Le élites ecclesiastiche bizantine di fronte alla minaccia turca nel XIV sec.: L’Athos, Gregorio Palamas, Giovanni VI Cantacuzeno e il patriarca Callisto I. Il confronto e la convivenza con il mondo turco sono per Bisanzio un elemento imprescindibile per inquadrare e comprendere gli ultimi secoli della storia dell’impero. Eppure il processo di formazione e stabilizzazione di entità statali – più o meno significative – nelle regioni occidentali dell’Asia Minore all’inizio del XIV sec. ha rappresentato un fattore di novità nel panorama politico e religioso della Bisanzio dell’epoca. I continui e inevitabili scambi, la politica aggressiva dei vari emirati, la necessità di affidarsi a loro per risolvere il disordine istituzionale dovuto alle guerre civili sono stati motivi di accelerazione di un fenomeno che ha prodotto in ultimo la scomparsa stessa dell’impero. Ovviamente hanno concorso a questo esito anche altri fattori, apparentemente eccentrici: l’elaborazione convulsa della disputa palamitica, le trasformazioni sociali e il travagliato rapporto con il mondo latino, solo per citare i principali. Interessarsi al problema della percezione del pericolo turco risulta così un impegno indispensabile per cogliere appieno il XIV sec. bizantino. Ciò diventa ancor più significativo se pensiamo che le principali figure che si sono impegnate a discutere del nemico-alleato sono le medesime che hanno giocato un ruolo centrale nella vita religiosa e politica dell’epoca (Giovanni VI Cantacuzeno, Gregorio Palamas, Callisto I patriarca, …). Vi sono altri fattori che motivano l’urgenza dello studio specifico che qui offriamo. In primo luogo il rinnovato interesse che negli ultimi anni si coglie nella letteratura scientifica. In secondo luogo bisogna registrare l’assenza o la parzialità di opere di sintesi disponibili sul tema. Gli studi di A. Th. Khoury, che fino ad oggi hanno rappresentato la summa per chi voglia accostarsi al tema della controversistica antislamica prodotta a Bisanzio, nonostante le intenzioni dello studioso mancano di un approfondimento su autori e testi del XIV sec. Il concorso di questi tre fattori (importanza della materia, rinnovato interesse e mancanza di studi complessivi) ci ha indotto a intraprendere questa fatica. Fatica solo in parte alleviata dalla disponibilità di edizioni critiche recenti sulle quali abbiamo fondato la nostra analisi. Il nostro percorso si articola in cinque fasi: la presentazione di quattro dossiers e una conclusione che non solo rivaluta il materiale vagliato, ma lo arricchisce con la perlustrazione di altre fonti che ci hanno permesso di ampliare l’obiettivo delle nostre osservazioni per giungere così a un quadro d’insieme significativo. Abbiamo selezionato innanzitutto quattro aree di approfondimento sulla base della quantità del materiale documentario a disposizione e abbiamo così focalizzato la nostra attenzione su autori e opere relativi alla metà del secolo: i documenti d’archivio dei monasteri dell’Athos e i testi agiografici delle grandi personalità monastiche dell’epoca, l’epistolario dalla prigionia presso i turchi Ottomani di Gregorio Palamas (1354-1355), le Apologiae IV e le Orationes IV contro l’Islam composte da Giovanni VI Cantacuzeno negli anni successivi alla sua abdicazione e infine la produzione pastorale del patriarca Callisto I. La parte prima si concentra sulla situazione dell’Athos nel corso del XIV sec. fino alla sua ufficiale sottomissione all’autorità ottomana nel 1423-1424. Nonostante l’esistenza di alcuni brevi studi (Lemerle–Wittek, Beldiceanu-Steinherr, Zachariadou, Oikonomides, Živojinović), in primo luogo sono state compulsate le fonti d’archivio di ciascun monastero per osservare l’impatto delle incursioni. Lo studio di questo materiale ha condotto alla definizione di tre periodi: 1) dal 1305 al 1348 ossia dal passaggio della Compagnia Catalana e il suo seguito di truppe mercenarie turche fino alla morte dell’emiro Umur di Aydin, protagonista di una massiccia attività piratesca; 2) i decenni centrali del XIV sec. (1350-1370) che videro l’affermarsi del controllo serbo sull’Athos, e infine 3) il periodo intercorso tra la disfatta serbo-bizantina alla Maritza (1371) fino all’ufficiale sottomissione. Si è indagata la situazione degli eremi e le iniziative di difesa promosse dall’autorità imperiale e patriarcale che spinsero gli anacoreti a rifugiarsi entro le mura dei monasteri maggiori o a trasferirsi nelle città limitrofe. Superata l’emergenza catalana, l’Athos è soggetto a continue scorrerie dei pirati provenienti dagli emirati di Aydin e Mentesche. Di qui l’inizio dell’esodo di singoli monaci verso aree più sicure (Gregorio Sinaita o Gregorio Palamas, per citare i casi più celebri) e sotto il profilo demografico il progressivo spopolamento dell’Athos in particolare per quanto riguarda la componente greca. Tale situazione si ripresenta a più riprese fino agli anni ’40 (fuga di Atanasio il Meteorita, cattura della commissione incaricata dell’inchiesta sulla diffusione di pratiche bogomile). Solo il pattugliamento di navi occidentali e la morte