La ricerca compiuta dalla Dottoranda Francesca Pontis ha avuto ad oggetto lo studio analitico della tematica concernente l’individuazione di profili di responsabilità penale per danni cagionati da prodotti e, in particolar modo, la connessione che esiste tra questa materia ed il rispetto di un principio cardine del diritto penale quale il principio di colpevolezza. L’interesse per il tema trae origine dalla sempre maggiore caratterizzazione della nostra società quale “società del rischio”, di cui il fenomeno del danno da prodotto costituisce una delle massime rappresentazioni ed esemplificazioni e nell’ambito della quale i beni giuridici fondamentali vengono posti in costante pericolo ed i principi e gli istituti propri del diritto penale classico entrano in crisi. Di tutto interesse, nello specifico, il profilo relativo all’imputazione soggettiva dell’evento, il quale testimonia la metamorfosi subita dall’elemento soggettivo colpa nella società post-moderna dove da criterio di imputazione eccezionale è diventato ormai regola. Inoltre, di fondamentale importanza si è considerata soprattutto la caratterizzazione delle fattispecie criminose connesse alla produzione, messa in circolazione ed utilizzo di prodotti difettosi quale esempio della sempre più alta configurazione del modello di illecito colposo quale fenomeno criminoso che si realizza in forma prevalentemente plurisoggettiva, sia essa sincronica o diacronica, consapevole o meno. La Dottoranda in particolare ha ravvisato come, in contesti quali la produttività industriale, l’attività medico-chirurgica, la circolazione stradale e altre attività cd. di prima necessità, diventi ormai molto spesso arduo ricondurre, con un giudizio certo al di là di ogni ragionevole dubbio, un dato evento lesivo ad un dato comportamento - o a dati comportamenti - ascrivibili a soggetti facilmente individuati, con conseguente grave pericolo di tenuta nel sistema di un principio cardine del diritto penale classico quale quello, costituzionalmente protetto ex art. 27, co. 1° Cost., secondo cui“la responsabilità penale è personale”. Partendo dallo studio di questo principio, leit motiv dell’intero lavoro, si è dunque individuato quale scopo ultimo dell’indagine la determinazione dei migliori criteri di ripartizione della responsabilità penale a titolo di colpa in ipotesi contraddistinte dall’apporto plurisoggettivo alla realizzazione dell’evento. Sullo sfondo di queste linee conduttrici, la ricerca si compone di tre parti fondamentali. Una prima parte è dedicata all’analisi dell’elemento soggettivo colpa di cui all’art. 43, co. 1°, al. 3° c.p., concentrando l’attenzione in particolare sulle ipotesi in cui tale forma tipica di colpevolezza viene in rilievo in relazione allo svolgimento di attività socialmente utili ma pericolose e poste in essere da una pluralità di soggetti che agiscono in collaborazione (necessaria o eventuale, sincronica o diacronica) tra loro. L’indiscutibile margine di incertezza o insicurezza che connota lo svolgimento di tali attività, peraltro, ha imposto che l’attenzione venisse concentrata essenzialmente su due profili: il primo, relativo all’importanza di un corretto assolvimento del c.d. giudizio di causalità della colpa, con riferimento precipuo alla c.d. concretizzazione del rischio ed ai labili confini che connotano i giudizi di prevedibilità ed evitabilità nell’ambito della società c.d. postmoderna; il secondo, invece, relativo all’individuazione ed all’analisi dei criteri forniti dal nostro ordinamento per la ripartizione della responsabilità penale a titolo di colpa in ipotesi in cui il reato sia realizzato in virtù dell’apporto delle condotte di soggetti diversi. Una volta esaminato lo stato dell’arte sulla tematica riguardante i c.d. profili relazionali della colpa, si è poi proceduto ad enunciare, nella seconda parte del lavoro, i risultati acquisiti in merito al caso specifico del fenomeno del danno da prodotto. Due le prospettive di indagine seguite. La prima prospettiva ha voluto mettere in evidenza come la responsabilità per la produzione, messa in circolazione ed utilizzo di prodotti difettosi e/o pericolosi si contraddistingua per essere un’ipotesi di responsabilità plurisoggettiva (quantomeno eventuale), nell’ambito della quale i soggetti coinvolti possono essere almeno quattro: produttore, distributore, organo certificatore, utilizzatore e/o consumatore-vittima. In particolare, ciò che si è ritenuto doveroso evidenziare è che le attività di produzione, messa in circolazione, messa in servizio ed utilizzo di prodotti rappresentano oggi, in una visione d’insieme, una sorta di “concatenazione funzionale e cronologica di posizioni” che accompagna il prodotto dalla sua “nascita” alla sua “morte”, nell’ambito della quale tutti i soggetti potenzialmente implicati possono ben apportare il proprio contributo