Il lavoro di comparazione delle fonti della Passione redatte in area italiana fra Medioevo e Rinascimento, testimonianze manoscritte ed edizioni a stampa ritrovate in Archivi e Biblioteche italiane e straniere, ha permesso di individuare alcune fondamentali linee di tradizione che potrebbero costituire il punto di partenza per eventuali sviluppi, qualora nuove testimonianze notate dovessero emergere. Una prima famiglia di intonazioni è contenuta in fonti di tradizione romanofrancescana, le più numerose e distribuite nel tempo: non si tratta in questo caso di Passionari, cioè di opere dedicate principalmente (o esclusivamente) ai Vangeli della Passione, quanto piuttosto di agili volumetti d’uso come Cantorini e Rituali. Cronologicamente situabili fra i secoli XIV e XV, quattro Cantorini manoscritti attestano essenziali formule d’intonazione per il Cristo, l’Evangelista e le Turbe, insieme con alcune interessanti redazioni della cosiddetta melodia-Eli, destinata alle ultime parole di Cristo sulla croce. Di seguito, la tradizione manoscritta venne puntualmente recepita dalle edizioni a stampa del Cantorino romano, uscito dalle officine Giunta nel 1513 e ristampato nel corso del secolo XVI per altre cinque volte, fino al 1566. All’interno della stessa famiglia romano-rancescana si possono collocare le formule d’intonazione contenute nel Familiaris clericorum liber, un Rituale comparso in 14 edizioni, dal 1517 fino al 1570; qualche problema di interpretazione, tuttavia, emerge nel caso delle prime due edizioni, pubblicate presso le stamperie de Gregori nel 1517 e nel 1525 con un’intonazione piuttosto singolare. Un’altra famiglia di intonazioni, documentate sia in manoscritti sia in edizioni, è costituita dalla tradizione monastica, e in particolare dalle fonti che appartennero a monasteri riconducibili alla Congregazione riformata dei Benedettini italiani, la Congregatio Cassinensis ovvero di Santa Giustina. Due sono le testimonianze manoscritte, cronologicamente collocabili intorno all’anno 1500, di cui piuttosto singolare è quella offerta dal manoscritto Grey di Città del Capo, che contiene un’intonazione di tipo mensurale in notazione bianca. Anche in questo caso la tradizione manoscritta confluì in opere a stampa successive, che ne fissarono i lineamenti in una veste per così dire ufficiale: l’intonazione cassinese si ritrova dunque nel Cantorino monastico pubblicato da Giunta nel 1506 e poi ristampato altre due volte, ma anche in una piccola edizione ottocentesca. Di un’intonazione camaldolese, infine, sono emersi cenni significativi nelle due edizioni cinquecentesche di un Messale, una tipologia di libro liturgico che, al di là delle brevi melodie-Eli, raramente attesta formule notate per il Passio. Effettivamente, alcune fra le più antiche testimonianze relative all’intonazione della Passione sono costituite dalle brevi melodie notate in corrispondenza delle ultime parole di Cristo sulla croce, che non di rado, appunto, sono provviste di notazione anche nei Messali. Dato il carattere particolarmente espressivo che queste formule vengono ad assumere, il confronto fra le diverse redazioni non risulta privo di significato, per quanto brevi possano risultare. È stato così possibile isolare una melodia romanofrancescana di carattere melismatico, attestata in molti Messali trecenteschi ma anche in un duecentesco Messale cortonese, che risulta senz’altro la più diffusa, potendo migrare da una tradizione all’altra, e forse anche la più tipicamente italiana. Nel panorama delle melodie cinquecentesche, quella romana figura come una fra quelle più comuni, caratterizzate dai toni tipici della tradizione italiana (il Sol per il Cristo, il Do per l’Evangelista e il Fa per le Turbe). Del tono romano di Passione, tuttavia, non esistono testimonianze anteriori alla metà del sec. XVI, per cui non è possibile sapere se il suo carattere relativamente sobrio (o comunque più sobrio della melodia romano-francescana) derivi da una tradizione romana anteriore o se invece sia frutto di una semplificazione operata intorno alla metà del Cinquecento, come sostiene il Baini, dai cantori della cappella pontificia. In ogni caso, dato il carattere di modello che l’intonazione romana assunse a partire dal 1586, grazie al Cantus ecclesiasticus Passionis di Giovan Domenico Guidetti, è parso opportuno seguirne il percorso al di là dei limiti cronologici stabiliti, fin oltre le soglie del secolo XX, quando, ad opera dei monaci di Solesmes, comparve la discussa edizione “authenticam ac typicam” del 1917. Altre intonazioni significative, ma non direttamente riconducibili alle famiglie o ai modelli individuati, sono presentate di seguito, insieme con una testimonianza di Aosta, che non appartiene propriamente a una tradizione italiana, ma che rivela qualche suggestivo punto di contatto con il tono romano cinquecentesco. A conclusione del percorso, infine, si collocano alcune fra le fonti più interessanti e significative, e cioè i Passionari interamente provvisti di notazione di tipo ritmico-proporzionale. Al di là del quattrocentesco ms. XXIV del Museo Archeologico di Cividale, già noto alla comunità degli studiosi, spicca un gruppo di Passionari che attestano una tradizione unitaria, diffusa in area padana forse già alla fine del secolo XIII, come sembra attestare un manoscritto parmense, e ancora viva agli inizi del XV, quando fu compilato l’inedito Passionario conservato presso la Biblioteca Comunale di Treviso, non ancora studiato né catalogato.

