Questa tesi riguarda la ricerca che ho condotto su aspetti della farmacologia e delle attività biologiche di due stilbeni, il Resveratrolo (Rv) e lo Pterostilbene (Pt), componenti polifenoliche principali rispettivamente della vite e dei mirtilli. Negli ultimi anni queste due molecole hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica grazie alle loro attività biologiche di rilievo per molte settori della medicina. Numerosi studi descrivono le loro azioni protettive nei confronti di sindromi metaboliche, contro il cancro e la neurodegenerazione. Al giorno d’oggi, questi effetti non vengono attribuiti tanto alle loro proprietà antiossidanti quanto alla loro capacità di modulare, direttamente o indirettamente, l’attività di proteine-chiave in vie di segnalazione intracellulare tra loro interconnesse. Un punto importante è che non sono stati riportati effetti collaterali negativi del loro utilizzo. Nonostante questi aspetti positivi, Rv e Pt presentano dei punti deboli. Entrambi sono soggetti ad un intenso metabolismo di fase II che ne limita significativamente la biodisponibilità. Inoltre, mentre molto lavoro è stato condotto con il fine di elucidare i meccanismi di azione del Rv, quelli dello Pt rimangono ancora in gran parte da chiarire. Durante il mio corso di dottorato, mi sono occupata di entrambe queste problematiche. Descrivo di seguito: 1) I tentativi effettuati per aumentare la biodisponibilità del Rv e dello Pt 2) Gli studi dei processi intracellulari innescati dallo Pt e la valutazione del suo potenziale terapeutico in due modelli in vivo 1) Per far fronte al problema della scarsa biodisponibilità sono stati adottati diversi metodi. Il mio gruppo di ricerca è ricorso alla produzione di pro-farmaci. Nel caso dei polifenoli, un buon pro-farmaco implica l’utilizzo di gruppi protettori per mascherare i gruppi ossidrilici tipici di queste molecole e per evitare le modifiche metaboliche da parte degli enzimi coniugativi di fase II. Tali sostituenti, chiamati “pro-moieties”, sono legati chimicamente alla struttura stilbenica in modo reversibile nelle condizioni fisiologiche d’impiego. Essi assumono particolare importanza per l’assorbimento dei composti, mentre la tipologia del legame è cruciale affinché le molecole attive vengano rigenerate con cinetiche adeguate. Noi abbiamo voluto creare dei pro-farmaci da somministrare oralmente. Pertanto essi dovevano essere relativamente stabili nel tratto gastro-intestinale e più labili negli altri compartimenti biologici (fluidi corporei e organi). Quando ho iniziato la mia esperienza nel gruppo di ricerca del Dott. Mario Zoratti, erano stati sintetizzati dei derivati del Rv come esteri carbammici N,N-bisostituiti recanti come sostituenti (pro-moieties) PEG 350 o gruppi glicosidici. Questi profarmaci aumentavano la scarsa solubilità in acqua del composto fenolico, ma si sono rivelati troppo stabili in ambiente fisiologico per essere utilizzati come pro-drugs. Abbiamo quindi deciso di creare dei derivati carbamoilici N-monosostituiti che si prevedeva sarebbero stati meno stabili. Un aspetto importante è che questa struttura chimica è essenzialmente stabile in acido, mentre può essere idrolizzata a pH vicino alla neutralità o basico. In un primo set di composti si sono utilizzati come promoieties degli aminoacidi. Oltre ad aumentare la solubilità in acqua, ci si aspettava che gli aminoacidi potessero essere riconosciuti da specifici sistemi di trasporto espressi a livello degli enterociti favorendo l’assorbimento intestinale della molecola. In un altro gruppo di derivati carbamoilici N-monosostituiti, tutti e tre, due o uno solo degli ossigeni fenolici del Resveratrolo sono stati decorati con gruppi poliossidrilati (diidrossipropil o 6-deossigalattosil). In questo caso si sperava che i trasportatori di zuccheri potessero intervenire per facilitarne l’assorbimento attraverso l’epitelio intestinale. Come ci si attendeva, tutti i composti sintetizzati venivano idrolizzati con cinetiche compatibili con la loro utilizzazione come pro-drugs. L’assorbimento dopo somministrazione orale invece è risultato essere insoddisfacente, senza alcuna evidenza di un coinvolgimento