Sempre più di frequente, i legislatori e i policy-makers fanno riferimento alla necessità di “aprire” i processi decisionali ai cittadini. In tale maniera, nel discorso dei rappresentanti politici, verrebbe riconosciuta ai destinatari delle norme giuridiche e delle policies la possibilità di divenire ‘co-autori’ di queste. Questa tendenza, direttamente legata agli scopi delle teorie deliberative della democrazia e agli strumenti della democrazia partecipativa, si manifesta nel ricorso alla consultazione pubblica quale strumento privilegiato nella costruzione dell’interazione tra istituzioni e società. Le norme che regolano l’utilizzo di strumenti deliberativo/partecipativi e le esperienze attuative hanno un carattere multiforme, essendo riconducibili a fonti giuridiche e documenti di vario genere (leggi ordinarie o regionali, decreti ministeriali, raccomandazioni, circolari, etc.), prodotti a diversi livelli di governo (da quello sovranazionale a quello locale, nel quadro dell’assetto costituzionale della forma di Stato territoriale e nel contesto istituzionale comunitario della c.d. ‘multilevel governance’). Lo sviluppo del presente lavoro di Tesi nasce dalla volontà di osservare e concettualizzare, mediante un’analisi delle principali tipologie di norme e interventi realizzati in tal senso (v. Cap. III, IV e V), le caratteristiche salienti dei tentativi di implementazione degli strumenti partecipativi nei processi decisionali dei vari livelli di governo. Nel condurre tale lavoro, lo sforzo dominante è stato principalmente orientato a comprendere se gli strumenti giuridici predisposti nelle norme consentono effettivamente (e non di meno efficacemente ed efficientemente) di creare condizioni ottimali per l’attivazione, la promozione e lo svolgimento delle consultazioni, e quindi del coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni (e nelle operazioni di gestione) della cosa pubblica. Sembra importante segnalare come gli strumenti di tipo partecipativo in seno ai procedimenti di produzione di norme e policies abbiano incontrato (e incontrino), nel contesto italiano, pervicaci resistenze nell’attuazione. In particolare, le criticità si addensano intorno all’attuazione a livello statale e a livello regionale, ove la consultazione è rimasta “impantanata” nelle maglie di ben determinati aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa, ricollegabili alla deriva partitocratica e a precise pratiche dei rappresentanti eletti (particolarmente abituati alla gestione diretta del consenso). Ne sono prova le vicende relative alla mancata attuazione delle analisi di impatto della regolamentazione (in tal senso viene offerta ricostruzione delle vicende governative e regionali, accompagnata da un case study su una sperimentazione condotta in Umbria). Si tratta di epifenomeni che non possono però costituire, da soli, una valida base di partenza per una critica alla partecipazione e verso gli strumenti di democrazia partecipativa: ciò perché il tentativo di implementare tali strumenti si è spesso realizzato sotto condizioni non ottimali, in contesti e attraverso procedure altamente esposte a effetti distorsivi (spesso determinati dalle refrattarietà proprie della cultura politica sottesa all’azione dei rappresentanti e degli amministratori, ma anche di natura fortemente operativa, per esempio nella selezione delle tecniche e degli strumenti utilizzati, etc.). Le crescenti critiche alla rappresentanza politica e alla pubblica amministrazione, seppur legittime come stimolo, non possono però scivolare in forme di banalizzazione. La crisi di fiducia rilevabile nei cittadini verso le istituzioni è un fenomeno complesso, che coinvolge elementi contestuali locali, nazionali e sovranazionali, ma difficilmente – nella maggioranza dei casi rilevabili nel contesto europeo – può dirsi scollegato dalla crisi economica che ha colpito l’economia europea e nordamericana nell’ultimo decennio. Nella sua fragilità, la democrazia ha bisogno di sviluppare