di Umur di Aydin consegnano la Santa Montagna a una breve stagione di tranquillità. Per il secondo periodo (disfatta della Maritza) si registra una fase di relativa pace per l’Athos. L’assorbimento nell’area di influenza del regno di Serbia e la designazione di protoi legati alla dinastia Nemanja favoriscono ampiamente alcune comunità che inaugurano una stagione di ampliamento fondiario. I kellia e i monydria abbandonati o fatiscenti sono affidati ai grandi monasteri affinché siano ristrutturati, garantiscano un versamento annuale per la Mese e possano accogliere il flusso di monaci che provengono dai Balcani. Ciò tuttavia non cancella gli effetti del pericolo turco ancora incombente: assistiamo a una stagione di rafforzamento delle strutture di difesa dei monasteri e numerose fonti, per lo più agiografiche, testimoniano anche il clima di tensione e insicurezza di quegli anni. Abbiamo qui dimostrato che l’effetto di maggior rilievo per il periodo della serbocrazia consiste nella nuova disponibilità delle comunità athonite a interloquire con autorità che non sono più necessariamente bizantine, riconoscendole come garanti dell’ordine sulla Santa Montagna e facendosi da queste riconoscere privilegi, donazioni ed esenzioni. Con la scomparsa di Giovanni Uglieša, il Monte Santo torna sotto il controllo bizantino. Per quest’ultima parte si è pensato di ampliare l’indagine considerando anche i documenti fiscali promossi sia dall’autorità bizantina sia ottomana per l’area dell’Athos. In questo contesto e sulla base del cambiamento di politica adottato durante la serbocrazia, abbiamo inquadrato le prime notizie leggendarie che riferiscono di contatti con le autorità turche per i monasteri che cercano di accreditare presso l’invasore i privilegi dei quali in precedenza hanno goduto. L’occupazione della Macedonia (1383-1402) determina quindi una situazione magmatica come dimostra il trattamento vario riservato a ciascuna comunità dall’amministrazione ottomana. Dopo la battaglia di Ankara (1402) Manuele II tenta di riaffermare la sua autorità sull’Athos. I monasteri tornano proprietari dei beni sottratti durante l’occupazione turca e vedono riconosciute le transazioni concluse durante questo periodo, ma contemporaneamente vedono confermata la tassazione (haraç). Tale imposta, versata in contanti, comporta che tali somme siano probabilmente reperite con la concessione di adelphata per i quali tra gli anni ’80 e ’90 del XIV sec. si registra un netto incremento delle stipule. Le lotte intestine in seno alla famiglia regnante ottomana durante il secondo decennio del XV sec. concedono quindi una nuova parentesi di relativa tranquillità che si prolunga sino all’assedio di Murad II prima a Costantinopoli (1422) poi a Tessalonica (1423-1430). Giungiamo così al momento della sottomissione definitiva e ufficiale delle comunità athonite al sultano ottomano (1423/1424). La cessione di Tessalonica ai Veneziani da parte del governatore Andronico IV offrì la possibilità ai monasteri di gestire in maniera autonoma la propria politica di avvicinamento al Turco, come era già accaduto con le autorità serbe alla metà del XIV sec. In secondo luogo il concorso delle fonti ci lascia presumere che anche gli athoniti nutrissero la convinzione di ricevere un trattamento equo e mite come nel caso della precedente occupazione da parte di Bayazid I sul finire del XIV sec.. Infine non va dimenticato che l’accoglienza di Murad II della leale sottomissione delle comunità athonite assicurò al sultano la possibilità di concentrarsi per un esito positivo del blocco di Tessalonica, avendo pacificato un’area strategica per il controllo della Macedonia e un focolaio di potenziali resistenze. La seconda sezione del capitolo è dedicata allo studio, sempre attraverso il materiale d’archivio, delle fortificazioni presenti nelle proprietà dei monasteri dell’Athos e nei loro metochia per fronteggiare le incursioni turche. Entro i confini del Monte Santo osserviamo come i conventi si impegnarono, per lo più nella prima metà del secolo, a rafforzare le strutture interne; più onerosa la ristrutturazione delle torri preesistenti, sempre funzionale all’inglobamento di una nuova proprietà; infine la zona dell’istmo dell’Athos, più sensibile agli attacchi via terra ma anche più strategica per i passaggi di merci, fu il teatro di opere di fortificazione, in particolare nel primo trentennio del XIV sec. Medesimo obiettivo si legge alla base della politica fondiaria nelle penisole di Kassandra e Longos. Più articolata la situazione in Calcidica e in Macedonia: l’obiettivo dei monasteri consiste nella difesa dei rispettivi metochia, ora con l’acquisto e la costruzione a proprie spese di torri di protezione o avvistamento, ora attraverso l’acquisizione di lotti già muniti. Infine sulle isole i monasteri si concentrano nella protezione dei porti, gangli vitali dell’economia monastica nel XIV sec. Ultima sezione della parte prima affronta il problema dell’impatto psicologico e delle reazioni delle comunità athonite di fronte al pericolo turco. In questo caso si è privilegiata