Il volto trasmette numerose informazioni fondamentali alla nostra vita sociale e comunicativa quali l’identità, l’espressione facciale e la direzione dello sguardo. Ad esempio quando vediamo un volto, siamo automaticamente portati a chiederci chi sia la persona che stiamo vedendo, cosa provi, cosa esprima e cosa sta comunicando. Lo scopo della mia tesi di dottorato è proprio quello di approfondire la relazione che intercorre tra queste diverse informazioni sociali. Cercando, inoltre, di stabilire se esista o meno una gerarchia nel nostro modo di elaborarle. Queste informazioni potrebbero, infatti, essere elaborate da un unico meccanismo con diverse funzioni oppure da meccanismi separati e indipendenti che operano in modo parallelo, o ancora da singoli meccanismi che interagiscono e comunicano tra loro. Parlando del cervello e delle sue relazioni con lo sviluppo comportamentale Johnson (2001) avanza tre differenti ipotesi: la prima di tipo “maturazionale”, la seconda legata all’apprendimento ed una di “specializzazione interattiva”. L’ipotesi “maturazionale” assume che particolari regioni del cervello si sviluppino nel tempo e che questo permetta l’apparire di nuove funzioni sensoriali, motorie e cognitive, quindi il successo in nuovi compiti comportamentali ad una determinata età è attribuito alla maturazione di nuove regioni cerebrali. L’ipotesi “dell’apprendimento” ritiene, invece, che i cambiamenti nel modo in cui il bambino elabora le informazioni siano il risultato di un complesso processo di apprendimento percettivo e motorio. Infine l’autore propone un’ipotesi di “specializzazione interattiva” e afferma l’esistenza di strutture neuroanatomiche programmate geneticamente in cui organizzazione e funzionamento siano parzialmente modificati da input esterni ed interni. Questa ipotesi alternativa si basa sull’assunto che lo sviluppo funzionale del cervello, dopo la nascita, è parte di un processo di organizzazione intra e inter regionale interattiva. Sebbene sia difficile stabilire la relazione tra pre-definito e appreso, è sempre più comune ritenere che la complessità del cervello umano derivi dall’interazione tra fattori genetici ed ambientali e che non sia solo il mero e passivo esplicarsi di processi genetici. Ciò significa che dotazione genetica ed esperienza co-determinano lo sviluppo, influenzandosi reciprocamente in un processo di interazione dinamica (Gottlieb, 2001). Credo sia possibile riferirsi a un’ipotesi di “specializzazione interattiva” anche quando parliamo del volto e della sua elaborazione. La prima parte della tesi affronta la letteratura fondamentale per le mie ricerche. Nel primo capitolo mi interrogo sulla specialità dello stimolo volto per poi passare a una rassegna dei modelli teorici sull’elaborazione del volto e le basi neurali sottostanti questa abilità, il secondo affronta il tema dell’elaborazione delle espressioni facciali di emozione, il terzo lo studio dell’elaborazione dello sguardo e del suo utilizzo, e infine il quarto è un capitolo che analizza le emozioni, lo sguardo e l’identità in interazione tra loro. La seconda parte, dopo un capitolo metodologico generale (capitolo 5), è dedicata alla ricerca sperimentale svolta nei tre anni di dottorato (capitolo 6, 7, 8). L’attenzione è rivolta, non solo all’emergere di questi processi e queste capacità ma anche al loro sviluppo, in un continuo confronto tra le abilità neonatali, dei primi mesi di vita e adulte. Le ricerche hanno approfondito, in primo luogo, il ruolo delle emozioni ed in particolare dell’espressione facciale di paura e di quella di felicità. Ho studiato l’elaborazione delle emozioni dal semplice percepire le emozioni nei primissimi giorni di vita e all’inizio dello sviluppo (studi condotti con neonati nel nido del reparto di maternità dell’Ospedale S.Polo di Monfalcone, e bambini di 4-5 mesi presso un laboratorio del DPSS), fino all’agire attraverso le emozioni (studi condotti con bambini di 4-5 mesi e adulti all’interno di un laboratorio del DPSS). Ho cercato, inoltre, di approfondire la relazione tra le espressioni facciali di emozione, la direzione dello sguardo e l’identità delle persone. Infatti, bisogna ricordarsi che quando l’emozione è espressa da un’espressione facciale porta con sé numerose altre informazioni che noi non possiamo o comunque non riusciamo a ignorare. Attraverso