Il settore della cooperazione allo sviluppo, la cui nascita formale può essere associata ai gruppi volontari di soccorso ai soldati del fronte formatesi per la prima volta durante la Guerra di Crimea (1854-1855), è un settore in grande crescita, che negli ultimi 20 anni si è imposto con successo sulla scena internazionale dell'aiuto e dello sviluppo (Ryfman, 2004). Le organizzazioni non governative (ONG), che rappresentano uno degli attori principali di questo settore, sono ormai migliaia (Anheier, Marlies & Mary, 2001; Ryfman, 2004) e gestiscono progetti di aiuto in tutti i paesi del sud del mondo, in cui lo sviluppo economico-sociale necessita di un appoggio per la ripresa, minacciato dalla fame, dalla siccità , dalle epidemie o dai conflitti. I risultati sono spesso evidenti ed in molti casi sorprendenti. I finanziamenti indirizzati alle azioni per lo sviluppo gestiti dalle ONG sono aumentati considerevolmente negli ultimi 20 anni e oggi superano gli 11 miliardi di dollari (fonte OCSE). Nonostante i risultati positivi e molti esempi di interventi ben fatti e sostenibili, il settore ha fatto da sfondo anche a numerosi interventi mal gestiti, a volte eticamente discutibili, che hanno insinuato dubbi sul modo di agire del mondo della cooperazione. Una fase di revisione e di riflessione sul proprio operato sembra oggi necessaria per il mondo della cooperazione allo sviluppo. Anche se mal organizzato e spesso poco condiviso, il bisogno di tutto il settore di riflettere sulle proprie pratiche, sugli errori fatti e su come agire in modo più efficace e sostenibile è evidente e ben presente (Raimondi & Antonelli, 2001). I cooperanti si interrogano, le ONG iniziano ad organizzare giornate d'incontro e di scambio sulle procedure, ma un'analisi sistematica e corale ancora manca. Il lavoro di ricerca presentato in questa tesi si inserisce in questa fase di revisione del settore. Appoggiandoci alla psicologia sociale, ai suoi modelli teorici e ai suoi metodi abbiamo cercato di fornire delle risposte ad alcune delle domande sulle procedure e sull'operato dell'aiuto allo sviluppo. Fino ad oggi la psicologia e la psicologia sociale, in particolare, hanno poco approfondito questo settore applicativo che ci sembra invece poter beneficiare del loro contributo teorico. Attraverso due studi mostreremo i possibili ambiti in cui la nostra ricerca potrebbe essere fruttuosa. In particolare ci siamo concentrati su due aspetti chiave dell'intervento: gli operatori, motore dell'azione di aiuto e le procedure adottate. Il primo studio (Studio 1) che abbiamo realizzato con la collaborazione degli operatori della cooperazione indaga le loro motivazioni a impegnarsi in questo settore e gli effetti che questa esperienza ha prodotto sulle loro vite. Ad oggi, sono rari gli studi che si sono interessati ai cooperanti, per lo più sono di natura socio-demografica e risultano riduttivi nel descrivere questa categoria di professionisti. Inspirandoci agli studi, ben più numerosi, fatti sulle motivazioni e l'esperienza delle persone impegnate nel volontariato (Marta, Guglielmetti & Pozzi, 2006; Omoto & Snyder, 1995; Taylor & Pancer, 2007) e sui lavori di psicologia sul comportamento pro-sociale abbiamo strutturato uno studio che ha coinvolto 73 cooperanti e che ha permesso di identificare categorie di motivazioni e profili degli operatori che potranno essere in seguito gli elementi di base per ulteriori studi di approfondimento. Dai dati emerge un forte impegno morale del cooperante, ma anche personale e, in un secondo momento, professionale. La scelta di impegnarsi in questo settore nasce da un bisogno di aiutare gli altri (le motivazioni che fanno riferimento alla norma di responsabilità ed al sentimento di empatia emergono sulle altre), ma anche da un bisogno personale di fare una scelta lavorativa coerente con i propri valori (alcune motivazioni endo-centrate emergono anch'esse come principali). Il cooperante si sente bene a fare questo lavoro, si sente utile ed è rinforzato nella sua pratica dai risultati positivi; non ha paura ad ammetterlo. Con libertà associa la propria motivazione e soddisfazione nel fare questo lavoro anche al bisogno di viaggio, di avventura, di scoperta e di novità che ha. Infine emerge con evidenza la soddisfazione associata a questo lavoro che sembra ben corrispondere alle attese iniziali. Gli operatori, elementi chiave dell'azione umanitaria, si mostrano quindi dei professionisti preparati che svolgono il loro lavoro con passione ed impegno, ma sono poco valorizzati dalle proprie organizzazioni e non costituiscono ancora una fonte di riflessione