l’analisi delle fonti agiografiche, ricche di dettagli ed episodi. La gestione dell’enorme materiale ci ha indotto a raccogliere le testimonianze secondo i seguenti criteri: 1) testimonianze dirette di scorrerie sull’Athos e fughe dalla Santa Montagna, completando in tal modo quanto non espressamente specificato o trattato nelle fonti d’archivio; 2) studio dei casi di cattura e prigionia di monaci athoniti a opera di pirati turchi; 3) attestazioni monastiche delle conseguenze delle scorrerie turche all’interno dei territori bizantini; 4) le paure e l’impatto psicologico delle incursioni sulla popolazione athonita ed infine 5) il contatto tra i monaci pellegrini e l’Islam nella Terra Santa. La parte seconda è invece dedicata allo studio del dossier epistolografico di Gregorio Palamas (2 marzo 1354-primavera del 1355). Si tratta di un documento storico di primaria importanza per la testimonianza autoptica di un protagonista della vita religiosa e politica della metà del XIV sec. e per i resoconti di dispute e colloqui che il prelato sostenne con vari personaggi musulmani (Ismael, Chioni e tasimane). L’analisi è stata condotta considerando il corpus dei testi (Lettera alla sua Chiesa, Lettera ad un anonimo, Dialexis corredati di un’analisi particolareggiata dei contenuti), definendo in primis fasi di composizione e cronologia relativa e assoluta. Per quanto riguarda la Lettera ad un anonimo e la Dialexis è stato affrontato il problema filologico relativo alle versioni differenti relate dalla tradizione manoscritta e, per la Lettera ad un anonimo, il problema del destinatario. A ciò segue un’indagine intorno alle motivazioni del viaggio per mare intrapreso dal metropolita che condusse alla cattura, quindi sui tempi e sulle modalità della liberazione del metropolita. In ultimo sempre nella sezione introduttiva del capitolo si è cercato di ricostruire la condizione delle comunità cristiane della Bitinia soggette alla recente occupazione ottomana (Lampsaco, Pege, Bursa e Nicea) e a definire il giudizio del prigioniero circa la convivenza e l’atteggiamento degli invasori nei confronti della popolazione cristiana. La sezione successiva della parte seconda è interamente dedicata allo studio dei contenuti delle dispute affrontate dal prelato (a Lampsaco, il colloquio con Ismael, il contraddittorio con i Chioni). Ogni analisi è preceduta da una scheda nella quale abbiamo tentato un ritratto degli interlocutori di Palamas. Per quanto riguarda la Dialexis si è invece preferito privilegiare l’identità del medico Taronites. Ogni occasione di discussione con interlocutori musulmani è stata analizzata sulla base delle tematiche che in essa sono trattate. Questo ha permesso un lavoro di lettura sinottica con i testi della tradizione apologetico-polemica bizantina sull’Islam. In tal modo sono stati volta per volta posti in evidenza i motivi di continuità e di innovazione rispetto al portato tradizionale. A questa seconda parte si collega l’Appendice di contenuto geografico intorno ai singoli siti visitati dal metropolita ricostruendone la storia delle comunità cristiane e allo stato dei luoghi. La parte terza è dedicata allo studio del corpus antislamico di Giovanni VI Cantacuzeno. Se si esclude lo studio di K. P. Todt (1991), il testo non è stato fino a oggi oggetto di alcuna analisi, nonostante la centralità del personaggio. L’interesse su questa produzione nasce dal fatto che da molti il poderoso corpus è stato considerato come un elemento di novità dato il legame con il Contra Legem Sarracenorum del frate domenicano Riccoldo da Monte Croce, tradotto in greco da Demetrio Cidone. La parziale e lacunosa introduzione all’edizione critica di K. Förstel (2005) ci ha imposto una approfondita revisione dei problemi ecdotici legati alle Apologiae e Orationes. Innazitutto abbiamo cercato di dare risposta al problema dell’identità dei personaggi citati (Melezio, monaco convertito dall’Islam, e Sampsatines di Isfahan, autore della lettera proemiale). Siamo quindi passati a considerare la questione della datazione, assai rilevante per poter inquadrare correttamente l’opera nella vicenda biografica dell’ex imperatore, attraverso un’indagine parallela sui tempi delle traduzioni dal latino di Cidone e l’attività letteraria dello stesso Canatcuzeno. I rapporti sia con l’ipotesto di Riccoldo sia con l’altra opera polemica di Cantacuzeno (i nove discorsi Contra Iudaeos) hanno poi dimostrato come la presunta originalità del testo vada sensibilmente circoscritta. La dipendenza dalla tradizione antigiudaica innestata con le notizie di prima mano che Cantacuzeno leggeva nella versione greca del Contra Legem Sarracenorum ci sembrano i veri aspetti di novità di questo corpus. Solo infatti alla luce dei risultati di questi paragrafi introduttivi è stato possibile un corretto inquadramento dei principali temi apologetico-polemici discussi nel testo. Abbiamo preferito – e in questa sede ribadiamo l’intento – privilegiare nell’analisi solo le argomentazioni che, in forma completa o parziale, risultano nuove rispetto alla tradizione polemica bizantina