causale e psicologico alla realizzazione dell’evento dannoso. Su tali basi, la seconda prospettiva di indagine seguita si è invece soffermata sull’analisi concernente la rilevanza dell’elemento soggettivo colpa in ipotesi di apporto plurisoggettivo alla realizzazione di un evento dannoso cagionato da un difetto insito in un determinato prodotto immesso in commercio. A tal riguardo, in primo luogo, si è proceduto all’analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali esistenti in materia e relativi ai giudizi di prevedibilità e riconoscibilità del difetto nonché alla rilevanza della condotta negligente, imprudente, imperita di terzi e/o della vittima. In secondo luogo, ci si è poi interrogati su quale sia la disciplina preferibile, ai fini della ripartizione pratica della responsabilità penale sotto il profilo soggettivo, tra il principio dell’affidamento e la figura della cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p., soprattutto alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali in tema di c.d. interazione prudente. Posta la variegata casistica esistente in materia, si è poi deciso di concentrare l’attenzione, dedicando ad esso l’intera terzo capitolo, al caso specifico dei danni cagionati da dispositivi medici difettosi o pericolosi, facendo richiamo, a tal fine, alla normativa vigente in materia di cui al d.lgs. 46/97, attuativo della direttiva CE 93/42. In particolare, l’attività di ricerca condotta ha incentrato l’indagine sul profilo peculiare relativo al ruolo assunto dall’esistenza di una certificazione di conformità alla normativa CE (con conseguente apposizione di marcatura) su un medical device rivelatosi poi difettoso e sui possibili residui di responsabilità penale a titolo di colpa in capo al medico-chirurgo che abbia proceduto all’utilizzo del dispositivo medesimo. Per fornire una risposta a tale interrogativo, che fosse al contempo rispettosa del sistema e dei principi classici del diritto penale, si sono seguite due direttrici. In primo luogo, si è proceduto all’analisi della normativa di riferimento mettendo in evidenza soprattutto come il controllo effettuato ai fini dell’ottenimento della valutazione di conformità CE muti secondo la classe di rischio di appartenenza del dispositivo medico considerato. In particolare, per i medical devices particolarmente invasivi, caratterizzati da un alto potenziale di rischio, la procedura di certificazione è particolarmente rigorosa in quanto l'Organismo notificato dà esecuzione al c.d. "sistema completo di assicurazione di qualità" che impone un vaglio critico costante. In secondo luogo, partendo da tali constatazioni, si è cercato di leggere il contenuto delle suddette disposizioni in combinato disposto con i risultati acquisiti ad esito della ricerca effettuata sui profili relazionali della colpa e sul fenomeno del danno da prodotto in generale analizzando poi, nello specifico, un caso tratto dalla più recente casistica giurisprudenziale. Sinteticamente, le conclusioni al riguardo raggiunte hanno condotto la Dottoranda a sostenere la tesi per cui non può essere sottovalutato il valore da allegare alla certificazione di conformità CE in caso di dispositivi medici collocabili in classe di rischio alta, considerato che tale certificazione, rilasciata ad esito di un controllo rigoroso, non solo garantisce la sicurezza del prodotto ma ne legittima anche l’immissione in commercio e la messa in servizio, fase quest’ultima in cui il dispositivo medico è posto a disposizione dell'utilizzatore finale in quanto pronto per essere utilizzato secondo la sua destinazione d'uso. Esso, dunque, è da considerarsi sicuro, senza che nulla più possa pretendersi dal soggetto utilizzatore, fatta eccezione per le ipotesi di evidenza del difetto o di chiara riconoscibilità del pericolo. Nello specifico, nelle osservazioni finali si è messo in evidenza come la materia concernente la problematica dei profili relazionali della colpa e della responsabilità penale del danno cagionato da prodotto, si leghi a doppio filo con la corretta applicazione di due principi propri del diritto penale classico: 1) Il principio di affidamento e 2) Il corretto assolvimento del giudizio di riconoscibilità del difetto e conseguente prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, guardando a quello che ne è il fondamento e portando così a concludere che la corretta applicazione degli strumenti già offerti dal diritto penale classico quali, nel nostro caso, il giudizio di causalità della colpa ed il principio dell’affidamento, è la prima e la più forte garanzia del rispetto, anche nell’ambito della “società del rischio”, dell’art. 27, co. 1°, Cost., in modo tale che si eviti di dare spazio all’ingresso nel nostro ordinamento a forme di responsabilità oggettiva mascherate o anche solo di imputazione obiettiva dell’evento.
