La pratica dell’allevamento nel territorio montano ha avuto un ruolo fondamentale per la corretta gestione del paesaggio, la conservazione della biodiversità e la protezione del suolo. Inoltre svolge notevoli positività anche in termini di protezione dalle valanghe e dagli incendi, nel contrasto all'abbandono e soprattutto per lo sviluppo dell'economia locale. La zootecnia montana è per definizione multifunzionale e multidisciplinare. Infatti, spesso è artefice di uno sviluppo più complesso e dinamico, in grado di integrare altri comparti economici quali ad esempio il turismo o il sociale, assicurando continuità e vitalità alla montagna. In Italia quasi la metà del territorio è classificato come montano (47.5%) dove gli agricoltori presenti (30.9% sul totale nazionale) devono affrontare diverse limitazioni, legate all'esistenza di svantaggi naturali, che non sono facilmente affrontabili con investimenti. Le temperature medie inferiori, con conseguente periodo vegetativo più breve, l’eccessivo frazionamento, le maggiori pendenze e asperità dei suoli e allo stesso tempo la minore fertilità dei suoli stessi, la necessità di macchinari spesso più costosi come pure i tempi di lavoro più lunghi, hanno come conseguenze una minore produttività della terra, tradotto in una limitata competitività e produttività del lavoro. In aggiunta, la difficoltà di accesso e la lontananza delle singole aziende dal fondovalle, un minor numero di strutture di trasformazione e le loro ridotte dimensioni, sono la causa di maggiori costi di trasporto e minori economie di scala. L’obiettivo generale di questa tesi è di verificare alcuni parametri di sostenibilità di notevole rilievo per la zootecnia montana nella Provincia Autonoma di Trento. Nello specifico, sono state analizzate le relazioni tra bovinicoltura da latte e gestione degli alpeggi, alla luce della valenza ambientale delle praterie semi-naturali; il primo e il secondo contributo sono relativi a questo obiettivo. Nell'ultimo contributo è stata svolta un'indagine per calcolare l'impronta ambientale della bovinicoltura da latte trentina, con un innovativo focus sugli aspetti di nutrizione e gestione degli animali allevati. Nello specifico l’obiettivo del primo contributo è di analizzare il ruolo delle malghe nel comparto zootecnico montano. Sono stai raccolti dal servizio veterinario della Provincia i dati riguardanti le strutture e il management di 395 malghe dove erano presenti bovini da latte (83 solo manze e in 262 anche bovini adulti) e ovicaprini (50 strutture). Praticamente tutte le manze e più di un terzo delle vacche da latte allevate negli allevamenti di fondovalle della provincia sono portate al pascolo durante la stagione estiva, con una frequenza maggiore per le vacche di razze locali e a duplice attitudine rispetto a quelle specializzate. Delle 610 aziende di fondovalle associate alla Federazione allevatori, sono state analizzate le differenze tra le aziende che praticano/non praticano la monticazione delle vacche in lattazione: le aziende tradizionali di dimensioni medio-piccole, con stabulazione fissa, razze locali e con bassa produttività, usano più frequentemente la pratica dell’alpeggio rispetto alle aziende moderne. I risultati evidenziano come la pratica dell’alpeggio mantenga un ruolo importante per la zootecnia trentina, nonostante siano cambiate le motivazioni per cui gli allevatori scelgono di monticare gli animali. Il ruolo del pascolamento come supporto alla produzione nel periodo estivo rimane rilevante per le aziende tradizionali medio-piccole, mentre in tutti i casi riveste una particolare importanza, la possibilità di accedere a contributi indifferenziati tra bovini in lattazione, asciutta e rimonta. Si devono creare le condizioni perché il legame tra aziende e malghe possa essere mantenuto, con particolare attenzione alla qualità della gestione dei pascoli e alla multifunzionalità di servizi che possono essere forniti dalle aziende zootecniche montane. Il secondo contributo mira a valutare l'effetto della monticazione delle vacche da latte su caratteri produttivi e sulla condizione corporea, nello specifico: body condition score (BCS), produzione, qualità e proprietà di coagulazione del latte, e i parametri relativi alla trasformazione casearia. In totale sono stati raccolti e analizzati i dati di 799 vacche in lattazione, monticate nel 2012 su 15 malghe trentine che allevavano capi di diverse