Questa ricerca si focalizza sul concetto di cittadinanza, visto, nella sua dimensione interna, come un insieme di diritti, e, nella sua dimensione esterna, come uno status formale delimitato da leggi nazionali sulla cittadinanza e sulla naturalizzazione. È basata principalmente su 60 interviste in profondità raccolte nella provincia di Ferrara, di cui 25 con migranti di quattro paesi differenti (Marocco, Ucraina, Libano e Giordania-Palestina), 25 con operai o ex-operai locali di tre differenti siti produttivi (lo zuccherificio ed il petrolchimico di Ferrara e una fabbrica metalmeccanica della provincia), e 10 con attivisti di tre associazioni nel campo delle migrazioni, di cui 5 locali e 5 migranti. Le interviste hanno ricostruito biografie di diritti, chiedendo agli operai locali come i loro diritti sono cambiati da quando hanno cominciato a lavorare, e ai migranti come i loro diritti sono cambiati dall’arrivo in Italia. La seconda parte dell’intervista ho chiesto a tutti gli intervistati cosa pensassero dell’attuale legge italiana sulla naturalizzazione, e se e come avrebbero voluto che cambiasse. Più in generale, ho chiesto chi e come secondo la loro opinione avrebbe dovuto avere la possibilità di diventare cittadino italiano. Le biografie dei migranti hanno evidenziato una traiettoria collettiva dei diritti declinante, causata da una legislazione sull’immigrazione sempre più restrittiva, ma hanno evidenziato anche traiettorie individuali differenziate che possono essere influenzate da differenti tipi di progetto migratorio, differenti risorse a disposizione e da momenti biografici determinanti. Le biografie degli operai hanno a loro volta evidenziato come la legislazione sul diritto del lavoro abbia ridotto i diritti in maniera congruente con quanto postulato dalla teoria del post-fordismo, ma anche come diverse categorie di lavoratori hanno avuto traiettorie diverse, legate a differenti contratti di categoria, organizzazione della fabbrica e attività sindacale. Se la legge attuale richiede dieci anni di residenza, assenza di precedenti penali e un reddito sufficiente negli ultimi tre anni, la maggior parte degli operai intervistati si è focalizzato su aspetti economici, indicando requisiti come la disponibilità di lavoro e la casa, e dando meno importanza a requisiti culturali o di residenza. Tra i migranti, invece, alcuni pensavano che avrebbero dovuto essere introdotti dei test di lingua e cultura, mentre altri pensavano che requisiti ridotti di residenza e l’assenza di precedenti penali sarebbero stati sufficienti. La maggioranza degli intervistati riteneva che fosse necessaria la cittadinanza alla nascita (o quasi) per i bambini nati in Italia da non-cittadini. Tentando un’analisi sintetica ho identificato un modello di cittadinanza basato sul comportamento conforme alla legge, che era presente in quasi tutte le interviste, un modello culturale, presente soprattutto presso alcuni migranti, che vedeva la cittadinanza come basata su una competenza e identità culturale, e un modello economico di cittadinanza. Quest’ultimo ha due varianti: “lavoro come dovere”, il meno frequente, si basa sull’idea che ogni nuovo cittadino dovrebbe essere un lavoratore attivo e contribuire alla tassazione generale, mentre il modello “diritti basati sul lavoro” si basa sul principio che ogni lavoratore debba avere dei diritti garantiti a prescindere da altre considerazioni.
Diventare cittadini, rimanere cittadini: Concezioni della cittadinanza e biografie di diritti di migranti e operai locali a Ferrara
SREDANOVIC, DJORDJE
2012
Abstract
Questa ricerca si focalizza sul concetto di cittadinanza, visto, nella sua dimensione interna, come un insieme di diritti, e, nella sua dimensione esterna, come uno status formale delimitato da leggi nazionali sulla cittadinanza e sulla naturalizzazione. È basata principalmente su 60 interviste in profondità raccolte nella provincia di Ferrara, di cui 25 con migranti di quattro paesi differenti (Marocco, Ucraina, Libano e Giordania-Palestina), 25 con operai o ex-operai locali di tre differenti siti produttivi (lo zuccherificio ed il petrolchimico di Ferrara e una fabbrica metalmeccanica della provincia), e 10 con attivisti di tre associazioni nel campo delle migrazioni, di cui 5 locali e 5 migranti. Le interviste hanno ricostruito biografie di diritti, chiedendo agli operai locali come i loro diritti sono cambiati da quando hanno cominciato a lavorare, e ai migranti come i loro diritti sono cambiati dall’arrivo in Italia. La seconda parte dell’intervista ho chiesto a tutti gli intervistati cosa pensassero dell’attuale legge italiana sulla naturalizzazione, e se e come avrebbero voluto che cambiasse. Più in generale, ho chiesto chi e come secondo la loro opinione avrebbe dovuto avere la possibilità di diventare cittadino italiano. Le biografie dei migranti hanno evidenziato una traiettoria collettiva dei diritti declinante, causata da una legislazione sull’immigrazione sempre più restrittiva, ma hanno evidenziato anche traiettorie individuali differenziate che possono essere influenzate da differenti tipi di progetto migratorio, differenti risorse a disposizione e da momenti biografici determinanti. Le biografie degli operai hanno a loro volta evidenziato come la legislazione sul diritto del lavoro abbia ridotto i diritti in maniera congruente con quanto postulato dalla teoria del post-fordismo, ma anche come diverse categorie di lavoratori hanno avuto traiettorie diverse, legate a differenti contratti di categoria, organizzazione della fabbrica e attività sindacale. Se la legge attuale richiede dieci anni di residenza, assenza di precedenti penali e un reddito sufficiente negli ultimi tre anni, la maggior parte degli operai intervistati si è focalizzato su aspetti economici, indicando requisiti come la disponibilità di lavoro e la casa, e dando meno importanza a requisiti culturali o di residenza. Tra i migranti, invece, alcuni pensavano che avrebbero dovuto essere introdotti dei test di lingua e cultura, mentre altri pensavano che requisiti ridotti di residenza e l’assenza di precedenti penali sarebbero stati sufficienti. La maggioranza degli intervistati riteneva che fosse necessaria la cittadinanza alla nascita (o quasi) per i bambini nati in Italia da non-cittadini. Tentando un’analisi sintetica ho identificato un modello di cittadinanza basato sul comportamento conforme alla legge, che era presente in quasi tutte le interviste, un modello culturale, presente soprattutto presso alcuni migranti, che vedeva la cittadinanza come basata su una competenza e identità culturale, e un modello economico di cittadinanza. Quest’ultimo ha due varianti: “lavoro come dovere”, il meno frequente, si basa sull’idea che ogni nuovo cittadino dovrebbe essere un lavoratore attivo e contribuire alla tassazione generale, mentre il modello “diritti basati sul lavoro” si basa sul principio che ogni lavoratore debba avere dei diritti garantiti a prescindere da altre considerazioni.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/109979
URN:NBN:IT:UNIPD-109979