e di analisi all'interno del settore per lo sviluppo. Questa può essere una delle nuove sfide del settore per il futuro. E proprio il fatto di essere un operatore del settore della cooperazione mi ha portato a rimettere in discussione alcune pratiche del mio operato e a identificare delle possibili nuove procedure, appoggiandomi ai modelli teorici della psicologia sociale. La seconda parte della tesi presenta la nostra riflessione teorica per l'integrazione, nella fase iniziale di analisi del contesto e del problema relativa ad un progetto, di una nuova procedura. Prioritaria, in ordine cronologico, questa fase è la chiave per la buona riuscita e la sostenibilità di tutta l'azione. L'approccio classico, diffuso e riconosciuto da tutte le organizzazioni, presenta strumenti e procedure d'analisi sistematici che consentono di organizzare le informazioni in modo chiaro e coerente. Ma quello che a nostro parere limita l'analisi è un'attenzione eccessiva dell'approccio per la logica dell'azione (cf. quadro logico-strumento finale e riassuntivo dell'analisi sul campo) e un interesse quasi esclusivo per il punto di vista di coloro che realizzeranno l'azione. La nostra riflessione proprone una totale trasformazione dei parametri su cui si basa la prospettiva classica: l'analisi dei processussi di cambiamento (in atto e/o a favorire attraverso l'intervento) dovrebbe essere, a nostro parere, prioritaria rispetto alla logica d'azione e il punto di vista dei beneficiari dovrebbe essere privilegiato a scapito di quello degli operatori. I beneficiari diventano quindi attori dell'analisi e il nostro centro d'interesse si sposterà dalla realtà oggettiva alla realtà costruita socialmente da questi soggetti (Soggetti sociali e non più beneficiari dell'azione). Come la comunità locale si rappresenta il problema, quali cause gli attribuisce, quali nuove pratiche ha attivato per fronteggiarlo e come organizza il proprio 'sistema di vita' sono degli elementi, per noi, fondamentali e pertanto da esplorare al fine di proporre un'azione d'aiuto che sia efficace, sostenibile e in equilibrio con la realtà costruita dalla communità . Ci siamo quindi ispirati alla teoria delle rappresentazioni sociali (RS) (Moscovici, 1961) e ai metodi per la loro esplorazione per definire una nuova procedura di analisi del contesto e del problema che prenda in considerazione questi elementi psico-sociali cruciali (Jodelet, 1984, 2003, 2005; Mannoni 1998; Rouquette & Rateau, 1998). Molteplici studi hanno mostrato e mostrano come l'approccio delle RS sia proficuo per lo studio dei cambiamenti delle cognizioni e dei comportamenti, elementi fortemente in gioco anche negli interventi di aiuto allo sviluppo. Le RS, strumenti culturali, produzioni identitarie (Breakwell, 2001) e risultato del sapere del senso comune ci sono sembrate una chiave di analisi interessante per esplorare gli aspetti rilevanti del nostro approccio e proporre una nuova pospettiva di analisi. Abbiamo quindi elaborato, ispirandoci ai lavori sulle RS, una procedura di raccolta ed analisi dei dati relativi al contesto e al problema che abbiamo chiamato PSAFA (Psycho Social Assessment for Field Analysis). La procedura PSAFA è stata testata nel Medio Atlante Marocchino in un progetto di lotta alla desertificazione e alla povertà promosso dall'associazione italiana GEA onlus (Studio 2). Lo studio ha mostrato la fattibilità sul campo di questo tipo d'analisi, la ricchezza e specificità dei risultati emersi e quindi il suo evidente valore applicativo. Dallo studio sul campo abbiamo definito un protocollo di analisi che permette agli psicologi impegnati nelle azioni di aiuto allo sviluppo, e formati a questa procedura, di contribuire alla fase di assessment attraverso un'indagine solida, precisa che prende in considerazione la componente psico-sociale del contesto e del problema. La procedura necessita ora di essere diffusa in modo adeguato (attraverso dei moduli formativi) nel settore dell'aiuto allo sviluppo per poter essere utilizzata, validata e perfezionata. Questa tesi ha cercato di mostrare, attraverso due lavori di ricerca, perché e come la psicologia sociale possa contribuire all'aiuto allo sviluppo mettendo a disposizione di questo nuovo settore applicativo i suoi modelli teorici ed i suoi metodi. I risultati ci sono sembrati interessati e capaci di aprire delle nuove piste di ricerca per la nostra disciplina. Questo nuovo percorso di ricerca mostra un chiaro valore pragmatico e sociale per le azioni di aiuto allo sviluppo, ma anche la sua fecondità teorica per lo sviluppo della ricerca in psicologia sociale.