razze provenienti da 109 aziende permanenti. I parametri oggetto di studio sono stati messi in relazione alla razza, all’ordine di parto e ai giorni di lattazione, tenendo conto dell'effetto malga, e in particolar modo della quantità di mangime somministrato alle vacche. Il lavoro ha analizzato non solo il periodo di permanenza delle vacche in alpeggio ma anche prima e dopo la stagione di malga con l’obiettivo di valutare i cambiamenti dovuti al cambio di ambiente. I risultati evidenziano come la monticazione abbia un effetto più o meno rilevante nel determinare un calo di produzione a seconda delle razze. Le razze specializzate, con livelli produttivi più elevati nelle aziende permanenti, soffrono un maggior calo di produzione rispetto a quelle locali o a duplice attitudine, che si adattano meglio alle condizioni di alpeggio. Anche la condizione corporea degli animali è fortemente influenzata dall’alpeggio, con un calo nella prima fase della monticazione e un recupero successivo. Emergono delle differenze tra razze, con quelle specializzate che presentano un maggior calo di condizione corporea. Dopo la monticazione si è assistito ad un calo del contenuto percentuale di grasso nel latte (particolarmente evidente nelle razze specializzate), mentre il contenuto di proteine è rimasto costante. Per quanto riguarda le caratteristiche tecnologiche del latte, si sono riscontrate significative differenze sia dopo la monticazione, sia dopo il periodo estivo con il ritorno in azienda. Le maggiori differenze si sono però riscontrate tra giugno e settembre sia in termini di lattodinamografia sia in termini di rese. In conclusione, il lavoro evidenzia la migliore adattabilità delle razze locali e a duplice attitudine al cambiamento di ambiente e alle condizioni di allevamento in malga. Il terzo contributo ha l'obiettivo di valutare l’impronta ambientale di allevamenti montani di bovini da latte. È stato condotto un approfondito studio sul territorio della provincia di Trento, considerando un campione di 38 allevamenti di vacche da latte di razze miste con differenti sistemi di allevamento. Tramite visite aziendali sono stati raccolti dati relativi alla gestione e alimentazione dei bovini, alle prestazioni produttive, alla gestione agronomica delle superfici, alla gestione dei reflui e ai consumi energetici. A questo fine è stato sviluppato e testato un questionario specifico che potrà essere proposto per ulteriori indagini in ambito montano. La mole di dati raccolti è stata utilizzata per calcolare l’impronta ecologica degli allevamenti con approccio Life Cycle Assessment (LCA). Lo studio comprende l’intera vita del prodotto, dalla produzione delle materie prime, alla loro lavorazione e utilizzo finale considerando tutti gli input e gli output associati all’unità funzionale (il kg di latte). In questo studio sono state considerate tre categorie di impatto: carbon footprint (contributo alla produzione di gas serra), acidificazione ed eutrofizzazione, relative all’anno 2013. I valori ottenuti per le tre categorie di impatto presentano un’ampia variabilità, con medie e DS pari a: 1.46 ± 0.58 kg CO2 eq, 27.18 ± 8.34 g SO2 eq. e 7.91 ± 2.31 g PO43- eq. per kg FPCM. I valori ottenuti sono in linea con quanto riportato da altre ricerche condotte in ambito montano. L’impatto complessivo è stato diviso tra componenti on-farm e off-farm, e sono stati ripartiti gli impatti con allocazione di massa tra latte e carne. L’analisi della varianza ha messo in evidenza come gli effetti considerati (stabulazione, libera vs fissa, e modalità di somministrazione degli alimenti, tradizionale vs unifeed), pur significativi in alcuni casi, influiscano in maniera poco rilevante sulla variabilità delle categorie di impatto mentre esiste una rilevante variabilità dei risultati tra aziende diverse dello stesso gruppo. Ci sono quindi margini per mitigare l’impatto e aumentare l’efficienza degli allevamenti, anche con strutture e gestioni diverse. Nel complesso, i risultati della tesi offrono degli interessanti spunti sulla valutazione della sostenibilità della bovinicoltura da latte nelle aree montane, con approcci metodologici innovativi. In prospettiva, i risultati ottenuti dagli approcci sperimentali condotti potranno essere ampliati su un pool ampio di aziende al fine di identificare degli indicatori di riferimento per la valutazione della sostenibilità e multifunzionalità degli allevamenti montani.

