoletano, Spaventa è autore negli anni immediatamente a cavallo dell’Unità d’Italia del volume ‘La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea’. Attraverso questo lavoro, lo schema storiografico delle ‘Lezioni’ hegeliane sulla storia della filosofia veniva ampliato, includendo al suo interno alcuni filosofi italiani contemporanei (principalmente Galluppi, Rosmini e Gioberti). Seguendo dettagliatamente il percorso che ha condotto Spaventa alla composizione dell’opera, questa tesi mira a smentire le accuse di ‘nazionalismo’ che sono state mosse al suo autore nel corso degli ultimi due secoli, fino ad oggi. Smarcando la Teoria della Circolazione del pensiero italiano sia dalle interpretazioni gentiliane che da quelle marxiste, si cerca infatti di mostrare come essa in realtà, oltre a costituire dichiaratamente e consapevolmente una risposta alle posizioni giobertiane (e, più in generale, neo-guelfe), rappresenti il primo vero tentativo di superare la retorica risorgimentale sul tema ‘filosofia italiana’. La principale preoccupazione di Spaventa si dimostra quella di smentire la posizione secondo cui la filosofia italiana, per mantenersi autentica, avrebbe dovuto al tempo stesso dimostrarsi autarchica rispetto alle elaborazioni filosofiche straniere colpevoli di comprometterne il messaggio. In questo modo si mostra la circostanzialità di un’opera come ‘La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea’, mettendo al tempo stesso in evidenza come essa sia il frutto di una specifica interpretazione della filosofia hegeliana circa il rapporto tra storia e filosofia, che determina una presa di posizione a proposito del ruolo ‘rivoluzionario’ della filosofia nel processo di costituzione dell’‘epoca’. Il secondo capitolo è dedicato a Eugenio Garin, autore a sua volta di una famosa e fortunata ‘Storia della filosofia italiana’. Attraverso il confronto tra la prima edizione del ’47 e la seconda edizione del ’66, si mostra il progressivo abbandono da parte di Garin dei presupposti teorici che giustificavano la composizione di una Storia della filosofia italiana intesa à là longue durée. In particolare, si collega questo riposizionamento storiografico di Garin alla riflessione metodologica condotta nel corso degli anni ’50. Attraverso il recupero di materiale inedito, vengono ricostruite le vicende del dibattito sul rapporto tra filosofia e storia della filosofia nell’Italia degli anni ’50, contribuendo a chiarire la posizione di Garin al suo interno e la scelta da parte dello storico di frammentare la narrazione storiografica in una costellazione di momenti determinati. Nel terzo capitolo viene preso in considerazione il dibattito contemporaneo sull’Italian Theory. Attraverso una panoramica sulle posizioni più diffuse, si mettono in evidenza i vari significati che l’espressione ha assunto fuori dall’Italia (dov’è stata coniata) e nel nostro Paese. In particolare la ricerca si concentra sulla declinazione del tema offerta da Roberto Esposito, il quale, attraverso l’uso della geofilosofia di Deleuze e Guattari, si è recentemente impegnato nella ricostruzione della genealogia dell’Italian Thought. Il rapporto dialettico tra le categorie geofilosofiche di ‘terra’ e ‘territorio’ è utilizzato da Esposito per giustificare una narrazione della storia della filosofia italiana che superi le difficoltà implicite nell’utilizzo di un’aggettivazione di tipo nazionale. Attraverso un confronto con le posizioni di Spaventa e Garin, si cerca qui di mettere in evidenza come l’utilizzo dell’aggettivo ‘Italian’ crei alcuni fraintendimenti dal punto di vista storiografico. Questi tre autori, con modalità e argomentazioni diverse (che la tesi ricostruisce nel dettaglio), hanno risposto tutti affermativamente rispetto alla possibilità di distinguere una ‘filosofia italiana’ e tutti e tre hanno riconosciuto nel Rinascimento il momento genetico della ‘differenza italiana’. Per questo motivo, il quarto capitolo della tesi è dedicato alla ricostruzione delle immagini del Rinascimento che vengono presentate nei loro lavori e che si collegano alla particolare declinazione del tema ‘filosofia italiana’ offerta da ciascuno di loro, costituendo, in fondo, una sorta di ‘banco di prova’ delle loro posizioni. Bertrando Spaventa, in controtendenza rispetto alla storiografia italiana dell’epoca, propone un’immagine positiva del Rinascimento italiano, quale momento fondante della filosofia moderna. Attraverso il recupero del Rinascimento e il suo collegamento con la filosofia europea da Descartes a Hegel, Spaventa sfida apertamente la storiografia europea (da Brucker a Hegel a Tennemann), secondo la quale la mancata Riforma avrebbe impedito all’Italia l’ingresso nella modernità filosofica. Eugenio Garin (di cui si prendono in considerazione solamente i lavori degli anni ’50, composti cioè a ridosso della ‘Storia della filosofia italiana’), in accordo con quanto teorizzerà in ‘La filosofia come sapere storico’, àncora