ABSTRACT IT La natura delle sanzioni per violazione dei doveri di trasparenza amministrativa Lo scopo della presente ricerca è stato quello di indagare sulla reale natura delle sanzioni pecuniarie a carico dei funzionari pubblici dopo l’entrata in vigore della normativa anticorruzione. Il pubblico dipendente dopo le riforme intervenute con la legge 6 novembre 2012 n. 190 ed i relativi decreti attuativi (decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 c.d. codice T.U. Trasparenza, decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 ed il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, c.d. Codice di comportamento) ha visto aggravarsi le proprie responsabilità in ambito lavorativo e così il conseguente regime sanzionatorio. Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in particolare, ha previsto due articoli di legge che appesantiscono il già nutrito carico di responsabilità degli operatori della pubblica amministrazione. Il problema di fondo è nato in specifico dalla lettura degli articoli 15 e 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, che danno attuazione all’articolo 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n. 190. L’articolo 15 comma 3 prevede, al termine di un procedimento disciplinare, il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta a titolo di corrispettivo a carico del dirigente che ha predisposto l’incarico ad un soggetto esterno, indicato al comma 2, senza le dovute pubblicazioni, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario, ove ricorrano le condizioni (danno ingiusto per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa – lesione di diritti soggettivi e di interessi legittimi). L’articolo 47 prevedeva delle sanzioni amministrative pecuniarie a carico del responsabile della violazione della mancata pubblicazione pari ad una somma variabile da 500 a 10.000 euro, sanzioni irrogate originariamente dall’autorità amministrativa competente non ben definita. Tali articoli hanno una formulazione ambivalente e non si comprende ictu oculi la reale natura di tali provvedimenti sanzionatori. Non era chiaro dai disposti della legge, infatti, se si trattava veramente di una nuova tipologia di sanzione disciplinare, di una sanzione amministrativa di tipo pecuniario oppure di qualche altra forma sanzionatoria pecuniaria. Optare per una qualificazione piuttosto che un’altra, apre infatti a problematiche e conseguenze giuridiche differenti non solo sul piano sostanziale, ma anche dal punto di vista processuale. Alla soluzione del problema di fondo si è giunti, in primo luogo, compiendo nel capitolo I una breve panoramica del concetto di sanzione come reazione ad un fatto illecito, partendo dalla categoria generale del diritto punitivo che secondo i teorici del diritto è un contenitore molto ampio all’interno della quale si raggruppano reati, ma anche illeciti amministrativi ed illeciti disciplinari, nonché tributari. Si è cercato di evidenziare come non è sempre facile distinguere una tipologia di sanzione dall’altra, anche perché molto spesso la natura di una sanzione si è confusa con un'altra. Secondo la dottrina interna, tuttavia, il criterio per distinguere la natura di una sanzione da un'altra è il criterio formale ovvero il nome o la descrizione fatta dal legislatore. Non è questo il pensiero delle Corti europee che a partire dalla sentenza Engel ha dettato dei criteri sostanziali in base ai quali definire la natura di una sanzione e cioè il criterio della qualificazione giuridica della misura, ovvero il nome dato dal legislatore, della natura della misura o dell’illecito ed il grado di severità della sanzione. Soprattutto quest’ultimo criterio è stato molto seguito nelle ultime sentenze per qualificare una sanzione come penale oppure no. Si è messo in luce in ogni caso che il criterio della gravità di una sanzione deve essere valutato caso per caso e che una sanzione molto grave anche dal punto di vista quantitativo pecuniario non sempre è indice della presenza di una sanzione penale. Per questo si deve fare sempre riferimento alla volontà del legislatore e così si è proseguito nella ricerca anche esaminando nel capitolo II le varie tipologie sanzionatorie pecuniarie, soffermandosi in particolare sulle caratteristiche delle sanzioni amministrative, ma anche sulle sanzioni pecuniarie disciplinari a carico dei dirigenti come volute dal legislatore e come descritte anche nella loro evoluzione storica. Si è trattato brevemente anche delle sanzioni pecuniarie cosi dette da danno erariale e dell’illecito dirigenziale, in quanto anche in questo caso si può parlare di sanzione pecuniaria per la decurtazione della indennità di risultato. Il capitolo III è il cuore, tuttavia, della ricerca in quanto in esso sono descritte le sanzioni pecuniarie a carico dei funzionari dopo la normativa anticorruzione e soprattutto si è cercato di individuare la probabile natura della sanzione prevista dall’articolo 15 del decreto legislativo trasparenza anche nella nuova formulazione, operata dal decreto legislativo 2016, n. 97. Per l’articolo 47 del medesimo decreto ci ha pensato il legislatore a qualificare la natura, precisando che si tratta di sanzione amministrativa pecuniaria irrogata da ANAC. Si è giunti alla conclusione che la sanzione contemplata è una sanzione pecuniaria conservativa