Dairy farming systems and environment in mountainous areas

ZENDRI, FRANCESCO
2015

Abstract

La pratica dell’allevamento nel territorio montano ha avuto un ruolo fondamentale per la corretta gestione del paesaggio, la conservazione della biodiversità e la protezione del suolo. Inoltre svolge notevoli positività anche in termini di protezione dalle valanghe e dagli incendi, nel contrasto all'abbandono e soprattutto per lo sviluppo dell'economia locale. La zootecnia montana è per definizione multifunzionale e multidisciplinare. Infatti, spesso è artefice di uno sviluppo più complesso e dinamico, in grado di integrare altri comparti economici quali ad esempio il turismo o il sociale, assicurando continuità e vitalità alla montagna. In Italia quasi la metà del territorio è classificato come montano (47.5%) dove gli agricoltori presenti (30.9% sul totale nazionale) devono affrontare diverse limitazioni, legate all'esistenza di svantaggi naturali, che non sono facilmente affrontabili con investimenti. Le temperature medie inferiori, con conseguente periodo vegetativo più breve, l’eccessivo frazionamento, le maggiori pendenze e asperità dei suoli e allo stesso tempo la minore fertilità dei suoli stessi, la necessità di macchinari spesso più costosi come pure i tempi di lavoro più lunghi, hanno come conseguenze una minore produttività della terra, tradotto in una limitata competitività e produttività del lavoro. In aggiunta, la difficoltà di accesso e la lontananza delle singole aziende dal fondovalle, un minor numero di strutture di trasformazione e le loro ridotte dimensioni, sono la causa di maggiori costi di trasporto e minori economie di scala. L’obiettivo generale di questa tesi è di verificare alcuni parametri di sostenibilità di notevole rilievo per la zootecnia montana nella Provincia Autonoma di Trento. Nello specifico, sono state analizzate le relazioni tra bovinicoltura da latte e gestione degli alpeggi, alla luce della valenza ambientale delle praterie semi-naturali; il primo e il secondo contributo sono relativi a questo obiettivo. Nell'ultimo contributo è stata svolta un'indagine per calcolare l'impronta ambientale della bovinicoltura da latte trentina, con un innovativo focus sugli aspetti di nutrizione e gestione degli animali allevati. Nello specifico l’obiettivo del primo contributo è di analizzare il ruolo delle malghe nel comparto zootecnico montano. Sono stai raccolti dal servizio veterinario della Provincia i dati riguardanti le strutture e il management di 395 malghe dove erano presenti bovini da latte (83 solo manze e in 262 anche bovini adulti) e ovicaprini (50 strutture). Praticamente tutte le manze e più di un terzo delle vacche da latte allevate negli allevamenti di fondovalle della provincia sono portate al pascolo durante la stagione estiva, con una frequenza maggiore per le vacche di razze locali e a duplice attitudine rispetto a quelle specializzate. Delle 610 aziende di fondovalle associate alla Federazione allevatori, sono state analizzate le differenze tra le aziende che praticano/non praticano la monticazione delle vacche in lattazione: le aziende tradizionali di dimensioni medio-piccole, con stabulazione fissa, razze locali e con bassa produttività, usano più frequentemente la pratica dell’alpeggio rispetto alle aziende moderne. I risultati evidenziano come la pratica dell’alpeggio mantenga un ruolo importante per la zootecnia trentina, nonostante siano cambiate le motivazioni per cui gli allevatori scelgono di monticare gli animali. Il ruolo del pascolamento come supporto alla produzione nel periodo estivo rimane rilevante per le aziende tradizionali medio-piccole, mentre in tutti i casi riveste una particolare importanza, la possibilità di accedere a contributi indifferenziati tra bovini in lattazione, asciutta e rimonta. Si devono creare le condizioni perché il legame tra aziende e malghe possa essere mantenuto, con particolare attenzione alla qualità della gestione dei pascoli e alla multifunzionalità di servizi che possono essere forniti dalle aziende zootecniche montane. Il secondo contributo mira a valutare l'effetto della monticazione delle vacche da latte su caratteri produttivi e sulla condizione corporea, nello specifico: body condition score (BCS), produzione, qualità e proprietà di coagulazione del latte, e i parametri relativi alla trasformazione casearia. In totale sono stati raccolti e analizzati i dati di 799 vacche in lattazione, monticate nel 2012 su 15 malghe trentine che allevavano capi di diverse razze provenienti da 109 aziende permanenti. I parametri