Il lavoro di tesi ha ad oggetto l’analisi del potere di segregazione concesso ai privati e dei relativi limiti posti all’autonomia privata dagli artt. 2740 e 2741 c.c., con contestuale approfondimento dell’istituto degli atti di destinazione ex art. 2645 ter in relazione ai recenti orientamenti di dottrina e giurisprudenza. L’indagine teorica condotta si è incentrata, in primis, sulla nozione e sulla funzione degli atti di destinazione, in virtù dei quali un soggetto, definito “conferente”, può sottrarre uno o più “beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri” appartenenti al suo patrimonio alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati. Alla luce dell’analisi svolta, ben può affermarsi che attorno a questi cardini si strutturino le grandi direttrici delle questioni più problematiche della normativa in parola. Al riguardo, tra le questioni giuridiche di maggiore problematicità si pongono il tema del significato del termine “destinazione”, il rapporto tra la liceità e la meritevolezza dell’interesse perseguito, le ricadute sul piano della validità e dell’opponibilità ai terzi, gli aspetti redazionali, nonché l’attuazione dell’interesse perseguito. Al riguardo, si è constatato come in assenza di un dato normativo certo, le difficoltà incontrate dalla dottrina nell’esprimere posizioni dotate di un certo grado di stabilità, hanno influenzato in modo determinante l’orientamento delle corti che, in mancanza di una griglia concettuale entro cui elaborare i rapporti tra atti di destinazione, vincoli all’autonomia patrimoniale e il principio di tassatività dei diritti reali hanno proceduto secondo propri percorsi alla predisposizione di regole e modelli giudiziali da seguire, talvolta procedendo in modo più restrittivo, talaltra in modo estensivo. La circolazione di tali regole e di tali modelli, affidata alla forma e ai limiti dei precedenti giurisprudenziali costituisce un dato estremamente significativo a disposizione dell’interprete, onde la ricognizione effettuatane nel lavoro di tesi ha evidenziato, oltre alle numerose aporie che la materia esibisce nelle sue applicazioni pratiche, anche i problemi più rilevanti sui quali si è soffermata la riflessione teorica. Ciò che si è dedotto, nel complesso, è che l’intenzione del legislatore sottesa all’emanazione dell’art. 2645 ter c.c., con riguardo al tenore letterale della norma stessa, infatti, sembra quello di non aver voluto introdurre nel nostro ordinamento l’istituto del trust, proveniente dai Paesi di common law, bensì qualcosa di diverso. Da un confronto, anche sommario, tra le due figure giuridiche emergono, infatti, numerose differenze sostanziali non trascurabili, ma che non esclude, tuttavia, che, in casi particolari, i due istituti possano presentare caratteristiche talmente simili da divenire pressoché equiparabili. In ogni caso, il dato letterale nonché l’impostazione semantica complessivamente considerata dalla disposizione in parola, lascia rilevare come la norma rappresenti null’altro che il punto terminale di un particolare percorso evolutivo della nozione (tradizionalmente unitaria) di patrimonio del soggetto, cui è possibile fare riferimento. A partire dagli anni novanta, infatti, il nostro legislatore nazionale, nell’interesse del credito e dell’economia ha moltiplicato, in senso esponenziale, il ricorso a forme di separazione patrimoniale e di specializzazione della responsabilità patrimoniale. Al riguardo è sufficiente ricordare la peculiare disciplina dei fondi comuni di investimento, mobiliari e immobiliari, nel cui ambito la nitida separazione tra il fondo, il patrimonio della società di gestione del risparmio ed il patrimonio di ciascun partecipante, è diretta ad incentivare l’investimento da parte dei risparmiatori, nell’esigenza di favorire la crescita dei mercati di riferimento. Si è riscontrato, in definitiva, come l’ordinamento sia passato da un impianto normativo che ha condiviso, sin dalla sua elaborazione concettuale di inizio ottocento, il corollario del principio della necessaria unità del patrimonio del soggetto, all’idea della scomposizione di tale unità nella sua destinazione a garanzia dei creditori in una pluralità di regimi patrimoniali e in una “articolazione” dello stesso patrimonio da considerare in relazione al fenomeno giuridico della personificazione del titolare. Dall’analisi svolta, non v’è chi non veda, dunque, come, nonostante le perplessità di cui si è argomentato in ordine al dato letterale dell’art. 2645 ter c.c., la prassi dimostri la sua importanza al fine di soddisfare la necessità diffusamente avvertita di creazione di modelli giuridici che siano in grado di essere al passo con il mercato economico e con le sue esigenze, anche a tutela di superiori interessi, ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico.

Potere di segregazione e limiti posti all'autonomia privata dagli artt. 2740 e 2741 cc. e atti di destinazione ex art. 2645 ter cc.