anomala a carico del dirigente conseguente ad un accertamento di responsabilità disciplinare (al confine o coincidente in parte con la responsabilità dirigenziale, anomala perché, in aggiunta alla considerazione dei rilievi meglio indicati nella ricerca, non rispetterebbe la ratio dell’istituto delle sanzioni disciplinari che non è quella primariamente afflittiva, ma quella di ripristinare il corretto funzionamento della attività lavorativa. Nel caso in esame, infatti, si punisce con essa non una vera e propria inefficienza della pubblica amministrazione, ma la violazione di un principio che, come si è visto, è ormai di ordine costituzionale, collegato peraltro ad una finalità di ordine addirittura sovrannazionale, la prevenzione della corruzione. Infine, si è osservato che il dato letterale è l’unico che ci permette una qualche classificazione, dal momento che rinvia al tipo di procedimento che accerterebbe questo tipo di responsabilità, ovvero il procedimento disciplinare ed in mancanza di altri elementi, come indicato nel capitolo I, la qualificazione di una sanzione è data anche dal tipo di procedimento – processo, indicato dal legislatore. L’anomalia, tuttavia, non sta solo nella formulazione della sanzione non coerente con le sanzioni previste per gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego, ma anche, come già notato nelle premesse al presente lavoro di ricerca, nell’importo anche potenzialmente molto elevato previsto per la stessa che ha giustificato, seppur a titolo di solo completezza, il proseguimento della presente ricerca nel capitolo IV che ha trattato della proporzionalità di una norma e quindi della proporzionalità nella previsione legislativa di sanzioni pecuniarie. Si è sottolineato come le sanzioni non devono risultare eccessive rispetto al fine perseguito. Una sanzione pecuniaria, infatti, non deve risultare sottodimensionata o sovradimensionata, perché non deve essere viziata per un deficit punitivo o un eccesso punitivo a tutto detrimento della effettiva tutela degli interessi pubblici che la norma con la sanzione vuole salvaguardare. Si è giunti alla conclusione che l’articolo 15 del decreto trasparenza è probabilmente incostituzionale per violazione dell’ articolo 117 comma 1, della Costituzione, ma anche dell’articolo 3, nonché 36. Nelle conclusioni, tuttavia, si auspica l’intervento chiarificatore del legislatore, dal momento che una norma ambigua nella formulazione non è di fatto applicabile.

La natura delle sanzioni per violazione dei doveri di trasparenza amministrativa

Maria, Magnago
2018

Abstract

ABSTRACT IT La natura delle sanzioni per violazione dei doveri di trasparenza amministrativa Lo scopo della presente ricerca è stato quello di indagare sulla reale natura delle sanzioni pecuniarie a carico dei funzionari pubblici dopo l’entrata in vigore della normativa anticorruzione. Il pubblico dipendente dopo le riforme intervenute con la legge 6 novembre 2012 n. 190 ed i relativi decreti attuativi (decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 c.d. codice T.U. Trasparenza, decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 ed il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, c.d. Codice di comportamento) ha visto aggravarsi le proprie responsabilità in ambito lavorativo e così il conseguente regime sanzionatorio. Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in particolare, ha previsto due articoli di legge che appesantiscono il già nutrito carico di responsabilità degli operatori della pubblica amministrazione. Il problema di fondo è nato in specifico dalla lettura degli articoli 15 e 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, che danno attuazione all’articolo 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n. 190. L’articolo 15 comma 3 prevede, al termine di un procedimento disciplinare, il pagamento di una sanzione pari alla somma corrisposta a titolo di corrispettivo a carico del dirigente che ha predisposto l’incarico ad un soggetto esterno, indicato al comma 2, senza le dovute pubblicazioni, fatto salvo il risarcimento del danno del destinatario, ove ricorrano le condizioni (danno ingiusto per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa – lesione di diritti soggettivi e di interessi legittimi). L’articolo 47 prevedeva delle sanzioni amministrative pecuniarie a carico del responsabile della violazione della mancata pubblicazione pari ad una somma variabile da 500 a 10.000 euro, sanzioni irrogate originariamente dall’autorità amministrativa competente non ben definita. Tali articoli hanno una formulazione ambivalente e non si comprende ictu oculi la reale natura di tali provvedimenti sanzionatori. Non era chiaro dai disposti della legge, infatti, se si trattava veramente di una nuova tipologia di sanzione disciplinare, di una sanzione amministrativa di tipo pecuniario oppure di qualche altra forma sanzionatoria pecuniaria. Optare per una qualificazione piuttosto che un’altra, apre infatti a problematiche e conseguenze giuridiche differenti non solo sul piano sostanziale, ma anche dal punto di vista processuale. Alla soluzione del problema di fondo si è giunti, in primo luogo, compiendo nel capitolo I una breve panoramica del concetto di sanzione come reazione ad un fatto illecito, partendo dalla categoria generale del diritto punitivo che