oggetto di studio sono stati messi in relazione alla razza, all’ordine di parto e ai giorni di lattazione, tenendo conto dell'effetto malga, e in particolar modo della quantità di mangime somministrato alle vacche. Il lavoro ha analizzato non solo il periodo di permanenza delle vacche in alpeggio ma anche prima e dopo la stagione di malga con l’obiettivo di valutare i cambiamenti dovuti al cambio di ambiente. I risultati evidenziano come la monticazione abbia un effetto più o meno rilevante nel determinare un calo di produzione a seconda delle razze. Le razze specializzate, con livelli produttivi più elevati nelle aziende permanenti, soffrono un maggior calo di produzione rispetto a quelle locali o a duplice attitudine, che si adattano meglio alle condizioni di alpeggio. Anche la condizione corporea degli animali è fortemente influenzata dall’alpeggio, con un calo nella prima fase della monticazione e un recupero successivo. Emergono delle differenze tra razze, con quelle specializzate che presentano un maggior calo di condizione corporea. Dopo la monticazione si è assistito ad un calo del contenuto percentuale di grasso nel latte (particolarmente evidente nelle razze specializzate), mentre il contenuto di proteine è rimasto costante. Per quanto riguarda le caratteristiche tecnologiche del latte, si sono riscontrate significative differenze sia dopo la monticazione, sia dopo il periodo estivo con il ritorno in azienda. Le maggiori differenze si sono però riscontrate tra giugno e settembre sia in termini di lattodinamografia sia in termini di rese. In conclusione, il lavoro evidenzia la migliore adattabilità delle razze locali e a duplice attitudine al cambiamento di ambiente e alle condizioni di allevamento in malga. Il terzo contributo ha l'obiettivo di valutare l’impronta ambientale di allevamenti montani di bovini da latte. È stato condotto un approfondito studio sul territorio della provincia di Trento, considerando un campione di 38 allevamenti di vacche da latte di razze miste con differenti sistemi di allevamento. Tramite visite aziendali sono stati raccolti dati relativi alla gestione e alimentazione dei bovini, alle prestazioni produttive, alla gestione agronomica delle superfici, alla gestione dei reflui e ai consumi energetici. A questo fine è stato sviluppato e testato un questionario specifico che potrà essere proposto per ulteriori indagini in ambito montano. La mole di dati raccolti è stata utilizzata per calcolare l’impronta ecologica degli allevamenti con approccio Life Cycle Assessment (LCA). Lo studio comprende l’intera vita del prodotto, dalla produzione delle materie prime, alla loro lavorazione e utilizzo finale considerando tutti gli input e gli output associati all’unità funzionale (il kg di latte). In questo studio sono state considerate tre categorie di impatto: carbon footprint (contributo alla produzione di gas serra), acidificazione ed eutrofizzazione, relative all’anno 2013. I valori ottenuti per le tre categorie di impatto presentano un’ampia variabilità, con medie e DS pari a: 1.46 ± 0.58 kg CO2 eq, 27.18 ± 8.34 g SO2 eq. e 7.91 ± 2.31 g PO43- eq. per kg FPCM. I valori ottenuti sono in linea con quanto riportato da altre ricerche condotte in ambito montano. L’impatto complessivo è stato diviso tra componenti on-farm e off-farm, e sono stati ripartiti gli impatti con allocazione di massa tra latte e carne. L’analisi della varianza ha messo in evidenza come gli effetti considerati (stabulazione, libera vs fissa, e modalità di somministrazione degli alimenti, tradizionale vs unifeed), pur significativi in alcuni casi, influiscano in maniera poco rilevante sulla variabilità delle categorie di impatto mentre esiste una rilevante variabilità dei risultati tra aziende diverse dello stesso gruppo. Ci sono quindi margini per mitigare l’impatto e aumentare l’efficienza degli allevamenti, anche con strutture e gestioni diverse. Nel complesso, i risultati della tesi offrono degli interessanti spunti sulla valutazione della sostenibilità della bovinicoltura da latte nelle aree montane, con approcci metodologici innovativi. In prospettiva, i risultati ottenuti dagli approcci sperimentali condotti potranno essere ampliati su un pool ampio di aziende al fine di identificare degli indicatori di riferimento per la valutazione della sostenibilità e multifunzionalità degli allevamenti montani.
31-lug-2015
Inglese
dairy systems, summer farms, mountainous areas, pasture, sustainability, LCA
CORICH, VIVIANA
Università degli studi di Padova
152
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-108751