2014

Abstract

Il lavoro di tesi ha ad oggetto l’analisi del potere di segregazione concesso ai privati e dei relativi limiti posti all’autonomia privata dagli artt. 2740 e 2741 c.c., con contestuale approfondimento dell’istituto degli atti di destinazione ex art. 2645 ter in relazione ai recenti orientamenti di dottrina e giurisprudenza. L’indagine teorica condotta si è incentrata, in primis, sulla nozione e sulla funzione degli atti di destinazione, in virtù dei quali un soggetto, definito “conferente”, può sottrarre uno o più “beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri” appartenenti al suo patrimonio alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati. Alla luce dell’analisi svolta, ben può affermarsi che attorno a questi cardini si strutturino le grandi direttrici delle questioni più problematiche della normativa in parola. Al riguardo, tra le questioni giuridiche di maggiore problematicità si pongono il tema del significato del termine “destinazione”, il rapporto tra la liceità e la meritevolezza dell’interesse perseguito, le ricadute sul piano della validità e dell’opponibilità ai terzi, gli aspetti redazionali, nonché l’attuazione dell’interesse perseguito. Al riguardo, si è constatato come in assenza di un dato normativo certo, le difficoltà incontrate dalla dottrina nell’esprimere posizioni dotate di un certo grado di stabilità, hanno influenzato in modo determinante l’orientamento delle corti che, in mancanza di una griglia concettuale entro cui elaborare i rapporti tra atti di destinazione, vincoli all’autonomia patrimoniale e il principio di tassatività dei diritti reali hanno proceduto secondo propri percorsi alla predisposizione di regole e modelli giudiziali da seguire, talvolta procedendo in modo più restrittivo, talaltra in modo estensivo. La circolazione di tali regole e di tali modelli, affidata alla forma e ai limiti dei precedenti giurisprudenziali costituisce un dato estremamente significativo a disposizione dell’interprete, onde la ricognizione effettuatane nel lavoro di tesi ha evidenziato, oltre alle numerose aporie che la materia esibisce nelle sue applicazioni pratiche, anche i problemi più rilevanti sui quali si è soffermata la riflessione teorica. Ciò che si è dedotto, nel complesso, è che l’intenzione del legislatore sottesa all’emanazione dell’art. 2645 ter c.c., con riguardo al tenore letterale della norma stessa, infatti, sembra quello di non aver voluto introdurre nel nostro ordinamento l’istituto del trust, proveniente dai Paesi di common law, bensì qualcosa di diverso. Da un confronto, anche sommario, tra le due figure giuridiche emergono, infatti, numerose differenze sostanziali non trascurabili, ma che non esclude, tuttavia, che, in casi particolari, i due istituti possano presentare caratteristiche talmente simili da divenire pressoché equiparabili. In ogni caso, il dato letterale nonché l’impostazione semantica complessivamente considerata dalla disposizione in parola, lascia rilevare come la norma rappresenti null’altro che il punto terminale di un particolare percorso evolutivo della nozione (tradizionalmente unitaria) di patrimonio del soggetto, cui è possibile fare riferimento. A partire dagli anni novanta, infatti, il nostro legislatore nazionale, nell’interesse del credito e dell’economia ha moltiplicato, in senso esponenziale, il ricorso a forme di separazione patrimoniale e di specializzazione della responsabilità patrimoniale. Al riguardo è sufficiente ricordare la peculiare disciplina dei fondi comuni di investimento, mobiliari e immobiliari, nel cui ambito la nitida separazione tra il fondo, il patrimonio della società di gestione del risparmio ed il patrimonio di ciascun partecipante, è diretta ad incentivare l’investimento da parte dei risparmiatori, nell’esigenza di favorire la crescita dei mercati di riferimento. Si è riscontrato, in definitiva, come l’ordinamento sia passato da un impianto normativo che ha condiviso, sin dalla sua elaborazione concettuale di inizio ottocento, il corollario del principio della necessaria unità del patrimonio del soggetto, all’idea della scomposizione di tale unità nella sua destinazione a garanzia dei creditori in una pluralità di regimi patrimoniali e in una “articolazione” dello stesso patrimonio da considerare in relazione al fenomeno giuridico della personificazione del titolare. Dall’analisi svolta, non v’è chi non veda, dunque, come, nonostante le perplessità di cui si è argomentato in ordine al dato letterale dell’art. 2645 ter c.c., la prassi dimostri la sua importanza al fine di soddisfare la necessità diffusamente avvertita di creazione di modelli giuridici che siano in grado di essere al passo con il mercato economico e con le sue esigenze, anche a tutela di superiori interessi, ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico.
2014
Italiano
Università degli Studi di Macerata
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/149951
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