L’azienda, universitas iuris costituita oltre che da beni mobili, immobili, mobili registrati, materiali e immateriali, anche da diritti ed obblighi, appartiene alla categoria dei beni produttivi in ragione del fatto che i suoi elementi sono funzionalmente organizzati dall’imprenditore, a prescindere dalla titolarità sugli stessi, in vista di un’attività d’impresa: questa sua peculiarità è la ragione dell’applicazione di una speciale disciplina che interessa il suo momento circolatorio e che, sottolineandone il carattere strumentale, introduce delle deroghe alla disciplina comune al fine di favorire il mantenimento dell’organizzazione produttiva. La peculiare funzione svolta dall’azienda nel sistema produttivo, non ha invece, di regola, alcuna rilevanza nel momento della sua trasmissione mortis causa: l’indifferenza nei confronti della natura dei beni che compongono l’asse ereditario, l’applicazione del principio dell’unità della successione e quello dell’intangibilità della legittima provocano lo smembramento del patrimonio aziendale con pregiudizio dell’interesse dell’impresa. L’interesse dell’imprenditore alla pianificazione del passaggio della ricchezza imprenditoriale, che si realizza consentendogli di individuare il successore più idoneo e di attribuire allo stesso l’azienda quale mezzo per svolgere l’attività imprenditoriale, si scontra dunque con le regole della successione ereditaria, e solo nel diritto agrario sembrano aver trovato un equilibrio. La necessità di provvedere alla pianificazione della passaggio generazionale della ricchezza imprenditoriale è un problema di stringente attualità che si connette alla necessità di salvaguardare i livelli occupazionali e che si avverte tanto in ambito nazionale che comunitario: dopo anni di sollecitazioni e dibattiti sull’opportunità di un intervento legislativo atto a favorire il passaggio generazionale dei beni aziendali, è stato introdotto nel nostro ordinamento, ad opera della legge n. 55 del 14 febbraio 2006 “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, il patto di famiglia. Esso si presenta come uno strumento di natura pattizia attraverso il quale, da un lato, si realizza l’attribuzione dell’azienda al discendente (o ai discendenti) ritenuto più adatto a divenire imprenditore, e nel contempo con la soddisfazione degli altri legittimari non assegnatari che vedranno convertito il loro diritto alla legittima in natura in un diritto di credito. Il patto di famiglia di cui agli artt. 768 bis e ss. c.c., infatti, tende a evitare lo smembramento del complesso produttivo, coinvolgendo nell'operazione divisionale i discendenti legittimari dell'imprenditore al fine di evitare liti che possano compromettere l'assetto di interessi predisposto in vita dal disponente attraverso un meccanismo negoziale definito “riallocazione consensuale del controllo sui beni d'impresa” e il cui risultato non sia possibile rimettere in discussione all’apertura della successione del disponente, poiché, in quella sede, l’attribuzione dell’azienda è esente ex lege dai meccanismi di collazione e riduzione. Il punto di forza di questo nuovo strumento di trasmissione dell’azienda, soprattutto se confrontato con i mezzi fino ad ora a disposizione dell’imprenditore, è rappresentato proprio dall'esenzione da collazione e azione di riduzione perché è in ragione della disattivazione dei predetti istituti che il passaggio generazionale della ricchezza imprenditoriale può dirsi stabile – l’attribuzione dell’azienda non è infatti aggredibile in sede di apertura della successione – e non aleatorio in quanto il valore del bene azienda si attualizza e cristallizza al momento della stipulazione del patto.

La trasmissione dell'azienda: dagli istituti classici al patto di famiglia

GABRIEL, ERIKA
2009

Abstract

L’azienda, universitas iuris costituita oltre che da beni mobili, immobili, mobili registrati, materiali e immateriali, anche da diritti ed obblighi, appartiene alla categoria dei beni produttivi in ragione del fatto che i suoi elementi sono funzionalmente organizzati dall’imprenditore, a prescindere dalla titolarità sugli stessi, in vista di un’attività d’impresa: questa sua peculiarità è la ragione dell’applicazione di una speciale disciplina che interessa il suo momento circolatorio e che, sottolineandone il carattere strumentale, introduce delle deroghe alla disciplina comune al fine di favorire il mantenimento dell’organizzazione produttiva. La peculiare funzione svolta dall’azienda nel sistema produttivo, non ha invece, di regola, alcuna rilevanza nel momento della sua trasmissione mortis causa: l’indifferenza nei confronti della natura dei beni che compongono l’asse ereditario, l’applicazione del principio dell’unità della successione e quello dell’intangibilità della legittima provocano lo smembramento del patrimonio aziendale con pregiudizio dell’interesse dell’impresa. L’interesse dell’imprenditore alla pianificazione del passaggio della ricchezza imprenditoriale, che si realizza consentendogli di individuare il successore più idoneo e di attribuire allo stesso l’azienda quale mezzo per svolgere l’attività imprenditoriale, si scontra dunque con le regole della successione ereditaria, e solo nel diritto agrario sembrano aver trovato un equilibrio. La necessità di provvedere alla pianificazione della passaggio generazionale della ricchezza imprenditoriale è un problema di stringente attualità che si connette alla necessità di salvaguardare i livelli occupazionali e che si avverte tanto in ambito nazionale che comunitario: dopo anni di sollecitazioni e dibattiti sull’opportunità di un intervento legislativo atto a favorire il passaggio generazionale dei beni aziendali, è stato introdotto nel nostro ordinamento, ad opera della legge n. 55 del 14 febbraio 2006 “Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia”, il patto di famiglia. Esso si presenta come uno strumento di natura pattizia attraverso il quale, da un lato, si realizza l’attribuzione dell’azienda al discendente (o ai discendenti) ritenuto più adatto a divenire imprenditore, e nel contempo con la soddisfazione degli altri legittimari non assegnatari che vedranno convertito il loro diritto alla legittima in natura in un diritto di credito. Il patto di famiglia di cui agli artt. 768 bis e ss. c.c., infatti, tende a evitare lo smembramento del complesso produttivo, coinvolgendo nell'operazione divisionale i discendenti legittimari dell'imprenditore al fine di evitare liti che possano compromettere l'assetto di interessi predisposto in vita dal disponente attraverso un meccanismo negoziale definito “riallocazione consensuale del controllo sui beni d'impresa” e il cui risultato non sia possibile rimettere in discussione all’apertura della successione del disponente, poiché, in quella sede, l’attribuzione dell’azienda è esente ex lege dai meccanismi di collazione e riduzione. Il punto di forza di questo nuovo strumento di trasmissione dell’azienda, soprattutto se confrontato con i mezzi fino ad ora a disposizione dell’imprenditore, è rappresentato proprio dall'esenzione da collazione e azione di riduzione perché è in ragione della disattivazione dei predetti istituti che il passaggio generazionale della ricchezza imprenditoriale può dirsi stabile – l’attribuzione dell’azienda non è infatti aggredibile in sede di apertura della successione – e non aleatorio in quanto il valore del bene azienda si attualizza e cristallizza al momento della stipulazione del patto.
2009
Italiano
azienda trasmissione patto di famiglia
Università degli studi di Padova
270
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-107930