la sua ricostruzione della filosofia italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento alla peculiare situazione storico-politica della Penisola e ne rintraccia la caratteristica principale in una certa propensione ad abbandonare ‘le grandi cattedrali di idee’ a favore di una ‘filosofia terrena’ che assume i tratti di una vera e propria ‘filosofia civile’. Spaventa, quindi, aveva cercato di mostrare le possibili connessioni che intercorrevano tra il nostro Rinascimento e la modernità europea conquistata attraverso la Riforma. Anche gli studi di Garin, una volta abbandonate le grandi narrazioni, tendevano progressivamente a concentrarsi sulla ricostruzione delle relazioni dei cenacoli culturali della penisola con il pensiero europeo. Se entrambi questi autori, quindi, avevano contribuito – in maniera ben diversa – ad accantonare quel ‘complesso di inferiorità’ che da tempo accompagnava (e spesso ancora accompagna) la filosofia italiana, reinserendola all’interno di un percorso condiviso, nella tesi si mette in evidenza che, al contrario, l’Italian Thought, ne rintraccia la peculiarità nel suo essersi mantenuta ‘autonoma’ sin dal principio. In particolare, Roberto Esposito fa dell’esclusione della filosofia italiana dai percorsi seguiti dalla filosofia moderna il suo tratto distintivo, nonché il principale fattore che ne determinerebbe la capacità di sopravvivere al crollo dei paradigmi della modernità filosofica. In questo modo, il rapporto rispetto a quel ‘complesso di inferiorità’ viene rovesciato e si trasforma, se non in una pretesa di superiorità, almeno in una possibilità di vantaggio per la filosofia italiana. Un vantaggio che, tuttavia, deriva paradossalmente dal suo essere una filosofia costitutivamente amoderna in una ‘condizione postmoderna’.
Figure di un ossimoro. Interpretazioni della filosofia italiana dall'Unità ai nostri giorni
Catalano, Sophia
2019
Abstract
Nella tesi di dottorato dal titolo ‘Figure di un ossimoro. Interpretazioni della filosofia italiana dall’Unità ai nostri giorni’ ci si propone di confrontare e analizzare tre differenti risposte alla stessa domanda: esiste una filosofia italiana? e se esiste, quali sono i caratteri che consentono di distinguerla dalle altre tradizioni nazionali? Il problema che qui si pone è quello del carattere di per sé stesso ossimorico dell’espressione ‘filosofia nazionale’, in cui l’unione dei due termini appare contraddittorio alla luce della connessione istituita tra un soggetto – la filosofia – che ha o aspira ad avere carattere o validità universale e un aggettivo – nazionale – che sembra costringerlo indebitamente all’interno di una dimensione particolare. Per questo motivo ci si concentra su tre momenti nei quali la discussione intorno a questo argomento è stata più accesa all’interno del dibattito filosofico nel nostro Paese. Il primo capitolo della tesi è dedicato a Bertrando Spaventa, colui che Giovanni Gentile considera il primo ad aver scritto una «Storia della filosofia italiana». Principale esponente (insieme a Francesco De Sanctis) dell’hegelismo napoletano, Spaventa è autore negli anni immediatamente a cavallo dell’Unità d’Italia del volume ‘La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea’. Attraverso questo lavoro, lo schema storiografico delle ‘Lezioni’ hegeliane sulla storia della filosofia veniva ampliato, includendo al suo interno alcuni filosofi italiani contemporanei (principalmente Galluppi, Rosmini e Gioberti). Seguendo dettagliatamente il percorso che ha condotto Spaventa alla composizione dell’opera, questa tesi mira a smentire le accuse di ‘nazionalismo’ che sono state mosse al suo autore nel corso degli ultimi due secoli, fino ad oggi. Smarcando la Teoria della Circolazione del pensiero italiano sia dalle interpretazioni gentiliane che da quelle marxiste, si cerca infatti di mostrare come essa in realtà, oltre a costituire dichiaratamente e consapevolmente una risposta alle posizioni giobertiane (e, più in generale, neo-guelfe), rappresenti il primo vero tentativo di superare la retorica risorgimentale sul tema ‘filosofia italiana’. La principale preoccupazione di Spaventa si dimostra quella di smentire la posizione secondo cui la filosofia italiana, per mantenersi autentica, avrebbe dovuto al tempo stesso dimostrarsi autarchica rispetto alle elaborazioni filosofiche straniere colpevoli di comprometterne il messaggio. In questo modo si mostra la circostanzialità di un’opera come ‘La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea’, mettendo al tempo stesso in evidenza come essa sia il frutto di una specifica interpretazione della filosofia hegeliana circa il rapporto tra storia e filosofia, che determina una presa di posizione a proposito del ruolo ‘rivoluzionario’ della filosofia nel processo di costituzione dell’‘epoca’. Il secondo capitolo è dedicato a Eugenio Garin, autore a sua volta di una famosa e fortunata ‘Storia della filosofia italiana’. Attraverso il