di traslocatori di membrana. Il Rv galattosilato non ha raggiunto la circolazione sistemica in nessun caso. I risultati migliori sono stati ottenuti con i derivati amminoacidici mono-sostituiti. Ipotizziamo quindi che la struttura estesa e tripartita dei prodrugs con protezione completa interferisca con il riconoscimento ed il trasporto da parte dei sistemi di membrana. Tutte le procedure sintetiche, la caratterizzazione e la valutazione farmacocinetica di queste famiglie di composti sono già state pubblicate. Gli articoli relativi sono inclusi in questa tesi come capitoli 1 e 2. Dopo aver completato il lavoro coi pro-farmaci del Rv, ho iniziato un nuovo progetto riguardante lo Pt. Questo ha rappresentato il principale tema delle ricerche del mio programma di PhD. Poiché lo Pt era stato poco studiato da un punto di vista farmacologico, ne abbiamo dapprima valutato la distribuzione nel sangue e negli organi (capitolo 3). Abbiamo quindi messo a punto un metodo per la quantificazione di questa molecola e suoi metaboliti negli organi di ratto. Il protocollo che abbiamo sviluppato ha permesso di preservare la stabilità del composto e di ottenere un’estrazione quantitativa dello Pt e dei suoi metaboliti dalle matrici biologiche. Le analisi HPLC/UV hanno rivelato che, in seguito ad una somministrazione singola di una dose pari a 88µmoli/Kg di peso corporeo, i livelli di Pt in diversi organi erano maggiori rispetto a quelli riscontrati nel sangue, raggiungendo valori nell’ambito di varie nmoli/gr (µM). Inoltre, lo Pt-4’-solfato è stato identificato come la principale specie metabolica. I suoi livelli erano più alti rispetto a quelli dello Pt in tutti gli organi presi in considerazione tranne che nel cervello. Alla luce di questi risultati, abbiamo lavorato ulteriormente per cercare di limitare le modificazioni metaboliche da parte degli enzimi di fase II. Ho quindi sfruttato l’esperienza acquisita dal lavoro con i pro-farmaci del Rv e in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Paradisi del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova, abbiamo sintetizzato e caratterizzato una serie di derivati dello Pt recanti amminoacidi come pro-moieties, collegate all’ossidrile in posizione 4’ tramite un legame carbammico mono-sostituito. Le cinetiche di idrolisi di questi composti sono risultate adatte per il loro utilizzo. I derivati con catene laterali idrofobiche si sono distinti per gli elevati livelli di Pterostilbene rigenerato nel sangue dopo somministrazione intra-gastrica ai ratti. Abbiamo pertanto selezionato il più promettente tra questi composti e ne abbiamo controllato la distribuzione negli organi, seguendo lo stesso protocollo utilizzato per lo Pt. In questo caso, il pro-farmaco per se è stato identificato come la specie predominante in tutti gli organi eccetto che nel cervello, ma soprattutto, i livelli di Pt rilasciati sono risultati notevolmente maggiori, e quelli di solfato minori, se paragonati a quelli ottenuti somministrando la molecola originaria (capitolo 4). 2) Come accennato in precedenza, i meccanismi intracellulari alla base degli effetti benefici dello Pt non sono stati ancora completamente delucidati. Alcune ricerche suggeriscono che le sue proprietà potrebbero essere attribuite all’induzione dell’autofagia. Ho quindi deciso di indagare questo aspetto (capitolo 5). L’autofagia è una via di degradazione la cui errata regolazione è associata a varie condizioni patologiche. Il Prof. Ballabio ed i suoi collaboratori hanno dimostrato che questo processo è regolato principalmente dal Fattore di Trascrizione EB (TFEB), inibito da mTORC1. Ho quindi voluto verificare gli effetti dello Pt su questo fattore di trascrizione. Ho dimostrato che questo polifenolo è in grado di stimolare l’attività di TFEB inducendo la sua migrazione nel nucleo e promuovendo la sua espressione. In accordo con quanto osservato, lo Pt ha provocato un aumento della lipidazione della proteina LC3 e dei livelli di espressione di alcuni geni lisosomiali target di TFEB. È stata valutata anche l’efficacia dei due metaboliti principali dello Pt, Pt-4’-solfato e DiidroPt, poiché essi rappresentano le specie principali