differenti tecniche e paradigmi sperimentali (preferenza visiva, abitazione, e inseguimento oculare), ho condotto 14 esperimenti, quattro con soggetti adulti (n=109), tre con bambini di 4-5 mesi (n=48) e sette con neonati da 1 a 5 giorni di vita (n=99). Le analisi statistiche condotte sono state dei t-test e delle analisi della varianza sui tempi totali di fissazione verso gli stimoli-volto (videoregistrati durante le prove e codificati in seguito), per quanto riguarda le preferenze visive e l’abituazione, mentre per gli esperimenti di inseguimento visivo (paradigma di Posner) ho condotto un’analisi della varianza a misure ripetute (3x2) sui tempi di reazione dei soggetti (generati automaticamente dal computer grazie ad un sistema di eye tracker). I risultati degli esperimenti condotti con i neonati dimostrano che alcune espressioni facciali sono discriminabili già alla nascita, e inoltre che emozioni e direzione dello sguardo interagiscono. In particolare i neonati preferiscono un’espressione felice rispetto ad un’espressione di paura o neutra, e questo mi porta ad ipotizzare che l’espressione felice sia speciale. Questa preferenza però scompare quando il volto è accompagnato da uno sguardo orientato, quindi per discriminare le emozioni sembra sia necessario anche il contatto oculare. Lo sguardo dritto è una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché i neonati discriminino e preferiscano i volti emotivi. Sembra, quindi, che i volti che aumentano la possibilità di un contatto sociale con le altre persone attirino di più l’attenzione dei neonati: preferiscono uno stimolo-volto che contiene sia lo sguardo dritto sia un’espressione felice. Inoltre, non è da escludere il “peso” dell’esperienza, infatti, anche se minima, l’esperienza dei neonati con le espressioni facciali è sicuramente maggiore con volti felici e sorridenti rispetto a volti di paura. Dai dati ottenuti con i bambini, è possibile affermare che anche a 4-5 mesi discriminano le espressioni facciali e, diversamente dai neonati, mostrano una preferenza per il volto di paura. Questa emozione potrebbe essere preferita perché la più “nuova”, ossia la meno esperita, ma potrebbe anche veicolare delle informazioni già importanti per questa età. Inoltre, emozioni e direzione dello sguardo interagiscono: nel compito di inseguimento spaziale si evidenzia, infatti, un effetto dovuto alle espressioni emotive, che rallentano lo spostamento attenzione dei bambini. Non è presente invece alcun effetto dovuto all’utilizzo di diverse identità: nella preferenza visiva tra le diverse espressioni spaziali emerge, infatti, una supremazia “emozioni”, ed in particolare dell’emozione di paura. Infine, per quanto riguarda gli adulti è emersa un’interazione tra identità, emozioni e sguardo. Le emozioni facilitano lo spostamento dell’attenzione, infatti, nell’esperimento di orientamento spaziale i soggetti sono più veloci a dirigere la loro attenzione verso un target periferico quando lo sguardo (cue) è inserito in un volto emotivo. Ma l’identità sembra interferire sul compito, infatti, l’effetto delle emozioni scompare quando al posto di un unico stimolo-volto che mostra differenti emozioni inseriamo diversi stimoli volto (differenti identità). E questo risultato mi porta alla conclusione che l’elaborazione dell’identità preceda l’elaborazione delle emozioni. In conclusione, l’ipotesi che ho cercato di supportare nella mia tesi, è che i bambini nascano già dotati di alcune predisposizioni e successivamente, grazie anche alla ripetuta esperienza con determinate classi di stimoli, le loro elaborazioni divengano sempre più specifiche e funzionali, avvicinandosi alle capacità degli adulti. I risultati degli esperimenti sembrano andare a favore dell’ipotesi avanzata da Johnson (2000; 2001) sull’esistenza di una “specializzazione interattiva”. Un’ipotesi di questo tipo dà il giusto peso ai fattori biologici innati senza però sottovalutare il ruolo dell’esperienza. Durante lo sviluppo le vie, le regioni e le strutture corticali affrontano un processo di specializzazione, divenendo progressivamente sempre più selettive e localizzate. Attraverso questo processo il bambino comincia, a partire dalle primissime ore di vita, ad avviarsi gradualmente verso le capacità e le abilità di risposta e di interazione con il mondo, proprie di un organismo adulto.