e al libello del domenicano. Nel mare magnum dei discorsi di Cantacuzeno solo questi passaggi dichiarano una originalità che comunque si inserisce nell’alveo del sentire dell’epoca. La parte quarta indaga la figura, solo ultimamente valorizzata dalle pubblicazioni di C. Paidas, del patriarca Callisto I. La novità di questo capitolo risiede sia nell’indagine complessiva sul personaggio e la sua attività, prima e dopo la salita al seggio patriarcale, sia nella compulsazione della sua produzione pastorale che in larga parte attende ancora di essere pubblicata. Ci è parso necessario ripercorrere in primo luogo la vicenda del rapimento del giovane Callisto (1344) per mostrare quanto l’acredine, i timori e la preoccupazione delle parole del Patriarca abbiano fondamento in un’esperienza biografica che lo vide prigioniero di pirati turchi durante le indagini contro le pratiche bogomile diffuse sull’Athos. Come abbiamo poi osservato all’inizio di queste pagine, un elemento determinante per comprendere la percezione del problema turco-islamico nella Bisanzio paleologa sta nella considerazione del rapporto con il mondo latino, disponibile a prestare soccorso con l’intento di una automatica sottomissione al Papato. Studiare la politica antilatina perseguita da Callisto è stato dunque un mezzo opportuno per meglio inquadrare la sua produzione pastorale. L’analisi è stata articolata in due fasi: una prima che ha preso in esame i regesta patriarcali e una seconda che si è concentrata sulla produzione omiletica antilatina. Di qui si è poi passati allo studio dell’Omelia sui falsi maestri e profeti che ha uno dei suoi bersagli proprio nella figura di Maometto. Dopo un breve approfondimento su un passo dell’omelia κατὰ Λατίνων nel quale si fa riferimento a due rarissimi casi di conversione dall’Islam, abbiamo considerato ora la produzione omiletica ora quella eucologica. Questo lungo e tortuoso percorso di indagine ci ha però restituito l’immagine complessa e completa dell’azione e dello spirito di questo patriarca. Tra le parole di Callisto si legge l’inquietudine di chi non è in grado di fornire spiegazioni al disfacimento al quale assiste; i toni vaghi ed evocativi della sua retorica rammentano alla sua comunità le sofferenze patite dai Cristiani, l’angoscia per i prigionieri resi schiavi. Ciò si intreccia con la preoccupazione per la tenuta morale del popolo greco. Le eresie latine e latineggianti, le dispute sul Palamismo sono la punta nobile e intellettuale di una crisi spirituale dai connotati più materiali e popolari. Il peccato che regna a Bisanzio è a suo dire la vera causa della vittoria dei nemici turchi e l’abbandono da parte di Dio del suo popolo ha generato l’incapacità e l’inefficace reazione del sistema imperiale ai problemi quotidiani. La spiegazione che si legge in Callisto e che ritorna ridondante anche negli atti dell’Athos, nelle opere di tanti contemporanei e si ripete negli scritti di Palamas e Cantacuzeno non ci è parsa però risolutiva. Nella parte quinta abbiamo cercato di collocare i quattro dossiers nel sentire dell’epoca. Abbiamo così allargato l’obbiettivo della nostra ricerca considerando il modo in cui le fonti storiche (Niceforo Gregoras e ancora Cantacuzeno) ritraggono il nemico turco. Di qui una breve parentesi sulla presunta disponibilità degli ambienti esicasti del XIV sec. all’Islam. Dalla macrostoria si è passati alla microstoria ossia a quanto riferiscono fonti dirette e meno conosciute (Matteo di Efeso e Teofane di Nicea) le cui osservazioni trovano eco ancora negli scritti di Giorgio Gennadio Scholarios, primo patriarca sotto la Turcocrazia. Ampio spazio ha poi trovato la lettura di Alessio Makrembolites, per noi testimone eccellente delle ansie della classe media bizantina. In ultimo abbiamo cercato di dare risposta alla più semplice ma ineludibile delle domande: come i Bizantini del XIV sec. giustificavano le vittorie dei Turchi. La trattatistica ufficiale (Palamas e Cantacuzeno), l’omiletica (Callisto I), l’agiografia e i documenti dell’Athos, l’epistolografia (Matteo di Efeso e Teofane di Nicea), sia la “letteratura privata” (Alessio Makrembolites) puntano il dito verso la decadenza morale di cui è colpevole la società contemporanea, in una parola il peccato. Abbiamo trovato ampi riscontri nei registri patriarcali che nel corso del secolo ribollono di casi più o meno scandalosi di declino etico. Eppure tra le righe di questa messe di documenti vi abbiamo letto anche un’ansia millenaristica che dà ragione del peccato dilagante. Ultimo passaggio è stato quindi rivolto alla produzione apocalittica così copiosa in questo secolo. Lo scoccare del VII millennio, il realizzarsi delle immagini neotestamentarie sull’Anticristo sono la vera chiave di lettura per comprendere la percezione della vittoria dell’Islam turco. Il XIV sec. è un’età apocalittica che con tale lente legge gli eventi che spegneranno la fiaccola della Grecità

Le élites ecclesiastiche bizantine di fronte alla minaccia turca nel XIV sec.: l'Athos, Gregorio Palamas, Giovanni VI Cantacuzeno e il patriarca Callisto I.