ritrovate in circolo dopo somministrazione dello Pt. Mentre il primo composto è risultato essere inerte, il secondo si è mostrato attivo come lo Pt, ma a concentrazioni più alte. Ulteriori studi sono stati effettuati per esplorare le vie di segnalazione a monte di questi fenomeni. Misurazioni basate sull’utilizzo di sonde FRET hanno messo in evidenza che lo Pt incrementa la concentrazione di cAMP e attiva CREB. Come riportato in precedenti lavori, questo nucleotide ciclico può indurre indirettamente l’attivazione dell’AMPK, noto antagonista di mTORC1. La stimolazione di questo asse di segnalazione cellulare potrebbe quindi essere alla base dell’attivazione del TFEB. In accordo con questa ipotesi, abbiamo osservato una riduzione dell’attività chinasica di mTORC1. Trattamenti farmacologici volti ad aumentare le concentrazioni di cAMP o attivare l’AMPK si sono tuttavia rivelati meno efficaci dello Pt indicando che questo polifenolo induce la migrazione di TFEB al nucleo modulando diverse vie di segnalazione cellulare. La traslocazione nucleare di TFEB, oltre ad essere sotto il controllo di mTORC1, può anche essere regolata dalla Calcineurina. Di recente, è stato dimostrato che questa fosfatasi può essere attivata da ROS esogeni ed endogeni. Nel contesto di queste ricerche, ho evidenziato che lo Pt aumenta la produzione mitocondriale di queste specie e che questo fenomeno è correlato alla migrazione del TFEB. Alla luce di ciò, è possibile ipotizzare che questa rappresenti una via alternativa attraverso la quale lo Pterostilbene influenza la localizzazione subcellulare del fattore di trascrizione (capitolo 5). Lo stabilirsi dell’azione pro-autofagica dello Pt in cellule in coltura mi ha spinto a saggiare il suo potenziale terapeutico per il trattamento delle distrofie muscolari da carenza di Collagene VI. Queste malattie sono caratterizzate principalmente dall’accumulo di mitocondri non funzionali. Concomitanti difetti del processo autofagico aggravano ulteriormente le condizioni patologiche e conducono alla morte di tipo apoptotico delle miofibrille. Come indicato dalla letteratura scientifica, l’utilizzo di un morfolino antisenso è attualmente la strategia migliore per ottenere un fenotipo marcato di distrofie muscolari da carenza di Collagene VI in zebrafish. Abbiamo quindi iniettato specifici oligonucleotidi antisenso diretti contro l’esone 9 dell’mRNA codificante per il Collagene VI nelle uova fecondate di tali pesci. In questo modo abbiamo indotto una delezione “in frame” della regione N-terminale del dominio a tripla elica della molecola di Collagene VI e una profonda alterazione della struttura delle fibre muscolari. I dati che ho ottenuto indicano che il trattamento con lo Pt induce un recupero pari a più del 30% nella struttura delle fibre muscolari ed un notevole aumento dell’attività motoria. Questa parte del progetto è stata svolta in collaborazione con il Prof. Bernardi e il Dott. Marco Schiavone del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova. Nonostante i nostri risultati non dimostrino direttamente che il miglioramento delle condizioni patologiche sia dovuto all’induzione dell’autofagia, è plausibile che la stessa serie di eventi che si verificano in vitro possano aver luogo anche in vivo. A supporto di questa ipotesi, abbiamo verificato che lo Pt è in grado di aumentare i livelli di una proteina mCherry la cui espressione è posta sotto il controllo di elementi influenzati dal cAMP (CRE) in una linea transgenica reporter di zebrafish (questo modello è stato generato dalla Dott.ssa Patrizia Porazzi e dalla Prof.ssa Natascia Tiso del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova). Tali fenomeni necessitano di essere ulteriormente approfonditi (capitolo 6). Infine, durante il mio percorso di dottorato, ho preso parte ad un altro progetto ancora in corso nel mio laboratorio di ricerca. Le analisi farmacocinetiche condotte in ratti hanno riportato che lo Pt è particolarmente abbondante nel cervello. Questa evidenza è in linea con diversi studi che dimostrano la capacità del polifenolo di migliorare le prestazioni di animali anziani in test comportamentali. I meccanismi molecolari