Per ferite difficili s’intende convenzionalmente perdite di sostanza coinvolgenti gli strati tissutali profondi, con tendenza a cronicizzare e recidivare e perciò di difficile, lungo e costoso trattamento. In aumento nei paesi industrializzati a causa dell’aumento della durata della vita e dell’incremento di patologie croniche come il diabete e l’obesità, le ferite difficili interessano in Italia più della metà della popolazione anziana e l'1-2% di quella complessiva. 1 Il loro trattamento è un problema sociale importante per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Esse, infatti, rappresentano un importante fattore di rischio per ospedalizzazione, amputazione, sepsi e, nei casi più gravi, morte. L’evoluzione della scienza medica dal punto di vista terapeutico e diagnostico-strumentale, l’esperienza diretta sul campo e la migliore comprensione dei meccanismi di guarigione delle ferite, hanno portato allo sviluppo di modalità avanzate per il trattamento delle lesioni cutanee. Queste ci permettono di curare i pazienti in tempi più rapidi con metodiche più idonee e sempre meno invasive, avendo particolare attenzione per quelle che sono le loro esigenze e la loro sintomatologia, nel rispetto del dolore con cui queste persone convivono già quotidianamente. In tale contesto si inserisce una tecnologia altamente sofisticata e poco invasiva per la gestione delle ferite: la Vacuum Assisted Closure (V.A.C.® Therapy™), definita anche Negative Pressure Wound Therapy (NPWT) oppure oppure Topical Negative Pressure (TNP) o ancora Terapia a Pressione Negativa, introdotta da Argenta e Morykwas 2,3 negli anni ’90, la cui azione e i cui vantaggi i termini di gestione delle ferite e tempi di guarigione trovano ampi consensi tra gli operatori e sono ben documentati in letteratura. Il razionale su cui si basa è dovuto a diversi fattori che nel tempo sono stati ipotizzati e a volte dimostrati: aumento dell'irrorazione sanguigna locale e della perfusione; rimozione dei fluidi e dell’edema; micro deformazione; macrodeformazione; mantenimento dell’emostasi della ferita. La povertà, al contrario, di dati e di evidenze istologiche e di reperti isto-morfologici in vivo che supportino l’obiettività clinica, mi ha spinto ad affrontare il presente studio sperimentale per cercare con studi immuno-istochimici che fossero standardizzabili e riproducibili, in particolare la valutazione della neoangiogenesi, di colmare questa lacuna e di chiarire in parte i meccanismi di azione. Nel primo capitolo viene introdotta la tecnologia oggetto di studio descrivendone la storia, i componenti, l’utilizzo nell’ambito delle ferite difficili. Il secondo capitolo analizza i meccanismi d’azione e l’interazione con i tessuti e focalizza l’analisi sulla neo-angiogenesi come meccanismo d’azione cardine della terapia a pressione negativa e sulle evidenze sperimentali morfo-funzionali a supporto di questa teoria. Il terzo capitolo infine presenta lo studio effettuato in sette pazienti in collaborazione tra U.O. di Chirurgia Plastica e Dipartimento di Istologia dell’Ospedale C.T.O. di Roma e il Dipartimento di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva del Policlinico Umberto I, ‘La Sapienza’ di Roma.

Vacuum-Assisted Closure Theraphy nella terapia delle “ferite difficili”: correlazione tra le evidenze cliniche ed i risultati istologici del trattamento.

ANNIBOLETTI, TOMMASO
2011

Abstract

Per ferite difficili s’intende convenzionalmente perdite di sostanza coinvolgenti gli strati tissutali profondi, con tendenza a cronicizzare e recidivare e perciò di difficile, lungo e costoso trattamento. In aumento nei paesi industrializzati a causa dell’aumento della durata della vita e dell’incremento di patologie croniche come il diabete e l’obesità, le ferite difficili interessano in Italia più della metà della popolazione anziana e l'1-2% di quella complessiva. 1 Il loro trattamento è un problema sociale importante per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Esse, infatti, rappresentano un importante fattore di rischio per ospedalizzazione, amputazione, sepsi e, nei casi più gravi, morte. L’evoluzione della scienza medica dal punto di vista terapeutico e diagnostico-strumentale, l’esperienza diretta sul campo e la migliore comprensione dei meccanismi di guarigione delle ferite, hanno portato allo sviluppo di modalità avanzate per il trattamento delle lesioni cutanee. Queste ci permettono di curare i pazienti in tempi più rapidi con metodiche più idonee e sempre meno invasive, avendo particolare attenzione per quelle che sono le loro esigenze e la loro sintomatologia, nel rispetto del dolore con cui queste persone convivono già quotidianamente. In tale contesto si inserisce una tecnologia altamente sofisticata e poco invasiva per la gestione delle ferite: la Vacuum Assisted Closure (V.A.C.® Therapy™), definita anche Negative Pressure Wound Therapy (NPWT) oppure oppure Topical Negative Pressure (TNP) o ancora Terapia a Pressione Negativa, introdotta da Argenta e Morykwas 2,3 negli anni ’90, la cui azione e i cui vantaggi i termini di gestione delle ferite e tempi di guarigione trovano ampi consensi tra gli operatori e sono ben documentati in letteratura. Il razionale su cui si basa è dovuto a diversi fattori che nel tempo sono stati ipotizzati e a volte dimostrati: aumento dell'irrorazione sanguigna locale e della perfusione; rimozione dei fluidi e dell’edema; micro deformazione; macrodeformazione; mantenimento dell’emostasi della ferita. La povertà, al contrario, di dati e di evidenze istologiche e di reperti isto-morfologici in vivo che supportino l’obiettività clinica, mi ha spinto ad affrontare il presente studio sperimentale per cercare con studi immuno-istochimici che fossero standardizzabili e riproducibili, in particolare la valutazione della neoangiogenesi, di colmare questa lacuna e di chiarire in parte i meccanismi di azione. Nel primo capitolo viene introdotta la tecnologia oggetto di studio descrivendone la storia, i componenti, l’utilizzo nell’ambito delle ferite difficili. Il secondo capitolo analizza i meccanismi d’azione e l’interazione con i tessuti e focalizza l’analisi sulla neo-angiogenesi come meccanismo d’azione cardine della terapia a pressione negativa e sulle evidenze sperimentali morfo-funzionali a supporto di questa teoria. Il terzo capitolo infine presenta lo studio effettuato in sette pazienti in collaborazione tra U.O. di Chirurgia Plastica e Dipartimento di Istologia dell’Ospedale C.T.O. di Roma e il Dipartimento di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva del Policlinico Umberto I, ‘La Sapienza’ di Roma.
27-mag-2011
Italiano
istologia
ricostruttiva
chirurgia
surgery
histology
wounds
risultati istologici
histological results
ferite difficili
pressione negativa
negative pressure
v.a.c theraphy
CAGGIATI, Alberto
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/109341
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIROMA1-109341