FANELLI, MARCO
2014

Abstract

Le élites ecclesiastiche bizantine di fronte alla minaccia turca nel XIV sec.: L’Athos, Gregorio Palamas, Giovanni VI Cantacuzeno e il patriarca Callisto I. Il confronto e la convivenza con il mondo turco sono per Bisanzio un elemento imprescindibile per inquadrare e comprendere gli ultimi secoli della storia dell’impero. Eppure il processo di formazione e stabilizzazione di entità statali – più o meno significative – nelle regioni occidentali dell’Asia Minore all’inizio del XIV sec. ha rappresentato un fattore di novità nel panorama politico e religioso della Bisanzio dell’epoca. I continui e inevitabili scambi, la politica aggressiva dei vari emirati, la necessità di affidarsi a loro per risolvere il disordine istituzionale dovuto alle guerre civili sono stati motivi di accelerazione di un fenomeno che ha prodotto in ultimo la scomparsa stessa dell’impero. Ovviamente hanno concorso a questo esito anche altri fattori, apparentemente eccentrici: l’elaborazione convulsa della disputa palamitica, le trasformazioni sociali e il travagliato rapporto con il mondo latino, solo per citare i principali. Interessarsi al problema della percezione del pericolo turco risulta così un impegno indispensabile per cogliere appieno il XIV sec. bizantino. Ciò diventa ancor più significativo se pensiamo che le principali figure che si sono impegnate a discutere del nemico-alleato sono le medesime che hanno giocato un ruolo centrale nella vita religiosa e politica dell’epoca (Giovanni VI Cantacuzeno, Gregorio Palamas, Callisto I patriarca, …). Vi sono altri fattori che motivano l’urgenza dello studio specifico che qui offriamo. In primo luogo il rinnovato interesse che negli ultimi anni si coglie nella letteratura scientifica. In secondo luogo bisogna registrare l’assenza o la parzialità di opere di sintesi disponibili sul tema. Gli studi di A. Th. Khoury, che fino ad oggi hanno rappresentato la summa per chi voglia accostarsi al tema della controversistica antislamica prodotta a Bisanzio, nonostante le intenzioni dello studioso mancano di un approfondimento su autori e testi del XIV sec. Il concorso di questi tre fattori (importanza della materia, rinnovato interesse e mancanza di studi complessivi) ci ha indotto a intraprendere questa fatica. Fatica solo in parte alleviata dalla disponibilità di edizioni critiche recenti sulle quali abbiamo fondato la nostra analisi. Il nostro percorso si articola in cinque fasi: la presentazione di quattro dossiers e una conclusione che non solo rivaluta il materiale vagliato, ma lo arricchisce con la perlustrazione di altre fonti che ci hanno permesso di ampliare l’obiettivo delle nostre osservazioni per giungere così a un quadro d’insieme significativo. Abbiamo selezionato innanzitutto quattro aree di approfondimento sulla base della quantità del materiale documentario a disposizione e abbiamo così focalizzato la nostra attenzione su autori e opere relativi alla metà del secolo: i documenti d’archivio dei monasteri dell’Athos e i testi agiografici delle grandi personalità monastiche dell’epoca, l’epistolario dalla prigionia presso i turchi Ottomani di Gregorio Palamas (1354-1355), le Apologiae IV e le Orationes IV contro l’Islam composte da Giovanni VI Cantacuzeno negli anni successivi alla sua abdicazione e infine la produzione pastorale del patriarca Callisto I. La parte prima si concentra sulla situazione dell’Athos nel corso del XIV sec. fino alla sua ufficiale sottomissione all’autorità ottomana nel 1423-1424. Nonostante l’esistenza di alcuni brevi studi (Lemerle–Wittek, Beldiceanu-Steinherr, Zachariadou, Oikonomides, Živojinović), in primo luogo sono state compulsate le fonti d’archivio di ciascun monastero per osservare l’impatto delle incursioni. Lo studio di questo materiale ha condotto alla definizione di tre periodi: 1) dal 1305 al 1348 ossia dal passaggio della Compagnia Catalana e il suo seguito di truppe mercenarie turche fino alla morte dell’emiro Umur di Aydin, protagonista di una massiccia attività piratesca; 2) i decenni centrali del XIV sec. (1350-1370) che videro l’affermarsi del controllo serbo sull’Athos, e infine 3) il periodo intercorso tra la disfatta serbo-bizantina alla Maritza (1371) fino all’ufficiale sottomissione. Si è indagata la situazione degli eremi e le iniziative di difesa promosse dall’autorità imperiale e patriarcale che spinsero gli anacoreti a rifugiarsi entro le mura dei monasteri maggiori o a trasferirsi nelle città limitrofe. Superata l’emergenza catalana, l’Athos è soggetto a continue scorrerie dei pirati provenienti dagli emirati di Aydin e Mentesche. Di qui l’inizio dell’esodo di singoli monaci verso aree più sicure (Gregorio Sinaita o Gregorio Palamas, per citare i casi più celebri) e sotto il profilo demografico il progressivo spopolamento dell’Athos in particolare per quanto riguarda la componente greca. Tale situazione si ripresenta a più riprese fino agli anni ’40 (fuga di Atanasio il Meteorita, cattura della commissione incaricata dell’inchiesta sulla diffusione di pratiche bogomile). Solo il pattugliamento di navi occidentali e la