Intonazioni monodiche della Passione in Italia fra i secoli XIII e XVI

TOIGO, DIEGO
2010

Abstract

Il lavoro di comparazione delle fonti della Passione redatte in area italiana fra Medioevo e Rinascimento, testimonianze manoscritte ed edizioni a stampa ritrovate in Archivi e Biblioteche italiane e straniere, ha permesso di individuare alcune fondamentali linee di tradizione che potrebbero costituire il punto di partenza per eventuali sviluppi, qualora nuove testimonianze notate dovessero emergere. Una prima famiglia di intonazioni è contenuta in fonti di tradizione romanofrancescana, le più numerose e distribuite nel tempo: non si tratta in questo caso di Passionari, cioè di opere dedicate principalmente (o esclusivamente) ai Vangeli della Passione, quanto piuttosto di agili volumetti d’uso come Cantorini e Rituali. Cronologicamente situabili fra i secoli XIV e XV, quattro Cantorini manoscritti attestano essenziali formule d’intonazione per il Cristo, l’Evangelista e le Turbe, insieme con alcune interessanti redazioni della cosiddetta melodia-Eli, destinata alle ultime parole di Cristo sulla croce. Di seguito, la tradizione manoscritta venne puntualmente recepita dalle edizioni a stampa del Cantorino romano, uscito dalle officine Giunta nel 1513 e ristampato nel corso del secolo XVI per altre cinque volte, fino al 1566. All’interno della stessa famiglia romano-rancescana si possono collocare le formule d’intonazione contenute nel Familiaris clericorum liber, un Rituale comparso in 14 edizioni, dal 1517 fino al 1570; qualche problema di interpretazione, tuttavia, emerge nel caso delle prime due edizioni, pubblicate presso le stamperie de Gregori nel 1517 e nel 1525 con un’intonazione piuttosto singolare. Un’altra famiglia di intonazioni, documentate sia in manoscritti sia in edizioni, è costituita dalla tradizione monastica, e in particolare dalle fonti che appartennero a monasteri riconducibili alla Congregazione riformata dei Benedettini italiani, la Congregatio Cassinensis ovvero di Santa Giustina. Due sono le testimonianze manoscritte, cronologicamente collocabili intorno all’anno 1500, di cui piuttosto singolare è quella offerta dal manoscritto Grey di Città del Capo, che contiene un’intonazione di tipo mensurale in notazione bianca. Anche in questo caso la tradizione manoscritta confluì in opere a stampa successive, che ne fissarono i lineamenti in una veste per così dire ufficiale: l’intonazione cassinese si ritrova dunque nel Cantorino monastico pubblicato da Giunta nel 1506 e poi ristampato altre due volte, ma anche in una piccola edizione ottocentesca. Di un’intonazione camaldolese, infine, sono emersi cenni significativi nelle due edizioni cinquecentesche di un Messale, una tipologia di libro liturgico che, al di là delle brevi melodie-Eli, raramente attesta formule notate per il Passio. Effettivamente, alcune fra le più antiche testimonianze relative all’intonazione della Passione sono costituite dalle brevi melodie notate in corrispondenza delle ultime parole di Cristo sulla croce, che non di rado, appunto, sono provviste di notazione anche nei Messali. Dato il carattere particolarmente espressivo che queste formule vengono ad assumere, il confronto fra le diverse redazioni non risulta privo di significato, per quanto brevi possano risultare. È stato così possibile isolare una melodia romanofrancescana di carattere melismatico, attestata in molti Messali trecenteschi ma anche in un duecentesco Messale cortonese, che risulta senz’altro la più diffusa, potendo migrare da una tradizione all’altra, e forse anche la più tipicamente italiana. Nel panorama delle melodie cinquecentesche, quella romana figura come una fra quelle più comuni, caratterizzate dai toni tipici della tradizione italiana (il Sol per il Cristo, il Do per l’Evangelista e il Fa per le Turbe). Del tono romano di Passione, tuttavia, non esistono testimonianze anteriori alla metà del sec. XVI, per cui non è possibile sapere se il suo carattere relativamente sobrio (o comunque più sobrio della melodia romano-francescana) derivi da una tradizione romana anteriore o se invece sia frutto di una semplificazione operata intorno alla metà del Cinquecento, come sostiene il Baini, dai cantori della cappella pontificia. In ogni caso, dato il carattere di modello che l’intonazione romana assunse a partire dal 1586, grazie al Cantus ecclesiasticus Passionis di Giovan Domenico Guidetti, è parso opportuno seguirne il percorso al di là dei limiti cronologici stabiliti, fin oltre le soglie del secolo XX, quando, ad opera dei monaci di Solesmes, comparve la discussa edizione “authenticam ac typicam” del 1917. Altre intonazioni significative, ma non direttamente riconducibili alle famiglie o ai modelli individuati, sono presentate di seguito, insieme con una testimonianza di Aosta, che non appartiene propriamente a una tradizione italiana, ma che rivela qualche suggestivo punto di contatto con il tono romano cinquecentesco. A conclusione del percorso, infine, si collocano alcune fra le fonti più interessanti e significative, e cioè i Passionari interamente provvisti di notazione di tipo ritmico-proporzionale. Al di là del quattrocentesco ms. XXIV del Museo Archeologico di Cividale, già noto alla comunità degli studiosi, spicca un gruppo di Passionari che attestano una tradizione unitaria, diffusa in area padana forse già alla fine del secolo XIII, come sembra attestare un manoscritto parmense, e ancora viva agli inizi del XV, quando fu compilato l’inedito Passionario conservato presso la Biblioteca Comunale di Treviso, non ancora studiato né catalogato.
19-lug-2010
Italiano
PASSIONE
Università degli studi di Padova
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-109890