alla base di questi effetti sono stati poco caratterizzati anche in questo contesto. Il lavoro che ho condotto in vitro, e confermato in zebrafish, dimostra che lo Pt è in grado di indurre un aumento di cAMP attivando CREB. È stato dimostrato che questo fattore di trascrizione svolge un ruolo cruciale per il consolidamento della memoria perché in grado di promuovere la neurogenesi in soggetti adulti a livello del giro dentato, una parte dell’ippocampo. La memoria, insieme ad altre funzioni cognitive, peggiora notevolmente con l’invecchiamento. Alla luce di ciò, in collaborazione con la Prof.ssa Nicoletta Berardi ed il gruppo di ricerca del Dott. Alessandro Sale (Istituto di Neuroscienze - Pisa), abbiamo messo a punto un lavoro sperimentale volto a valutare cambiamenti molecolari nel giro dentato e nell’ippocampo in seguito ad un eventuale miglioramento cognitivo in ratti anziani da parte dello Pt (capitolo 7). I risultati che abbiamo ottenuto hanno confermato che, dopo somministrazione cronica di questo composto, gli animali dimostrano un miglioramento della memoria. Inoltre, nonostante la statistica necessiti di essere ampliata aggiungendo più individui, sia analisi Western blot che RT-qPCR suggeriscono che tale trattamento ha indotto una up-regolazione di CREB. Allo stesso tempo, è stato misurato un aumento della massa mitocondriale. Questi effetti sono più evidenti a livello del giro dentato piuttosto che nella parte restante dell’ippocampo e suggeriscono fortemente il verificarsi di processi di rimodellamento neuronale. Nonostante ciò, non sono state riportate differenze nei livelli di PSD95. Per le prossime analisi saranno presi in considerazione marker diversi di plasticità sinaptica. In conclusione, le ricerche che ho condotto hanno permesso di delineare uno dei meccanismi responsabili delle proprietà dello Pt e di incrementare la sua biodisponibilità. Pertanto, essi potrebbero esse utili per lo sviluppo di futuri trattamenti terapeutici o preventivi.
Pharmacology, biochemistry and biomedical applications of plant stilbenes
LA SPINA, MARTINA
2017
Abstract
Questa tesi riguarda la ricerca che ho condotto su aspetti della farmacologia e delle attività biologiche di due stilbeni, il Resveratrolo (Rv) e lo Pterostilbene (Pt), componenti polifenoliche principali rispettivamente della vite e dei mirtilli. Negli ultimi anni queste due molecole hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica grazie alle loro attività biologiche di rilievo per molte settori della medicina. Numerosi studi descrivono le loro azioni protettive nei confronti di sindromi metaboliche, contro il cancro e la neurodegenerazione. Al giorno d’oggi, questi effetti non vengono attribuiti tanto alle loro proprietà antiossidanti quanto alla loro capacità di modulare, direttamente o indirettamente, l’attività di proteine-chiave in vie di segnalazione intracellulare tra loro interconnesse. Un punto importante è che non sono stati riportati effetti collaterali negativi del loro utilizzo. Nonostante questi aspetti positivi, Rv e Pt presentano dei punti deboli. Entrambi sono soggetti ad un intenso metabolismo di fase II che ne limita significativamente la biodisponibilità. Inoltre, mentre molto lavoro è stato condotto con il fine di elucidare i meccanismi di azione del Rv, quelli dello Pt rimangono ancora in gran parte da chiarire. Durante il mio corso di dottorato, mi sono occupata di entrambe queste problematiche. Descrivo di seguito: 1) I tentativi effettuati per aumentare la biodisponibilità del Rv e dello Pt 2) Gli studi dei processi intracellulari innescati dallo Pt e la valutazione del suo potenziale terapeutico in due modelli in vivo 1) Per far fronte al problema della scarsa biodisponibilità sono stati adottati diversi metodi. Il mio gruppo di ricerca è ricorso alla produzione di pro-farmaci. Nel caso dei polifenoli, un buon pro-farmaco implica l’utilizzo di gruppi protettori per mascherare i gruppi ossidrilici tipici di queste molecole e per evitare le modifiche metaboliche da parte degli enzimi coniugativi di fase II. Tali sostituenti, chiamati “pro-moieties”, sono legati chimicamente alla struttura stilbenica in modo