morte di Umur di Aydin consegnano la Santa Montagna a una breve stagione di tranquillità. Per il secondo periodo (disfatta della Maritza) si registra una fase di relativa pace per l’Athos. L’assorbimento nell’area di influenza del regno di Serbia e la designazione di protoi legati alla dinastia Nemanja favoriscono ampiamente alcune comunità che inaugurano una stagione di ampliamento fondiario. I kellia e i monydria abbandonati o fatiscenti sono affidati ai grandi monasteri affinché siano ristrutturati, garantiscano un versamento annuale per la Mese e possano accogliere il flusso di monaci che provengono dai Balcani. Ciò tuttavia non cancella gli effetti del pericolo turco ancora incombente: assistiamo a una stagione di rafforzamento delle strutture di difesa dei monasteri e numerose fonti, per lo più agiografiche, testimoniano anche il clima di tensione e insicurezza di quegli anni. Abbiamo qui dimostrato che l’effetto di maggior rilievo per il periodo della serbocrazia consiste nella nuova disponibilità delle comunità athonite a interloquire con autorità che non sono più necessariamente bizantine, riconoscendole come garanti dell’ordine sulla Santa Montagna e facendosi da queste riconoscere privilegi, donazioni ed esenzioni. Con la scomparsa di Giovanni Uglieša, il Monte Santo torna sotto il controllo bizantino. Per quest’ultima parte si è pensato di ampliare l’indagine considerando anche i documenti fiscali promossi sia dall’autorità bizantina sia ottomana per l’area dell’Athos. In questo contesto e sulla base del cambiamento di politica adottato durante la serbocrazia, abbiamo inquadrato le prime notizie leggendarie che riferiscono di contatti con le autorità turche per i monasteri che cercano di accreditare presso l’invasore i privilegi dei quali in precedenza hanno goduto. L’occupazione della Macedonia (1383-1402) determina quindi una situazione magmatica come dimostra il trattamento vario riservato a ciascuna comunità dall’amministrazione ottomana. Dopo la battaglia di Ankara (1402) Manuele II tenta di riaffermare la sua autorità sull’Athos. I monasteri tornano proprietari dei beni sottratti durante l’occupazione turca e vedono riconosciute le transazioni concluse durante questo periodo, ma contemporaneamente vedono confermata la tassazione (haraç). Tale imposta, versata in contanti, comporta che tali somme siano probabilmente reperite con la concessione di adelphata per i quali tra gli anni ’80 e ’90 del XIV sec. si registra un netto incremento delle stipule. Le lotte intestine in seno alla famiglia regnante ottomana durante il secondo decennio del XV sec. concedono quindi una nuova parentesi di relativa tranquillità che si prolunga sino all’assedio di Murad II prima a Costantinopoli (1422) poi a Tessalonica (1423-1430). Giungiamo così al momento della sottomissione definitiva e ufficiale delle comunità athonite al sultano ottomano (1423/1424). La cessione di Tessalonica ai Veneziani da parte del governatore Andronico IV offrì la possibilità ai monasteri di gestire in maniera autonoma la propria politica di avvicinamento al Turco, come era già accaduto con le autorità serbe alla metà del XIV sec. In secondo luogo il concorso delle fonti ci lascia presumere che anche gli athoniti nutrissero la convinzione di ricevere un trattamento equo e mite come nel caso della precedente occupazione da parte di Bayazid I sul finire del XIV sec.. Infine non va dimenticato che l’accoglienza di Murad II della leale sottomissione delle comunità athonite assicurò al sultano la possibilità di concentrarsi per un esito positivo del blocco di Tessalonica, avendo pacificato un’area strategica per il controllo della Macedonia e un focolaio di potenziali resistenze. La seconda sezione del capitolo è dedicata allo studio, sempre attraverso il materiale d’archivio, delle fortificazioni presenti nelle proprietà dei monasteri dell’Athos e nei loro metochia per fronteggiare le incursioni turche. Entro i confini del Monte Santo osserviamo come i conventi si impegnarono, per lo più nella prima metà del secolo, a rafforzare le strutture interne; più onerosa la ristrutturazione delle torri preesistenti, sempre funzionale all’inglobamento di una nuova proprietà; infine la zona dell’istmo dell’Athos, più sensibile agli attacchi via terra ma anche più strategica per i passaggi di merci, fu il teatro di opere di fortificazione, in particolare nel primo trentennio del XIV sec. Medesimo obiettivo si legge alla base della politica fondiaria nelle penisole di Kassandra e Longos. Più articolata la situazione in Calcidica e in Macedonia: l’obiettivo dei monasteri consiste nella difesa dei rispettivi metochia, ora con l’acquisto e la costruzione a proprie spese di torri di protezione o avvistamento, ora attraverso l’acquisizione di lotti già muniti. Infine sulle isole i monasteri si concentrano nella protezione dei porti, gangli vitali dell’economia monastica nel XIV sec. Ultima sezione della parte prima affronta il problema dell’impatto psicologico e delle reazioni delle comunità athonite di fronte al pericolo turco. In questo caso si è privilegiata l’analisi delle fonti