L'apport de la psychologie sociale a l'aide internationale au developpement
Francesca, Corna
2010
Abstract
Il settore della cooperazione allo sviluppo, la cui nascita formale può essere associata ai gruppi volontari di soccorso ai soldati del fronte formatesi per la prima volta durante la Guerra di Crimea (1854-1855), è un settore in grande crescita, che negli ultimi 20 anni si è imposto con successo sulla scena internazionale dell'aiuto e dello sviluppo (Ryfman, 2004). Le organizzazioni non governative (ONG), che rappresentano uno degli attori principali di questo settore, sono ormai migliaia (Anheier, Marlies & Mary, 2001; Ryfman, 2004) e gestiscono progetti di aiuto in tutti i paesi del sud del mondo, in cui lo sviluppo economico-sociale necessita di un appoggio per la ripresa, minacciato dalla fame, dalla siccità , dalle epidemie o dai conflitti. I risultati sono spesso evidenti ed in molti casi sorprendenti. I finanziamenti indirizzati alle azioni per lo sviluppo gestiti dalle ONG sono aumentati considerevolmente negli ultimi 20 anni e oggi superano gli 11 miliardi di dollari (fonte OCSE). Nonostante i risultati positivi e molti esempi di interventi ben fatti e sostenibili, il settore ha fatto da sfondo anche a numerosi interventi mal gestiti, a volte eticamente discutibili, che hanno insinuato dubbi sul modo di agire del mondo della cooperazione. Una fase di revisione e di riflessione sul proprio operato sembra oggi necessaria per il mondo della cooperazione allo sviluppo. Anche se mal organizzato e spesso poco condiviso, il bisogno di tutto il settore di riflettere sulle proprie pratiche, sugli errori fatti e su come agire in modo più efficace e sostenibile è evidente e ben presente (Raimondi & Antonelli, 2001). I cooperanti si interrogano, le ONG iniziano ad organizzare giornate d'incontro e di scambio sulle procedure, ma un'analisi sistematica e corale ancora manca. Il lavoro di ricerca presentato in questa tesi si inserisce in questa fase di revisione del settore. Appoggiandoci alla psicologia sociale, ai suoi modelli teorici e ai suoi metodi abbiamo cercato di fornire delle risposte ad alcune delle domande sulle procedure e sull'operato dell'aiuto allo sviluppo. Fino ad oggi la psicologia e la psicologia sociale, in particolare, hanno poco approfondito questo settore applicativo che ci sembra invece poter beneficiare del loro contributo teorico. Attraverso due studi mostreremo i possibili ambiti in cui la nostra ricerca potrebbe essere fruttuosa. In particolare ci siamo concentrati su due aspetti chiave dell'intervento: gli operatori, motore dell'azione di aiuto e le procedure adottate. Il primo studio (Studio 1) che abbiamo realizzato con la collaborazione degli operatori della cooperazione indaga le loro motivazioni a impegnarsi in questo settore e gli effetti che questa esperienza ha prodotto sulle loro vite. Ad oggi, sono rari gli studi che si sono interessati ai cooperanti, per lo più sono di natura socio-demografica e risultano riduttivi nel descrivere questa categoria di professionisti. Inspirandoci agli studi, ben più numerosi, fatti sulle motivazioni e l'esperienza delle persone impegnate nel volontariato (Marta, Guglielmetti & Pozzi, 2006; Omoto & Snyder, 1995; Taylor & Pancer, 2007) e sui lavori di psicologia sul comportamento pro-sociale abbiamo strutturato uno studio che ha coinvolto 73 cooperanti e che ha permesso di identificare categorie di motivazioni e profili degli operatori che potranno essere in seguito gli elementi di base per ulteriori studi di approfondimento. Dai dati emerge un forte impegno morale del cooperante, ma anche personale e, in un secondo momento, professionale. La scelta di impegnarsi in questo settore nasce da un bisogno di aiutare gli altri (le motivazioni che fanno riferimento alla norma di responsabilità ed al sentimento di empatia emergono sulle altre), ma anche da un bisogno personale di fare una scelta lavorativa coerente con i propri valori (alcune motivazioni endo-centrate emergono anch'esse come principali). Il cooperante si sente bene a fare questo lavoro, si sente utile ed è rinforzato nella sua pratica dai risultati positivi; non ha paura ad ammetterlo. Con libertà associa la propria motivazione e soddisfazione nel fare questo lavoro anche al bisogno di viaggio, di avventura, di scoperta e di novità che ha. Infine emerge con evidenza la soddisfazione associata a questo lavoro che sembra ben corrispondere alle attese iniziali. Gli operatori, elementi chiave dell'azione umanitaria, si mostrano quindi dei professionisti preparati che svolgono il loro lavoro con passione ed impegno, ma sono poco valorizzati dalle proprie organizzazioni e non costituiscono ancora una fonte