reversibile nelle condizioni fisiologiche d’impiego. Essi assumono particolare importanza per l’assorbimento dei composti, mentre la tipologia del legame è cruciale affinché le molecole attive vengano rigenerate con cinetiche adeguate. Noi abbiamo voluto creare dei pro-farmaci da somministrare oralmente. Pertanto essi dovevano essere relativamente stabili nel tratto gastro-intestinale e più labili negli altri compartimenti biologici (fluidi corporei e organi). Quando ho iniziato la mia esperienza nel gruppo di ricerca del Dott. Mario Zoratti, erano stati sintetizzati dei derivati del Rv come esteri carbammici N,N-bisostituiti recanti come sostituenti (pro-moieties) PEG 350 o gruppi glicosidici. Questi profarmaci aumentavano la scarsa solubilità in acqua del composto fenolico, ma si sono rivelati troppo stabili in ambiente fisiologico per essere utilizzati come pro-drugs. Abbiamo quindi deciso di creare dei derivati carbamoilici N-monosostituiti che si prevedeva sarebbero stati meno stabili. Un aspetto importante è che questa struttura chimica è essenzialmente stabile in acido, mentre può essere idrolizzata a pH vicino alla neutralità o basico. In un primo set di composti si sono utilizzati come promoieties degli aminoacidi. Oltre ad aumentare la solubilità in acqua, ci si aspettava che gli aminoacidi potessero essere riconosciuti da specifici sistemi di trasporto espressi a livello degli enterociti favorendo l’assorbimento intestinale della molecola. In un altro gruppo di derivati carbamoilici N-monosostituiti, tutti e tre, due o uno solo degli ossigeni fenolici del Resveratrolo sono stati decorati con gruppi poliossidrilati (diidrossipropil o 6-deossigalattosil). In questo caso si sperava che i trasportatori di zuccheri potessero intervenire per facilitarne l’assorbimento attraverso l’epitelio intestinale. Come ci si attendeva, tutti i composti sintetizzati venivano idrolizzati con cinetiche compatibili con la loro utilizzazione come pro-drugs. L’assorbimento dopo somministrazione orale invece è risultato essere insoddisfacente, senza alcuna evidenza di un coinvolgimento di traslocatori di membrana. Il Rv galattosilato non ha raggiunto la circolazione sistemica in nessun caso. I risultati migliori sono stati ottenuti con i derivati amminoacidici mono-sostituiti. Ipotizziamo quindi che la struttura estesa e tripartita dei prodrugs con protezione completa interferisca con il riconoscimento ed il trasporto da parte dei sistemi di membrana. Tutte le procedure sintetiche, la caratterizzazione e la valutazione farmacocinetica di queste famiglie di composti sono già state pubblicate. Gli articoli relativi sono inclusi in questa tesi come capitoli 1 e 2. Dopo aver completato il lavoro coi pro-farmaci del Rv, ho iniziato un nuovo progetto riguardante lo Pt. Questo ha rappresentato il principale tema delle ricerche del mio programma di PhD. Poiché lo Pt era stato poco studiato da un punto di vista farmacologico, ne abbiamo dapprima valutato la distribuzione nel sangue e negli organi (capitolo 3). Abbiamo quindi messo a punto un metodo per la quantificazione di questa molecola e suoi metaboliti negli organi di ratto. Il protocollo che abbiamo sviluppato ha permesso di preservare la stabilità del composto e di ottenere un’estrazione quantitativa dello Pt e dei suoi metaboliti dalle matrici biologiche. Le analisi HPLC/UV hanno rivelato che, in seguito ad una somministrazione singola di una dose pari a 88µmoli/Kg di peso corporeo, i livelli di Pt in diversi organi erano maggiori rispetto a quelli riscontrati nel sangue, raggiungendo valori nell’ambito di varie nmoli/gr (µM). Inoltre, lo Pt-4’-solfato è stato identificato come la principale specie metabolica. I suoi livelli erano più alti rispetto a quelli dello Pt in tutti gli organi presi in considerazione tranne che nel cervello. Alla luce di questi risultati, abbiamo lavorato ulteriormente per cercare di limitare le modificazioni metaboliche da parte degli enzimi di fase II. Ho quindi sfruttato l’esperienza acquisita dal lavoro con i pro-farmaci del Rv e in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Paradisi del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova, abbiamo