agiografiche, ricche di dettagli ed episodi. La gestione dell’enorme materiale ci ha indotto a raccogliere le testimonianze secondo i seguenti criteri: 1) testimonianze dirette di scorrerie sull’Athos e fughe dalla Santa Montagna, completando in tal modo quanto non espressamente specificato o trattato nelle fonti d’archivio; 2) studio dei casi di cattura e prigionia di monaci athoniti a opera di pirati turchi; 3) attestazioni monastiche delle conseguenze delle scorrerie turche all’interno dei territori bizantini; 4) le paure e l’impatto psicologico delle incursioni sulla popolazione athonita ed infine 5) il contatto tra i monaci pellegrini e l’Islam nella Terra Santa. La parte seconda è invece dedicata allo studio del dossier epistolografico di Gregorio Palamas (2 marzo 1354-primavera del 1355). Si tratta di un documento storico di primaria importanza per la testimonianza autoptica di un protagonista della vita religiosa e politica della metà del XIV sec. e per i resoconti di dispute e colloqui che il prelato sostenne con vari personaggi musulmani (Ismael, Chioni e tasimane). L’analisi è stata condotta considerando il corpus dei testi (Lettera alla sua Chiesa, Lettera ad un anonimo, Dialexis corredati di un’analisi particolareggiata dei contenuti), definendo in primis fasi di composizione e cronologia relativa e assoluta. Per quanto riguarda la Lettera ad un anonimo e la Dialexis è stato affrontato il problema filologico relativo alle versioni differenti relate dalla tradizione manoscritta e, per la Lettera ad un anonimo, il problema del destinatario. A ciò segue un’indagine intorno alle motivazioni del viaggio per mare intrapreso dal metropolita che condusse alla cattura, quindi sui tempi e sulle modalità della liberazione del metropolita. In ultimo sempre nella sezione introduttiva del capitolo si è cercato di ricostruire la condizione delle comunità cristiane della Bitinia soggette alla recente occupazione ottomana (Lampsaco, Pege, Bursa e Nicea) e a definire il giudizio del prigioniero circa la convivenza e l’atteggiamento degli invasori nei confronti della popolazione cristiana. La sezione successiva della parte seconda è interamente dedicata allo studio dei contenuti delle dispute affrontate dal prelato (a Lampsaco, il colloquio con Ismael, il contraddittorio con i Chioni). Ogni analisi è preceduta da una scheda nella quale abbiamo tentato un ritratto degli interlocutori di Palamas. Per quanto riguarda la Dialexis si è invece preferito privilegiare l’identità del medico Taronites. Ogni occasione di discussione con interlocutori musulmani è stata analizzata sulla base delle tematiche che in essa sono trattate. Questo ha permesso un lavoro di lettura sinottica con i testi della tradizione apologetico-polemica bizantina sull’Islam. In tal modo sono stati volta per volta posti in evidenza i motivi di continuità e di innovazione rispetto al portato tradizionale. A questa seconda parte si collega l’Appendice di contenuto geografico intorno ai singoli siti visitati dal metropolita ricostruendone la storia delle comunità cristiane e allo stato dei luoghi. La parte terza è dedicata allo studio del corpus antislamico di Giovanni VI Cantacuzeno. Se si esclude lo studio di K. P. Todt (1991), il testo non è stato fino a oggi oggetto di alcuna analisi, nonostante la centralità del personaggio. L’interesse su questa produzione nasce dal fatto che da molti il poderoso corpus è stato considerato come un elemento di novità dato il legame con il Contra Legem Sarracenorum del frate domenicano Riccoldo da Monte Croce, tradotto in greco da Demetrio Cidone. La parziale e lacunosa introduzione all’edizione critica di K. Förstel (2005) ci ha imposto una approfondita revisione dei problemi ecdotici legati alle Apologiae e Orationes. Innazitutto abbiamo cercato di dare risposta al problema dell’identità dei personaggi citati (Melezio, monaco convertito dall’Islam, e Sampsatines di Isfahan, autore della lettera proemiale). Siamo quindi passati a considerare la questione della datazione, assai rilevante per poter inquadrare correttamente l’opera nella vicenda biografica dell’ex imperatore, attraverso un’indagine parallela sui tempi delle traduzioni dal latino di Cidone e l’attività letteraria dello stesso Canatcuzeno. I rapporti sia con l’ipotesto di Riccoldo sia con l’altra opera polemica di Cantacuzeno (i nove discorsi Contra Iudaeos) hanno poi dimostrato come la presunta originalità del testo vada sensibilmente circoscritta. La dipendenza dalla tradizione antigiudaica innestata con le notizie di prima mano che Cantacuzeno leggeva nella versione greca del Contra Legem Sarracenorum ci sembrano i veri aspetti di novità di questo corpus. Solo infatti alla luce dei risultati di questi paragrafi introduttivi è stato possibile un corretto inquadramento dei principali temi apologetico-polemici discussi nel testo. Abbiamo preferito – e in questa sede ribadiamo l’intento – privilegiare nell’analisi solo le argomentazioni che, in forma completa o parziale, risultano nuove rispetto alla tradizione polemica bizantina e al libello del domenicano. Nel mare magnum dei discorsi