di riflessione e di analisi all'interno del settore per lo sviluppo. Questa può essere una delle nuove sfide del settore per il futuro. E proprio il fatto di essere un operatore del settore della cooperazione mi ha portato a rimettere in discussione alcune pratiche del mio operato e a identificare delle possibili nuove procedure, appoggiandomi ai modelli teorici della psicologia sociale. La seconda parte della tesi presenta la nostra riflessione teorica per l'integrazione, nella fase iniziale di analisi del contesto e del problema relativa ad un progetto, di una nuova procedura. Prioritaria, in ordine cronologico, questa fase è la chiave per la buona riuscita e la sostenibilità di tutta l'azione. L'approccio classico, diffuso e riconosciuto da tutte le organizzazioni, presenta strumenti e procedure d'analisi sistematici che consentono di organizzare le informazioni in modo chiaro e coerente. Ma quello che a nostro parere limita l'analisi è un'attenzione eccessiva dell'approccio per la logica dell'azione (cf. quadro logico-strumento finale e riassuntivo dell'analisi sul campo) e un interesse quasi esclusivo per il punto di vista di coloro che realizzeranno l'azione. La nostra riflessione proprone una totale trasformazione dei parametri su cui si basa la prospettiva classica: l'analisi dei processussi di cambiamento (in atto e/o a favorire attraverso l'intervento) dovrebbe essere, a nostro parere, prioritaria rispetto alla logica d'azione e il punto di vista dei beneficiari dovrebbe essere privilegiato a scapito di quello degli operatori. I beneficiari diventano quindi attori dell'analisi e il nostro centro d'interesse si sposterà dalla realtà oggettiva alla realtà costruita socialmente da questi soggetti (Soggetti sociali e non più beneficiari dell'azione). Come la comunità locale si rappresenta il problema, quali cause gli attribuisce, quali nuove pratiche ha attivato per fronteggiarlo e come organizza il proprio 'sistema di vita' sono degli elementi, per noi, fondamentali e pertanto da esplorare al fine di proporre un'azione d'aiuto che sia efficace, sostenibile e in equilibrio con la realtà costruita dalla communità . Ci siamo quindi ispirati alla teoria delle rappresentazioni sociali (RS) (Moscovici, 1961) e ai metodi per la loro esplorazione per definire una nuova procedura di analisi del contesto e del problema che prenda in considerazione questi elementi psico-sociali cruciali (Jodelet, 1984, 2003, 2005; Mannoni 1998; Rouquette & Rateau, 1998). Molteplici studi hanno mostrato e mostrano come l'approccio delle RS sia proficuo per lo studio dei cambiamenti delle cognizioni e dei comportamenti, elementi fortemente in gioco anche negli interventi di aiuto allo sviluppo. Le RS, strumenti culturali, produzioni identitarie (Breakwell, 2001) e risultato del sapere del senso comune ci sono sembrate una chiave di analisi interessante per esplorare gli aspetti rilevanti del nostro approccio e proporre una nuova pospettiva di analisi. Abbiamo quindi elaborato, ispirandoci ai lavori sulle RS, una procedura di raccolta ed analisi dei dati relativi al contesto e al problema che abbiamo chiamato PSAFA (Psycho Social Assessment for Field Analysis). La procedura PSAFA è stata testata nel Medio Atlante Marocchino in un progetto di lotta alla desertificazione e alla povertà promosso dall'associazione italiana GEA onlus (Studio 2). Lo studio ha mostrato la fattibilità sul campo di questo tipo d'analisi, la ricchezza e specificità dei risultati emersi e quindi il suo evidente valore applicativo. Dallo studio sul campo abbiamo definito un protocollo di analisi che permette agli psicologi impegnati nelle azioni di aiuto allo sviluppo, e formati a questa procedura, di contribuire alla fase di assessment attraverso un'indagine solida, precisa che prende in considerazione la componente psico-sociale del contesto e del problema. La procedura necessita ora di essere diffusa in modo adeguato (attraverso dei moduli formativi) nel settore dell'aiuto allo sviluppo per poter essere utilizzata, validata e perfezionata. Questa tesi ha cercato di mostrare, attraverso due lavori di ricerca, perché e come la psicologia sociale possa contribuire all'aiuto allo sviluppo mettendo a disposizione di questo nuovo settore applicativo i suoi modelli teorici ed i suoi metodi. I risultati ci sono sembrati interessati e capaci di aprire delle nuove piste di ricerca per la nostra disciplina. Questo nuovo percorso di ricerca mostra un chiaro valore pragmatico e sociale per le azioni di aiuto allo sviluppo, ma anche la sua fecondità teorica per lo sviluppo della ricerca in psicologia sociale.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/121388
URN:NBN:IT:UNIPD-121388