I profili relazionali della colpa e la responsabilità penale per danni cagionati da prodotti difettosi
PONTIS, FRANCESCA
2013
Abstract
La ricerca compiuta dalla Dottoranda Francesca Pontis ha avuto ad oggetto lo studio analitico della tematica concernente l’individuazione di profili di responsabilità penale per danni cagionati da prodotti e, in particolar modo, la connessione che esiste tra questa materia ed il rispetto di un principio cardine del diritto penale quale il principio di colpevolezza. L’interesse per il tema trae origine dalla sempre maggiore caratterizzazione della nostra società quale “società del rischio”, di cui il fenomeno del danno da prodotto costituisce una delle massime rappresentazioni ed esemplificazioni e nell’ambito della quale i beni giuridici fondamentali vengono posti in costante pericolo ed i principi e gli istituti propri del diritto penale classico entrano in crisi. Di tutto interesse, nello specifico, il profilo relativo all’imputazione soggettiva dell’evento, il quale testimonia la metamorfosi subita dall’elemento soggettivo colpa nella società post-moderna dove da criterio di imputazione eccezionale è diventato ormai regola. Inoltre, di fondamentale importanza si è considerata soprattutto la caratterizzazione delle fattispecie criminose connesse alla produzione, messa in circolazione ed utilizzo di prodotti difettosi quale esempio della sempre più alta configurazione del modello di illecito colposo quale fenomeno criminoso che si realizza in forma prevalentemente plurisoggettiva, sia essa sincronica o diacronica, consapevole o meno. La Dottoranda in particolare ha ravvisato come, in contesti quali la produttività industriale, l’attività medico-chirurgica, la circolazione stradale e altre attività cd. di prima necessità, diventi ormai molto spesso arduo ricondurre, con un giudizio certo al di là di ogni ragionevole dubbio, un dato evento lesivo ad un dato comportamento - o a dati comportamenti - ascrivibili a soggetti facilmente individuati, con conseguente grave pericolo di tenuta nel sistema di un principio cardine del diritto penale classico quale quello, costituzionalmente protetto ex art. 27, co. 1° Cost., secondo cui“la responsabilità penale è personale”. Partendo dallo studio di questo principio, leit motiv dell’intero lavoro, si è dunque individuato quale scopo ultimo dell’indagine la determinazione dei migliori criteri di ripartizione della responsabilità penale a titolo di colpa in ipotesi contraddistinte dall’apporto plurisoggettivo alla realizzazione dell’evento. Sullo sfondo di queste linee conduttrici, la ricerca si compone di tre parti fondamentali. Una prima parte è dedicata all’analisi dell’elemento soggettivo colpa di cui all’art. 43, co. 1°, al. 3° c.p., concentrando l’attenzione in particolare sulle ipotesi in cui tale forma tipica di colpevolezza viene in rilievo in relazione allo svolgimento di attività socialmente utili ma pericolose e poste in essere da una pluralità di soggetti che agiscono in collaborazione (necessaria o eventuale, sincronica o diacronica) tra loro. L’indiscutibile margine di incertezza o insicurezza che connota lo svolgimento di tali attività, peraltro, ha imposto che l’attenzione venisse concentrata essenzialmente su due profili: il primo, relativo all’importanza di un corretto assolvimento del c.d. giudizio di causalità della colpa, con riferimento precipuo alla c.d. concretizzazione del rischio ed ai labili confini che connotano i giudizi di prevedibilità ed evitabilità nell’ambito della società c.d. postmoderna; il secondo, invece, relativo all’individuazione ed all’analisi dei criteri forniti dal nostro ordinamento per la ripartizione della responsabilità penale a titolo di colpa in ipotesi in cui il reato sia realizzato in virtù dell’apporto delle condotte di soggetti diversi. Una volta esaminato lo stato dell’arte sulla tematica riguardante i c.d. profili relazionali della colpa, si è poi proceduto ad enunciare, nella seconda parte del lavoro, i risultati acquisiti in merito al caso specifico del fenomeno del danno da prodotto. Due le prospettive di indagine seguite. La prima prospettiva ha voluto mettere in evidenza come la responsabilità per la produzione, messa in circolazione ed utilizzo di prodotti difettosi e/o pericolosi si contraddistingua per essere un’ipotesi di responsabilità plurisoggettiva (quantomeno eventuale), nell’ambito della quale i soggetti coinvolti possono essere almeno quattro: produttore, distributore, organo certificatore, utilizzatore e/o consumatore-vittima. In particolare, ciò che si è ritenuto doveroso evidenziare è che le attività di produzione, messa in circolazione, messa in servizio ed utilizzo di prodotti rappresentano oggi, in una visione d’insieme, una sorta di “concatenazione funzionale e cronologica di posizioni” che accompagna il prodotto dalla sua “nascita” alla sua “morte”, nell’ambito della quale tutti i soggetti potenzialmente implicati possono ben