di Cantacuzeno solo questi passaggi dichiarano una originalità che comunque si inserisce nell’alveo del sentire dell’epoca. La parte quarta indaga la figura, solo ultimamente valorizzata dalle pubblicazioni di C. Paidas, del patriarca Callisto I. La novità di questo capitolo risiede sia nell’indagine complessiva sul personaggio e la sua attività, prima e dopo la salita al seggio patriarcale, sia nella compulsazione della sua produzione pastorale che in larga parte attende ancora di essere pubblicata. Ci è parso necessario ripercorrere in primo luogo la vicenda del rapimento del giovane Callisto (1344) per mostrare quanto l’acredine, i timori e la preoccupazione delle parole del Patriarca abbiano fondamento in un’esperienza biografica che lo vide prigioniero di pirati turchi durante le indagini contro le pratiche bogomile diffuse sull’Athos. Come abbiamo poi osservato all’inizio di queste pagine, un elemento determinante per comprendere la percezione del problema turco-islamico nella Bisanzio paleologa sta nella considerazione del rapporto con il mondo latino, disponibile a prestare soccorso con l’intento di una automatica sottomissione al Papato. Studiare la politica antilatina perseguita da Callisto è stato dunque un mezzo opportuno per meglio inquadrare la sua produzione pastorale. L’analisi è stata articolata in due fasi: una prima che ha preso in esame i regesta patriarcali e una seconda che si è concentrata sulla produzione omiletica antilatina. Di qui si è poi passati allo studio dell’Omelia sui falsi maestri e profeti che ha uno dei suoi bersagli proprio nella figura di Maometto. Dopo un breve approfondimento su un passo dell’omelia κατὰ Λατίνων nel quale si fa riferimento a due rarissimi casi di conversione dall’Islam, abbiamo considerato ora la produzione omiletica ora quella eucologica. Questo lungo e tortuoso percorso di indagine ci ha però restituito l’immagine complessa e completa dell’azione e dello spirito di questo patriarca. Tra le parole di Callisto si legge l’inquietudine di chi non è in grado di fornire spiegazioni al disfacimento al quale assiste; i toni vaghi ed evocativi della sua retorica rammentano alla sua comunità le sofferenze patite dai Cristiani, l’angoscia per i prigionieri resi schiavi. Ciò si intreccia con la preoccupazione per la tenuta morale del popolo greco. Le eresie latine e latineggianti, le dispute sul Palamismo sono la punta nobile e intellettuale di una crisi spirituale dai connotati più materiali e popolari. Il peccato che regna a Bisanzio è a suo dire la vera causa della vittoria dei nemici turchi e l’abbandono da parte di Dio del suo popolo ha generato l’incapacità e l’inefficace reazione del sistema imperiale ai problemi quotidiani. La spiegazione che si legge in Callisto e che ritorna ridondante anche negli atti dell’Athos, nelle opere di tanti contemporanei e si ripete negli scritti di Palamas e Cantacuzeno non ci è parsa però risolutiva. Nella parte quinta abbiamo cercato di collocare i quattro dossiers nel sentire dell’epoca. Abbiamo così allargato l’obbiettivo della nostra ricerca considerando il modo in cui le fonti storiche (Niceforo Gregoras e ancora Cantacuzeno) ritraggono il nemico turco. Di qui una breve parentesi sulla presunta disponibilità degli ambienti esicasti del XIV sec. all’Islam. Dalla macrostoria si è passati alla microstoria ossia a quanto riferiscono fonti dirette e meno conosciute (Matteo di Efeso e Teofane di Nicea) le cui osservazioni trovano eco ancora negli scritti di Giorgio Gennadio Scholarios, primo patriarca sotto la Turcocrazia. Ampio spazio ha poi trovato la lettura di Alessio Makrembolites, per noi testimone eccellente delle ansie della classe media bizantina. In ultimo abbiamo cercato di dare risposta alla più semplice ma ineludibile delle domande: come i Bizantini del XIV sec. giustificavano le vittorie dei Turchi. La trattatistica ufficiale (Palamas e Cantacuzeno), l’omiletica (Callisto I), l’agiografia e i documenti dell’Athos, l’epistolografia (Matteo di Efeso e Teofane di Nicea), sia la “letteratura privata” (Alessio Makrembolites) puntano il dito verso la decadenza morale di cui è colpevole la società contemporanea, in una parola il peccato. Abbiamo trovato ampi riscontri nei registri patriarcali che nel corso del secolo ribollono di casi più o meno scandalosi di declino etico. Eppure tra le righe di questa messe di documenti vi abbiamo letto anche un’ansia millenaristica che dà ragione del peccato dilagante. Ultimo passaggio è stato quindi rivolto alla produzione apocalittica così copiosa in questo secolo. Lo scoccare del VII millennio, il realizzarsi delle immagini neotestamentarie sull’Anticristo sono la vera chiave di lettura per comprendere la percezione della vittoria dell’Islam turco. Il XIV sec. è un’età apocalittica che con tale lente legge gli eventi che spegneranno la fiaccola della Grecità
30-set-2014
Italiano
Bisanzio, Islam, Palamas, Athos, Callistus, Cantacuzenus
PANCIERA, VALTER
Università degli studi di Padova
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/109466
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-109466