confronto tra la prima edizione del ’47 e la seconda edizione del ’66, si mostra il progressivo abbandono da parte di Garin dei presupposti teorici che giustificavano la composizione di una Storia della filosofia italiana intesa à là longue durée. In particolare, si collega questo riposizionamento storiografico di Garin alla riflessione metodologica condotta nel corso degli anni ’50. Attraverso il recupero di materiale inedito, vengono ricostruite le vicende del dibattito sul rapporto tra filosofia e storia della filosofia nell’Italia degli anni ’50, contribuendo a chiarire la posizione di Garin al suo interno e la scelta da parte dello storico di frammentare la narrazione storiografica in una costellazione di momenti determinati. Nel terzo capitolo viene preso in considerazione il dibattito contemporaneo sull’Italian Theory. Attraverso una panoramica sulle posizioni più diffuse, si mettono in evidenza i vari significati che l’espressione ha assunto fuori dall’Italia (dov’è stata coniata) e nel nostro Paese. In particolare la ricerca si concentra sulla declinazione del tema offerta da Roberto Esposito, il quale, attraverso l’uso della geofilosofia di Deleuze e Guattari, si è recentemente impegnato nella ricostruzione della genealogia dell’Italian Thought. Il rapporto dialettico tra le categorie geofilosofiche di ‘terra’ e ‘territorio’ è utilizzato da Esposito per giustificare una narrazione della storia della filosofia italiana che superi le difficoltà implicite nell’utilizzo di un’aggettivazione di tipo nazionale. Attraverso un confronto con le posizioni di Spaventa e Garin, si cerca qui di mettere in evidenza come l’utilizzo dell’aggettivo ‘Italian’ crei alcuni fraintendimenti dal punto di vista storiografico. Questi tre autori, con modalità e argomentazioni diverse (che la tesi ricostruisce nel dettaglio), hanno risposto tutti affermativamente rispetto alla possibilità di distinguere una ‘filosofia italiana’ e tutti e tre hanno riconosciuto nel Rinascimento il momento genetico della ‘differenza italiana’. Per questo motivo, il quarto capitolo della tesi è dedicato alla ricostruzione delle immagini del Rinascimento che vengono presentate nei loro lavori e che si collegano alla particolare declinazione del tema ‘filosofia italiana’ offerta da ciascuno di loro, costituendo, in fondo, una sorta di ‘banco di prova’ delle loro posizioni. Bertrando Spaventa, in controtendenza rispetto alla storiografia italiana dell’epoca, propone un’immagine positiva del Rinascimento italiano, quale momento fondante della filosofia moderna. Attraverso il recupero del Rinascimento e il suo collegamento con la filosofia europea da Descartes a Hegel, Spaventa sfida apertamente la storiografia europea (da Brucker a Hegel a Tennemann), secondo la quale la mancata Riforma avrebbe impedito all’Italia l’ingresso nella modernità filosofica. Eugenio Garin (di cui si prendono in considerazione solamente i lavori degli anni ’50, composti cioè a ridosso della ‘Storia della filosofia italiana’), in accordo con quanto teorizzerà in ‘La filosofia come sapere storico’, àncora la sua ricostruzione della filosofia italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento alla peculiare situazione storico-politica della Penisola e ne rintraccia la caratteristica principale in una certa propensione ad abbandonare ‘le grandi cattedrali di idee’ a favore di una ‘filosofia terrena’ che assume i tratti di una vera e propria ‘filosofia civile’. Spaventa, quindi, aveva cercato di mostrare le possibili connessioni che intercorrevano tra il nostro Rinascimento e la modernità europea conquistata attraverso la Riforma. Anche gli studi di Garin, una volta abbandonate le grandi narrazioni, tendevano progressivamente a concentrarsi sulla ricostruzione delle relazioni dei cenacoli culturali della penisola con il pensiero europeo. Se entrambi questi autori, quindi, avevano contribuito – in maniera ben diversa – ad accantonare quel ‘complesso di inferiorità’ che da tempo accompagnava (e spesso ancora accompagna) la filosofia italiana, reinserendola all’interno di un percorso condiviso, nella tesi si mette in evidenza che, al contrario, l’Italian Thought, ne rintraccia la peculiarità nel suo essersi mantenuta ‘autonoma’ sin dal principio. In particolare, Roberto Esposito fa dell’esclusione della filosofia italiana dai percorsi seguiti dalla filosofia moderna il suo tratto distintivo, nonché il principale fattore che ne determinerebbe la capacità di sopravvivere al crollo dei paradigmi della modernità filosofica. In questo modo, il rapporto rispetto a quel ‘complesso di inferiorità’ viene rovesciato e si trasforma, se non in una pretesa di superiorità, almeno in una possibilità di vantaggio per la filosofia italiana. Un vantaggio che, tuttavia, deriva paradossalmente dal suo essere una filosofia costitutivamente amoderna in una ‘condizione postmoderna’.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/88848
URN:NBN:IT:UNITN-88848