istituti e strumenti giuridici “adattivi” per rispondere alle sfide che la contemporaneità pone al diritto e al costituzionalismo democratico. Gli strumenti deliberativo-partecipativi possono offrire un contributo nel rispondere a tali sfide, in primo luogo in virtù della loro capacità di connettere (di qui la portata adattiva) istituzioni e società civile, legislatori e cittadini, consentendo spazi di confronto pluralistico e orientato alla razionalizzazione dei bisogni (attraverso gli esiti della consultazione) e all’efficacia delle soluzioni (norme progettate in diretta connessione con i soggetti destinatari e con i contesti di attuazione). Essi, però, non sono solo parte di una possibile strategia di risposta alle sfide poste al costituzionalismo, ma la loro implementazione e la loro giuridicizzazione costituiscono esse stesse una sfida per il costituzionalismo: se, infatti, da un lato gli strumenti partecipativi possono essere pensati, per le ragioni dette, come una “nuova linfa” del costituzionalismo democratico, è pur vero che, per metterli concretamente a sistema, questo deve compiere uno sforzo per strutturare adeguate previsioni giuridiche che ne assicurino l’esercizio. In sostanza, il costituzionalista (o più in generale il giuspubblicista) deve chiedersi se e in quale modo l’ordinamento giuridico debba normare la partecipazione, oltrepassando il modello tradizionale della rappresentanza attraverso l’integrazione deliberativo-partecipativa. Nella prima parte del lavoro di tesi (Cap. I e II) l’attenzione si è concentrata sulla partecipazione come risposta alle sfide poste al costituzionalismo democratico, mentre nella seconda su come l’implementazione degli strumenti partecipativi sia essa stessa, tutt’ora, una sfida aperta (ciò vale a tutti i livelli di governo). Come pensare, dunque, un apporto pratico e operativo che renda le dinamiche rappresentative e amministrative capaci di riallinearsi, efficacemente e inclusivamente, con le persone e con i risultati (che dovrebbero costituire l’orizzonte delle norme e delle politiche pubbliche)? È dal livello locale che sembrano pervenire, attualmente, spunti per una risposta a questo quesito, grazie a nuove possibilità di ri-concepire (alla luce delle esperienze apprese a livello statale e soprattutto regionale) il ruolo della sperimentazione e della valutazione. Se il livello locale, infatti, aveva già mostrato timide - seppur significative - aperture verso gli strumenti partecipativi, è con il recente sviluppo di regolamenti sui beni comuni e sulla c.d. “amministrazione condivisa” che si è creato uno spazio fertile per un ripensamento - innovativo e concretamente spendibile - del ruolo della sperimentazione e della valutazione (soprattutto al fine di colmare la frattura tra istituzioni e cittadini). Il "rilancio della partecipazione" intimamente connesso alla diffusione dei regolamenti dell'amministrazione condivisa si pone, così, in un rapporto biunivoco e circolare con gli strumenti (primo tra tutti, con quello della consultazione) funzionali alla sperimentazione e alla valutazione. Dalle nuove fonti secondarie del livello locale è dunque possibile leggere l’opportunità di riconquistare la nozione originaria della sperimentazione (e di ri-elaborarla in seno alla valutazione) quale spazio flessibile e inclusivo, capace di liberare energie creative e saperi, oltre che di rendere ripetibili i modelli di azione che si rivelano, di volta in volta, i più proficui. È in questa ri-conquista e in questa ri-elaborazione che si gioca gran parte della concretizzazione di un nuovo ‘percorso dinamico’ (non solo della valutazione e della sperimentazione, ma della partecipazione stessa) capace di irradiarsi all’azione amministrativa tout court, innovando prassi, procedure e il rapporto tra amministratori/legislatori e cittadini, e catalizzando in senso cooperativo e collaborativo l’applicazione dei principi costituzionali del pluralismo, dell’uguaglianza sostanziale e della sussidiarietà.