secondo i teorici del diritto è un contenitore molto ampio all’interno della quale si raggruppano reati, ma anche illeciti amministrativi ed illeciti disciplinari, nonché tributari. Si è cercato di evidenziare come non è sempre facile distinguere una tipologia di sanzione dall’altra, anche perché molto spesso la natura di una sanzione si è confusa con un'altra. Secondo la dottrina interna, tuttavia, il criterio per distinguere la natura di una sanzione da un'altra è il criterio formale ovvero il nome o la descrizione fatta dal legislatore. Non è questo il pensiero delle Corti europee che a partire dalla sentenza Engel ha dettato dei criteri sostanziali in base ai quali definire la natura di una sanzione e cioè il criterio della qualificazione giuridica della misura, ovvero il nome dato dal legislatore, della natura della misura o dell’illecito ed il grado di severità della sanzione. Soprattutto quest’ultimo criterio è stato molto seguito nelle ultime sentenze per qualificare una sanzione come penale oppure no. Si è messo in luce in ogni caso che il criterio della gravità di una sanzione deve essere valutato caso per caso e che una sanzione molto grave anche dal punto di vista quantitativo pecuniario non sempre è indice della presenza di una sanzione penale. Per questo si deve fare sempre riferimento alla volontà del legislatore e così si è proseguito nella ricerca anche esaminando nel capitolo II le varie tipologie sanzionatorie pecuniarie, soffermandosi in particolare sulle caratteristiche delle sanzioni amministrative, ma anche sulle sanzioni pecuniarie disciplinari a carico dei dirigenti come volute dal legislatore e come descritte anche nella loro evoluzione storica. Si è trattato brevemente anche delle sanzioni pecuniarie cosi dette da danno erariale e dell’illecito dirigenziale, in quanto anche in questo caso si può parlare di sanzione pecuniaria per la decurtazione della indennità di risultato. Il capitolo III è il cuore, tuttavia, della ricerca in quanto in esso sono descritte le sanzioni pecuniarie a carico dei funzionari dopo la normativa anticorruzione e soprattutto si è cercato di individuare la probabile natura della sanzione prevista dall’articolo 15 del decreto legislativo trasparenza anche nella nuova formulazione, operata dal decreto legislativo 2016, n. 97. Per l’articolo 47 del medesimo decreto ci ha pensato il legislatore a qualificare la natura, precisando che si tratta di sanzione amministrativa pecuniaria irrogata da ANAC. Si è giunti alla conclusione che la sanzione contemplata è una sanzione pecuniaria conservativa anomala a carico del dirigente conseguente ad un accertamento di responsabilità disciplinare (al confine o coincidente in parte con la responsabilità dirigenziale, anomala perché, in aggiunta alla considerazione dei rilievi meglio indicati nella ricerca, non rispetterebbe la ratio dell’istituto delle sanzioni disciplinari che non è quella primariamente afflittiva, ma quella di ripristinare il corretto funzionamento della attività lavorativa. Nel caso in esame, infatti, si punisce con essa non una vera e propria inefficienza della pubblica amministrazione, ma la violazione di un principio che, come si è visto, è ormai di ordine costituzionale, collegato peraltro ad una finalità di ordine addirittura sovrannazionale, la prevenzione della corruzione. Infine, si è osservato che il dato letterale è l’unico che ci permette una qualche classificazione, dal momento che rinvia al tipo di procedimento che accerterebbe questo tipo di responsabilità, ovvero il procedimento disciplinare ed in mancanza di altri elementi, come indicato nel capitolo I, la qualificazione di una sanzione è data anche dal tipo di procedimento – processo, indicato dal legislatore. L’anomalia, tuttavia, non sta solo nella formulazione della sanzione non coerente con le sanzioni previste per gli illeciti disciplinari nel pubblico impiego, ma anche, come già notato nelle premesse al presente lavoro di ricerca, nell’importo anche potenzialmente molto elevato previsto per la stessa che ha giustificato, seppur a titolo di solo completezza, il proseguimento della presente ricerca nel capitolo IV che ha trattato della proporzionalità di una norma e quindi della proporzionalità nella previsione legislativa di sanzioni pecuniarie. Si è sottolineato come le sanzioni non devono risultare eccessive rispetto al fine perseguito. Una sanzione pecuniaria, infatti, non deve risultare sottodimensionata o sovradimensionata, perché non deve essere viziata per un deficit punitivo o un eccesso punitivo a tutto detrimento della effettiva tutela degli interessi pubblici che la norma con la sanzione vuole salvaguardare. Si è giunti alla conclusione che l’articolo 15 del decreto trasparenza è probabilmente incostituzionale per violazione dell’ articolo 117 comma 1, della Costituzione, ma anche dell’articolo 3, nonché 36. Nelle conclusioni, tuttavia, si auspica l’intervento chiarificatore del legislatore, dal momento che una norma ambigua nella formulazione non è di fatto applicabile.
30-gen-2018
Italiano
La natura delle sanzioni per violazione dei doveri di trasparenza amministrativa/Art der Sanktionen aufgrund der Verletzung der Pflichten der Verwaltungstransparenz
VOLPE, FRANCESCO
Università degli studi di Padova
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-121123