apportare il proprio contributo causale e psicologico alla realizzazione dell’evento dannoso. Su tali basi, la seconda prospettiva di indagine seguita si è invece soffermata sull’analisi concernente la rilevanza dell’elemento soggettivo colpa in ipotesi di apporto plurisoggettivo alla realizzazione di un evento dannoso cagionato da un difetto insito in un determinato prodotto immesso in commercio. A tal riguardo, in primo luogo, si è proceduto all’analisi degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali esistenti in materia e relativi ai giudizi di prevedibilità e riconoscibilità del difetto nonché alla rilevanza della condotta negligente, imprudente, imperita di terzi e/o della vittima. In secondo luogo, ci si è poi interrogati su quale sia la disciplina preferibile, ai fini della ripartizione pratica della responsabilità penale sotto il profilo soggettivo, tra il principio dell’affidamento e la figura della cooperazione colposa di cui all’art. 113 c.p., soprattutto alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali in tema di c.d. interazione prudente. Posta la variegata casistica esistente in materia, si è poi deciso di concentrare l’attenzione, dedicando ad esso l’intera terzo capitolo, al caso specifico dei danni cagionati da dispositivi medici difettosi o pericolosi, facendo richiamo, a tal fine, alla normativa vigente in materia di cui al d.lgs. 46/97, attuativo della direttiva CE 93/42. In particolare, l’attività di ricerca condotta ha incentrato l’indagine sul profilo peculiare relativo al ruolo assunto dall’esistenza di una certificazione di conformità alla normativa CE (con conseguente apposizione di marcatura) su un medical device rivelatosi poi difettoso e sui possibili residui di responsabilità penale a titolo di colpa in capo al medico-chirurgo che abbia proceduto all’utilizzo del dispositivo medesimo. Per fornire una risposta a tale interrogativo, che fosse al contempo rispettosa del sistema e dei principi classici del diritto penale, si sono seguite due direttrici. In primo luogo, si è proceduto all’analisi della normativa di riferimento mettendo in evidenza soprattutto come il controllo effettuato ai fini dell’ottenimento della valutazione di conformità CE muti secondo la classe di rischio di appartenenza del dispositivo medico considerato. In particolare, per i medical devices particolarmente invasivi, caratterizzati da un alto potenziale di rischio, la procedura di certificazione è particolarmente rigorosa in quanto l'Organismo notificato dà esecuzione al c.d. "sistema completo di assicurazione di qualità" che impone un vaglio critico costante. In secondo luogo, partendo da tali constatazioni, si è cercato di leggere il contenuto delle suddette disposizioni in combinato disposto con i risultati acquisiti ad esito della ricerca effettuata sui profili relazionali della colpa e sul fenomeno del danno da prodotto in generale analizzando poi, nello specifico, un caso tratto dalla più recente casistica giurisprudenziale. Sinteticamente, le conclusioni al riguardo raggiunte hanno condotto la Dottoranda a sostenere la tesi per cui non può essere sottovalutato il valore da allegare alla certificazione di conformità CE in caso di dispositivi medici collocabili in classe di rischio alta, considerato che tale certificazione, rilasciata ad esito di un controllo rigoroso, non solo garantisce la sicurezza del prodotto ma ne legittima anche l’immissione in commercio e la messa in servizio, fase quest’ultima in cui il dispositivo medico è posto a disposizione dell'utilizzatore finale in quanto pronto per essere utilizzato secondo la sua destinazione d'uso. Esso, dunque, è da considerarsi sicuro, senza che nulla più possa pretendersi dal soggetto utilizzatore, fatta eccezione per le ipotesi di evidenza del difetto o di chiara riconoscibilità del pericolo. Nello specifico, nelle osservazioni finali si è messo in evidenza come la materia concernente la problematica dei profili relazionali della colpa e della responsabilità penale del danno cagionato da prodotto, si leghi a doppio filo con la corretta applicazione di due principi propri del diritto penale classico: 1) Il principio di affidamento e 2) Il corretto assolvimento del giudizio di riconoscibilità del difetto e conseguente prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, guardando a quello che ne è il fondamento e portando così a concludere che la corretta applicazione degli strumenti già offerti dal diritto penale classico quali, nel nostro caso, il giudizio di causalità della colpa ed il principio dell’affidamento, è la prima e la più forte garanzia del rispetto, anche nell’ambito della “società del rischio”, dell’art. 27, co. 1°, Cost., in modo tale che si eviti di dare spazio all’ingresso nel nostro ordinamento a forme di responsabilità oggettiva mascherate o anche solo di imputazione obiettiva dell’evento.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/118397
URN:NBN:IT:UNIPD-118397