PARTECIPAZIONE E PROCESSI DECISIONALI PUBBLICI: LA SFIDA ATTUALE DEL COSTITUZIONALISMO

2017

Abstract

Sempre più di frequente, i legislatori e i policy-makers fanno riferimento alla necessità di “aprire” i processi decisionali ai cittadini. In tale maniera, nel discorso dei rappresentanti politici, verrebbe riconosciuta ai destinatari delle norme giuridiche e delle policies la possibilità di divenire ‘co-autori’ di queste. Questa tendenza, direttamente legata agli scopi delle teorie deliberative della democrazia e agli strumenti della democrazia partecipativa, si manifesta nel ricorso alla consultazione pubblica quale strumento privilegiato nella costruzione dell’interazione tra istituzioni e società. Le norme che regolano l’utilizzo di strumenti deliberativo/partecipativi e le esperienze attuative hanno un carattere multiforme, essendo riconducibili a fonti giuridiche e documenti di vario genere (leggi ordinarie o regionali, decreti ministeriali, raccomandazioni, circolari, etc.), prodotti a diversi livelli di governo (da quello sovranazionale a quello locale, nel quadro dell’assetto costituzionale della forma di Stato territoriale e nel contesto istituzionale comunitario della c.d. ‘multilevel governance’). Lo sviluppo del presente lavoro di Tesi nasce dalla volontà di osservare e concettualizzare, mediante un’analisi delle principali tipologie di norme e interventi realizzati in tal senso (v. Cap. III, IV e V), le caratteristiche salienti dei tentativi di implementazione degli strumenti partecipativi nei processi decisionali dei vari livelli di governo. Nel condurre tale lavoro, lo sforzo dominante è stato principalmente orientato a comprendere se gli strumenti giuridici predisposti nelle norme consentono effettivamente (e non di meno efficacemente ed efficientemente) di creare condizioni ottimali per l’attivazione, la promozione e lo svolgimento delle consultazioni, e quindi del coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni (e nelle operazioni di gestione) della cosa pubblica. Sembra importante segnalare come gli strumenti di tipo partecipativo in seno ai procedimenti di produzione di norme e policies abbiano incontrato (e incontrino), nel contesto italiano, pervicaci resistenze nell’attuazione. In particolare, le criticità si addensano intorno all’attuazione a livello statale e a livello regionale, ove la consultazione è rimasta “impantanata” nelle maglie di ben determinati aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa, ricollegabili alla deriva partitocratica e a precise pratiche dei rappresentanti eletti (particolarmente abituati alla gestione diretta del consenso). Ne sono prova le vicende relative alla mancata attuazione delle analisi di impatto della regolamentazione (in tal senso viene offerta ricostruzione delle vicende governative e regionali, accompagnata da un case study su una sperimentazione condotta in Umbria). Si tratta di epifenomeni che non possono però costituire, da soli, una valida base di partenza per una critica alla partecipazione e verso gli strumenti di democrazia partecipativa: ciò perché il tentativo di implementare tali strumenti si è spesso realizzato sotto condizioni non ottimali, in contesti e attraverso procedure altamente esposte a effetti distorsivi (spesso determinati dalle refrattarietà proprie della cultura politica sottesa all’azione dei rappresentanti e degli amministratori, ma anche di natura fortemente operativa, per esempio nella selezione delle tecniche e degli strumenti utilizzati, etc.). Le crescenti critiche alla rappresentanza politica e alla pubblica amministrazione, seppur legittime come stimolo, non possono però scivolare in forme di banalizzazione. La crisi di fiducia rilevabile nei cittadini verso le istituzioni è un fenomeno complesso, che coinvolge elementi contestuali locali, nazionali e sovranazionali, ma difficilmente – nella maggioranza dei casi rilevabili nel contesto europeo – può dirsi scollegato dalla crisi economica che ha colpito l’economia europea e nordamericana nell’ultimo decennio. Nella sua fragilità, la democrazia ha bisogno di sviluppare istituti e strumenti giuridici “adattivi” per rispondere alle sfide che la contemporaneità pone al diritto e al costituzionalismo democratico. Gli strumenti deliberativo-partecipativi possono offrire un contributo nel rispondere a tali sfide, in primo luogo in virtù della loro capacità di connettere (di qui la portata adattiva) istituzioni e società civile, legislatori e cittadini, consentendo spazi di confronto pluralistico e orientato alla razionalizzazione dei bisogni (attraverso gli esiti della consultazione) e all’efficacia delle soluzioni (norme progettate in diretta connessione con i soggetti destinatari e con i contesti di attuazione). Essi, però, non sono solo parte di una possibile strategia di risposta alle sfide poste al costituzionalismo, ma la loro implementazione e la loro giuridicizzazione costituiscono esse stesse una sfida per il costituzionalismo: se, infatti, da un lato gli strumenti partecipativi possono essere pensati, per le ragioni dette, come una “nuova linfa” del costituzionalismo democratico, è pur vero che, per metterli concretamente a sistema, questo deve compiere uno sforzo per strutturare adeguate previsioni giuridiche che ne assicurino l’esercizio. In sostanza, il costituzionalista (o più in generale il giuspubblicista) deve chiedersi se e in quale modo l’ordinamento giuridico debba normare la partecipazione, oltrepassando il modello tradizionale della rappresentanza attraverso l’integrazione deliberativo-partecipativa. Nella prima parte del lavoro di tesi (Cap. I e II) l’attenzione si è concentrata sulla partecipazione come risposta alle sfide poste al costituzionalismo democratico, mentre nella seconda su come l’implementazione degli strumenti partecipativi sia essa stessa, tutt’ora, una sfida aperta (ciò vale a tutti i livelli di governo). Come pensare, dunque, un apporto pratico e operativo che renda le dinamiche rappresentative e amministrative capaci di riallinearsi, efficacemente e inclusivamente, con le persone e con i risultati (che dovrebbero costituire l’orizzonte delle norme e delle politiche pubbliche)? È dal livello locale che sembrano pervenire, attualmente, spunti per una risposta a questo quesito, grazie a nuove possibilità di ri-concepire (alla luce delle esperienze apprese a livello statale e soprattutto regionale) il ruolo della sperimentazione e della valutazione. Se il livello locale, infatti, aveva già mostrato timide - seppur significative - aperture verso gli strumenti partecipativi, è con il recente sviluppo di regolamenti sui beni comuni e sulla c.d. “amministrazione condivisa” che si è creato uno spazio fertile per un ripensamento - innovativo e concretamente spendibile - del ruolo della sperimentazione e della valutazione (soprattutto al fine di colmare la frattura tra istituzioni e cittadini). Il "rilancio della partecipazione" intimamente connesso alla diffusione dei regolamenti dell'amministrazione condivisa si pone, così, in un rapporto biunivoco e circolare con gli strumenti (primo tra tutti, con quello della consultazione) funzionali alla sperimentazione e alla valutazione. Dalle nuove fonti secondarie del livello locale è dunque possibile leggere l’opportunità di riconquistare la nozione originaria della sperimentazione (e di ri-elaborarla in seno alla valutazione) quale spazio flessibile e inclusivo, capace di liberare energie creative e saperi, oltre che di rendere ripetibili i modelli di azione che si rivelano, di volta in volta, i più proficui. È in questa ri-conquista e in questa ri-elaborazione che si gioca gran parte della concretizzazione di un nuovo ‘percorso dinamico’ (non solo della valutazione e della sperimentazione, ma della partecipazione stessa) capace di irradiarsi all’azione amministrativa tout court, innovando prassi, procedure e il rapporto tra amministratori/legislatori e cittadini, e catalizzando in senso cooperativo e collaborativo l’applicazione dei principi costituzionali del pluralismo, dell’uguaglianza sostanziale e della sussidiarietà.
2017
Italiano
Università degli Studi di Macerata
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/144380
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIMC-144380