sintetizzato e caratterizzato una serie di derivati dello Pt recanti amminoacidi come pro-moieties, collegate all’ossidrile in posizione 4’ tramite un legame carbammico mono-sostituito. Le cinetiche di idrolisi di questi composti sono risultate adatte per il loro utilizzo. I derivati con catene laterali idrofobiche si sono distinti per gli elevati livelli di Pterostilbene rigenerato nel sangue dopo somministrazione intra-gastrica ai ratti. Abbiamo pertanto selezionato il più promettente tra questi composti e ne abbiamo controllato la distribuzione negli organi, seguendo lo stesso protocollo utilizzato per lo Pt. In questo caso, il pro-farmaco per se è stato identificato come la specie predominante in tutti gli organi eccetto che nel cervello, ma soprattutto, i livelli di Pt rilasciati sono risultati notevolmente maggiori, e quelli di solfato minori, se paragonati a quelli ottenuti somministrando la molecola originaria (capitolo 4). 2) Come accennato in precedenza, i meccanismi intracellulari alla base degli effetti benefici dello Pt non sono stati ancora completamente delucidati. Alcune ricerche suggeriscono che le sue proprietà potrebbero essere attribuite all’induzione dell’autofagia. Ho quindi deciso di indagare questo aspetto (capitolo 5). L’autofagia è una via di degradazione la cui errata regolazione è associata a varie condizioni patologiche. Il Prof. Ballabio ed i suoi collaboratori hanno dimostrato che questo processo è regolato principalmente dal Fattore di Trascrizione EB (TFEB), inibito da mTORC1. Ho quindi voluto verificare gli effetti dello Pt su questo fattore di trascrizione. Ho dimostrato che questo polifenolo è in grado di stimolare l’attività di TFEB inducendo la sua migrazione nel nucleo e promuovendo la sua espressione. In accordo con quanto osservato, lo Pt ha provocato un aumento della lipidazione della proteina LC3 e dei livelli di espressione di alcuni geni lisosomiali target di TFEB. È stata valutata anche l’efficacia dei due metaboliti principali dello Pt, Pt-4’-solfato e DiidroPt, poiché essi rappresentano le specie principali ritrovate in circolo dopo somministrazione dello Pt. Mentre il primo composto è risultato essere inerte, il secondo si è mostrato attivo come lo Pt, ma a concentrazioni più alte. Ulteriori studi sono stati effettuati per esplorare le vie di segnalazione a monte di questi fenomeni. Misurazioni basate sull’utilizzo di sonde FRET hanno messo in evidenza che lo Pt incrementa la concentrazione di cAMP e attiva CREB. Come riportato in precedenti lavori, questo nucleotide ciclico può indurre indirettamente l’attivazione dell’AMPK, noto antagonista di mTORC1. La stimolazione di questo asse di segnalazione cellulare potrebbe quindi essere alla base dell’attivazione del TFEB. In accordo con questa ipotesi, abbiamo osservato una riduzione dell’attività chinasica di mTORC1. Trattamenti farmacologici volti ad aumentare le concentrazioni di cAMP o attivare l’AMPK si sono tuttavia rivelati meno efficaci dello Pt indicando che questo polifenolo induce la migrazione di TFEB al nucleo modulando diverse vie di segnalazione cellulare. La traslocazione nucleare di TFEB, oltre ad essere sotto il controllo di mTORC1, può anche essere regolata dalla Calcineurina. Di recente, è stato dimostrato che questa fosfatasi può essere attivata da ROS esogeni ed endogeni. Nel contesto di queste ricerche, ho evidenziato che lo Pt aumenta la produzione mitocondriale di queste specie e che questo fenomeno è correlato alla migrazione del TFEB. Alla luce di ciò, è possibile ipotizzare che questa rappresenti una via alternativa attraverso la quale lo Pterostilbene influenza la localizzazione subcellulare del fattore di trascrizione (capitolo 5). Lo stabilirsi dell’azione pro-autofagica dello Pt in cellule in coltura mi ha spinto a saggiare il suo potenziale terapeutico per il trattamento delle distrofie muscolari da carenza di Collagene VI. Queste malattie sono caratterizzate principalmente dall’accumulo di mitocondri non funzionali. Concomitanti difetti del processo autofagico aggravano ulteriormente le condizioni patologiche e conducono alla morte di tipo apoptotico delle