Il linguaggio del volto: l'interazione tra emozioni, sguardo e identità nel corso dello sviluppo
Enrica, Menon
2008
Abstract
Il volto trasmette numerose informazioni fondamentali alla nostra vita sociale e comunicativa quali l’identità, l’espressione facciale e la direzione dello sguardo. Ad esempio quando vediamo un volto, siamo automaticamente portati a chiederci chi sia la persona che stiamo vedendo, cosa provi, cosa esprima e cosa sta comunicando. Lo scopo della mia tesi di dottorato è proprio quello di approfondire la relazione che intercorre tra queste diverse informazioni sociali. Cercando, inoltre, di stabilire se esista o meno una gerarchia nel nostro modo di elaborarle. Queste informazioni potrebbero, infatti, essere elaborate da un unico meccanismo con diverse funzioni oppure da meccanismi separati e indipendenti che operano in modo parallelo, o ancora da singoli meccanismi che interagiscono e comunicano tra loro. Parlando del cervello e delle sue relazioni con lo sviluppo comportamentale Johnson (2001) avanza tre differenti ipotesi: la prima di tipo “maturazionale”, la seconda legata all’apprendimento ed una di “specializzazione interattiva”. L’ipotesi “maturazionale” assume che particolari regioni del cervello si sviluppino nel tempo e che questo permetta l’apparire di nuove funzioni sensoriali, motorie e cognitive, quindi il successo in nuovi compiti comportamentali ad una determinata età è attribuito alla maturazione di nuove regioni cerebrali. L’ipotesi “dell’apprendimento” ritiene, invece, che i cambiamenti nel modo in cui il bambino elabora le informazioni siano il risultato di un complesso processo di apprendimento percettivo e motorio. Infine l’autore propone un’ipotesi di “specializzazione interattiva” e afferma l’esistenza di strutture neuroanatomiche programmate geneticamente in cui organizzazione e funzionamento siano parzialmente modificati da input esterni ed interni. Questa ipotesi alternativa si basa sull’assunto che lo sviluppo funzionale del cervello, dopo la nascita, è parte di un processo di organizzazione intra e inter regionale interattiva. Sebbene sia difficile stabilire la relazione tra pre-definito e appreso, è sempre più comune ritenere che la complessità del cervello umano derivi dall’interazione tra fattori genetici ed ambientali e che non sia solo il mero e passivo esplicarsi di processi genetici. Ciò significa che dotazione genetica ed esperienza co-determinano lo sviluppo, influenzandosi reciprocamente in un processo di interazione dinamica (Gottlieb, 2001). Credo sia possibile riferirsi a un’ipotesi di “specializzazione interattiva” anche quando parliamo del volto e della sua elaborazione. La prima parte della tesi affronta la letteratura fondamentale per le mie ricerche. Nel primo capitolo mi interrogo sulla specialità dello stimolo volto per poi passare a una rassegna dei modelli teorici sull’elaborazione del volto e le basi neurali sottostanti questa abilità, il secondo affronta il tema dell’elaborazione delle espressioni facciali di emozione, il terzo lo studio dell’elaborazione dello sguardo e del suo utilizzo, e infine il quarto è un capitolo che analizza le emozioni, lo sguardo e l’identità in interazione tra loro. La seconda parte, dopo un capitolo metodologico generale (capitolo 5), è dedicata alla ricerca sperimentale svolta nei tre anni di dottorato (capitolo 6, 7, 8). L’attenzione è rivolta, non solo all’emergere di questi processi e queste capacità ma anche al loro sviluppo, in un continuo confronto tra le abilità neonatali, dei primi mesi di vita e adulte. Le ricerche hanno approfondito, in primo luogo, il ruolo delle emozioni ed in particolare dell’espressione facciale di paura e di quella di felicità. Ho studiato l’elaborazione delle emozioni dal semplice percepire le emozioni nei primissimi giorni di vita e all’inizio dello sviluppo (studi condotti con neonati nel nido del reparto di maternità dell’Ospedale S.Polo di Monfalcone, e bambini di 4-5 mesi presso un laboratorio del DPSS), fino all’agire attraverso le emozioni (studi condotti con bambini di 4-5 mesi e adulti all’interno di un laboratorio del DPSS). Ho cercato, inoltre, di approfondire la relazione tra le espressioni facciali di emozione, la direzione dello sguardo e l’identità delle persone. Infatti, bisogna ricordarsi che quando l’emozione è espressa da un’espressione facciale porta con sé numerose altre informazioni che noi non possiamo o comunque non riusciamo a