Il quarto libro dei Pontica ha un’importanza fondamentale all’interno dell’intera raccolta, per le tematiche affrontate e per la peculiarità delle riflessioni a cui il poeta approda in questa parte della raccolta, un unicum rispetto alla poesia precedente. L’ultimo commento al quarto libro è quello di di Helzle del 1989. Tale commento, in origine una tesi di dottorato, si limita a commentare le prime sette elegie del quarto libro e la sedicesima, tralasciando, di fatto, quella elegia, la ottava, che, a giusto titolo, da Galasso è stata definita un proemio al mezzo, perché un condensato sul ruolo e l’attività del poeta, e la nona, perfettamente armonizzata con l’elegia precedente in quanto piena esemplificazione della poesia celebrativa soltanto teorizzata nel precedente componimento e introduzione perfetta delle tematiche della seconda parte della raccolta. Il poeta, costretto lontano da Roma, non intende chiudersi nel proprio mondo ma tenta ogni strada possibile, concependo una poesia che venga incontro alle necessità dei destinatari a cui si rivolge. Ciò che può garantire è la gloria eterna, che nasce dal ricordo nella sua poesia. L’esule emarginato riorganizza, lontano da Roma, la sua realtà precedente, attraverso la poesia e la sua mente, surrogato della vista, che gli permette, egli spera, di partecipare come può agli eventi importanti della vita pubblica romana, come l’inizio del consolato di Grecino. Il nuovo modo di far poesia è dettato dalla particolare situazione dell’esiliato che necessita di appoggi. La figura del princeps e dell’ambiente di corte, dei membri dell’elite politica divengono una presenza invadente, ricompaiono le dediche personali e trasformano l’intimità dell’amicizia in deferenza clientelare. Talvolta sono state rivolte ad Ovidio accuse di piaggeria, Ovidio è stato talvolta definito il primo dei poeti cortigiani (si guardi Grimal, 1968). La poesia concepita in queste elegie ovidiane dà indubbiamente l’immagine di Ovidio poeta nuovo, che adopera spunti e materiali per la costruzione di un progetto poetico innovativo, che mostra un poeta spettatore e partecipe, protagonista quanto mai prima della poesia, rivendicatore di una posizione sociale che non gli appartiene più. La nuova poesia è costituita da carmi che troverebbero l’approvazione augustea, una poesia non tanto distante da Tristia e Pontica, più compatibile con la nuova realtà in cui il poeta è protagonista e partecipe, quella in cui rivendica con forza la propria appartenenza, una poesia che non può che essere la poesia d’occasione. Non è rintracciabile in questa nuova poesia una precisa ed esplicita volontà da parte di un destinatario, che quindi non è un committente, Ovidio non è un cliens. Del resto il nuovo genere poetico, la poesia d’occasione, trova spazio già precedentemente: è Ovidio stesso ad informarci in Pont. 1, 2, 129-132 di aver composto un epitalamio per le nozze di Paolo Fabio Massimo e in Pont. 1, 7, 29 ss. di aver composto in occasione della morte del padre di Messalino un carme recitato poi ai suoi funerali nel foro. Sebbene non se ne conservi traccia Ovidio svolgeva, dunque, attività di poeta d’occasione. L’irrigidirsi dei rapporti con il princeps, il sistema piramidale di rapporti e la progressiva creazione di un linguaggio formulare e adulatorio cliens patronus modificano radicalmente la poesia ovidiana e la poesia di omaggio personale diventano parte della sua opera. [a cura dell'autore]
Commento a Ov. Pont. 4, 8 e 4, 9
2014
Abstract
Il quarto libro dei Pontica ha un’importanza fondamentale all’interno dell’intera raccolta, per le tematiche affrontate e per la peculiarità delle riflessioni a cui il poeta approda in questa parte della raccolta, un unicum rispetto alla poesia precedente. L’ultimo commento al quarto libro è quello di di Helzle del 1989. Tale commento, in origine una tesi di dottorato, si limita a commentare le prime sette elegie del quarto libro e la sedicesima, tralasciando, di fatto, quella elegia, la ottava, che, a giusto titolo, da Galasso è stata definita un proemio al mezzo, perché un condensato sul ruolo e l’attività del poeta, e la nona, perfettamente armonizzata con l’elegia precedente in quanto piena esemplificazione della poesia celebrativa soltanto teorizzata nel precedente componimento e introduzione perfetta delle tematiche della seconda parte della raccolta. Il poeta, costretto lontano da Roma, non intende chiudersi nel proprio mondo ma tenta ogni strada possibile, concependo una poesia che venga incontro alle necessità dei destinatari a cui si rivolge. Ciò che può garantire è la gloria eterna, che nasce dal ricordo nella sua poesia. L’esule emarginato riorganizza, lontano da Roma, la sua realtà precedente, attraverso la poesia e la sua mente, surrogato della vista, che gli permette, egli spera, di partecipare come può agli eventi importanti della vita pubblica romana, come l’inizio del consolato di Grecino. Il nuovo modo di far poesia è dettato dalla particolare situazione dell’esiliato che necessita di appoggi. La figura del princeps e dell’ambiente di corte, dei membri dell’elite politica divengono una presenza invadente, ricompaiono le dediche personali e trasformano l’intimità dell’amicizia in deferenza clientelare. Talvolta sono state rivolte ad Ovidio accuse di piaggeria, Ovidio è stato talvolta definito il primo dei poeti cortigiani (si guardi Grimal, 1968). La poesia concepita in queste elegie ovidiane dà indubbiamente l’immagine di Ovidio poeta nuovo, che adopera spunti e materiali per la costruzione di un progetto poetico innovativo, che mostra un poeta spettatore e partecipe, protagonista quanto mai prima della poesia, rivendicatore di una posizione sociale che non gli appartiene più. La nuova poesia è costituita da carmi che troverebbero l’approvazione augustea, una poesia non tanto distante da Tristia e Pontica, più compatibile con la nuova realtà in cui il poeta è protagonista e partecipe, quella in cui rivendica con forza la propria appartenenza, una poesia che non può che essere la poesia d’occasione. Non è rintracciabile in questa nuova poesia una precisa ed esplicita volontà da parte di un destinatario, che quindi non è un committente, Ovidio non è un cliens. Del resto il nuovo genere poetico, la poesia d’occasione, trova spazio già precedentemente: è Ovidio stesso ad informarci in Pont. 1, 2, 129-132 di aver composto un epitalamio per le nozze di Paolo Fabio Massimo e in Pont. 1, 7, 29 ss. di aver composto in occasione della morte del padre di Messalino un carme recitato poi ai suoi funerali nel foro. Sebbene non se ne conservi traccia Ovidio svolgeva, dunque, attività di poeta d’occasione. L’irrigidirsi dei rapporti con il princeps, il sistema piramidale di rapporti e la progressiva creazione di un linguaggio formulare e adulatorio cliens patronus modificano radicalmente la poesia ovidiana e la poesia di omaggio personale diventano parte della sua opera. [a cura dell'autore]I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.
https://hdl.handle.net/20.500.14242/143712
URN:NBN:IT:UNISA-143712