miofibrille. Come indicato dalla letteratura scientifica, l’utilizzo di un morfolino antisenso è attualmente la strategia migliore per ottenere un fenotipo marcato di distrofie muscolari da carenza di Collagene VI in zebrafish. Abbiamo quindi iniettato specifici oligonucleotidi antisenso diretti contro l’esone 9 dell’mRNA codificante per il Collagene VI nelle uova fecondate di tali pesci. In questo modo abbiamo indotto una delezione “in frame” della regione N-terminale del dominio a tripla elica della molecola di Collagene VI e una profonda alterazione della struttura delle fibre muscolari. I dati che ho ottenuto indicano che il trattamento con lo Pt induce un recupero pari a più del 30% nella struttura delle fibre muscolari ed un notevole aumento dell’attività motoria. Questa parte del progetto è stata svolta in collaborazione con il Prof. Bernardi e il Dott. Marco Schiavone del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova. Nonostante i nostri risultati non dimostrino direttamente che il miglioramento delle condizioni patologiche sia dovuto all’induzione dell’autofagia, è plausibile che la stessa serie di eventi che si verificano in vitro possano aver luogo anche in vivo. A supporto di questa ipotesi, abbiamo verificato che lo Pt è in grado di aumentare i livelli di una proteina mCherry la cui espressione è posta sotto il controllo di elementi influenzati dal cAMP (CRE) in una linea transgenica reporter di zebrafish (questo modello è stato generato dalla Dott.ssa Patrizia Porazzi e dalla Prof.ssa Natascia Tiso del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova). Tali fenomeni necessitano di essere ulteriormente approfonditi (capitolo 6). Infine, durante il mio percorso di dottorato, ho preso parte ad un altro progetto ancora in corso nel mio laboratorio di ricerca. Le analisi farmacocinetiche condotte in ratti hanno riportato che lo Pt è particolarmente abbondante nel cervello. Questa evidenza è in linea con diversi studi che dimostrano la capacità del polifenolo di migliorare le prestazioni di animali anziani in test comportamentali. I meccanismi molecolari alla base di questi effetti sono stati poco caratterizzati anche in questo contesto. Il lavoro che ho condotto in vitro, e confermato in zebrafish, dimostra che lo Pt è in grado di indurre un aumento di cAMP attivando CREB. È stato dimostrato che questo fattore di trascrizione svolge un ruolo cruciale per il consolidamento della memoria perché in grado di promuovere la neurogenesi in soggetti adulti a livello del giro dentato, una parte dell’ippocampo. La memoria, insieme ad altre funzioni cognitive, peggiora notevolmente con l’invecchiamento. Alla luce di ciò, in collaborazione con la Prof.ssa Nicoletta Berardi ed il gruppo di ricerca del Dott. Alessandro Sale (Istituto di Neuroscienze - Pisa), abbiamo messo a punto un lavoro sperimentale volto a valutare cambiamenti molecolari nel giro dentato e nell’ippocampo in seguito ad un eventuale miglioramento cognitivo in ratti anziani da parte dello Pt (capitolo 7). I risultati che abbiamo ottenuto hanno confermato che, dopo somministrazione cronica di questo composto, gli animali dimostrano un miglioramento della memoria. Inoltre, nonostante la statistica necessiti di essere ampliata aggiungendo più individui, sia analisi Western blot che RT-qPCR suggeriscono che tale trattamento ha indotto una up-regolazione di CREB. Allo stesso tempo, è stato misurato un aumento della massa mitocondriale. Questi effetti sono più evidenti a livello del giro dentato piuttosto che nella parte restante dell’ippocampo e suggeriscono fortemente il verificarsi di processi di rimodellamento neuronale. Nonostante ciò, non sono state riportate differenze nei livelli di PSD95. Per le prossime analisi saranno presi in considerazione marker diversi di plasticità sinaptica. In conclusione, le ricerche che ho condotto hanno permesso di delineare uno dei meccanismi responsabili delle proprietà dello Pt e di incrementare la sua biodisponibilità. Pertanto, essi potrebbero esse utili per lo sviluppo di futuri trattamenti terapeutici o preventivi.File | Dimensione | Formato | |
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