ignorare. Attraverso differenti tecniche e paradigmi sperimentali (preferenza visiva, abitazione, e inseguimento oculare), ho condotto 14 esperimenti, quattro con soggetti adulti (n=109), tre con bambini di 4-5 mesi (n=48) e sette con neonati da 1 a 5 giorni di vita (n=99). Le analisi statistiche condotte sono state dei t-test e delle analisi della varianza sui tempi totali di fissazione verso gli stimoli-volto (videoregistrati durante le prove e codificati in seguito), per quanto riguarda le preferenze visive e l’abituazione, mentre per gli esperimenti di inseguimento visivo (paradigma di Posner) ho condotto un’analisi della varianza a misure ripetute (3x2) sui tempi di reazione dei soggetti (generati automaticamente dal computer grazie ad un sistema di eye tracker). I risultati degli esperimenti condotti con i neonati dimostrano che alcune espressioni facciali sono discriminabili già alla nascita, e inoltre che emozioni e direzione dello sguardo interagiscono. In particolare i neonati preferiscono un’espressione felice rispetto ad un’espressione di paura o neutra, e questo mi porta ad ipotizzare che l’espressione felice sia speciale. Questa preferenza però scompare quando il volto è accompagnato da uno sguardo orientato, quindi per discriminare le emozioni sembra sia necessario anche il contatto oculare. Lo sguardo dritto è una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché i neonati discriminino e preferiscano i volti emotivi. Sembra, quindi, che i volti che aumentano la possibilità di un contatto sociale con le altre persone attirino di più l’attenzione dei neonati: preferiscono uno stimolo-volto che contiene sia lo sguardo dritto sia un’espressione felice. Inoltre, non è da escludere il “peso” dell’esperienza, infatti, anche se minima, l’esperienza dei neonati con le espressioni facciali è sicuramente maggiore con volti felici e sorridenti rispetto a volti di paura. Dai dati ottenuti con i bambini, è possibile affermare che anche a 4-5 mesi discriminano le espressioni facciali e, diversamente dai neonati, mostrano una preferenza per il volto di paura. Questa emozione potrebbe essere preferita perché la più “nuova”, ossia la meno esperita, ma potrebbe anche veicolare delle informazioni già importanti per questa età. Inoltre, emozioni e direzione dello sguardo interagiscono: nel compito di inseguimento spaziale si evidenzia, infatti, un effetto dovuto alle espressioni emotive, che rallentano lo spostamento attenzione dei bambini. Non è presente invece alcun effetto dovuto all’utilizzo di diverse identità: nella preferenza visiva tra le diverse espressioni spaziali emerge, infatti, una supremazia “emozioni”, ed in particolare dell’emozione di paura. Infine, per quanto riguarda gli adulti è emersa un’interazione tra identità, emozioni e sguardo. Le emozioni facilitano lo spostamento dell’attenzione, infatti, nell’esperimento di orientamento spaziale i soggetti sono più veloci a dirigere la loro attenzione verso un target periferico quando lo sguardo (cue) è inserito in un volto emotivo. Ma l’identità sembra interferire sul compito, infatti, l’effetto delle emozioni scompare quando al posto di un unico stimolo-volto che mostra differenti emozioni inseriamo diversi stimoli volto (differenti identità). E questo risultato mi porta alla conclusione che l’elaborazione dell’identità preceda l’elaborazione delle emozioni. In conclusione, l’ipotesi che ho cercato di supportare nella mia tesi, è che i bambini nascano già dotati di alcune predisposizioni e successivamente, grazie anche alla ripetuta esperienza con determinate classi di stimoli, le loro elaborazioni divengano sempre più specifiche e funzionali, avvicinandosi alle capacità degli adulti. I risultati degli esperimenti sembrano andare a favore dell’ipotesi avanzata da Johnson (2000; 2001) sull’esistenza di una “specializzazione interattiva”. Un’ipotesi di questo tipo dà il giusto peso ai fattori biologici innati senza però sottovalutare il ruolo dell’esperienza. Durante lo sviluppo le vie, le regioni e le strutture corticali affrontano un processo di specializzazione, divenendo progressivamente sempre più selettive e localizzate. Attraverso questo processo il bambino comincia, a partire dalle primissime ore di vita, ad avviarsi gradualmente verso le capacità e le abilità di risposta e di interazione con il mondo, proprie di un organismo adulto.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/120585
URN:NBN:IT:UNIPD-120585