“RISING ISSUES” significa “questioni emergenti” o “problemi in crescita”. Questo titolo, oltre al gioco di parole con il tema principale della ricerca, ossia il sea level RISE, rende subito evidente che la tesi tratta argomenti e temi estremamente attuali e sempre più emergenti nel panorama della ricerca mondiale. Infatti, le questioni legate all’innalzamento del livello del mare a causa del cambiamento climatico sono sempre più rilevanti e urgenti in molte discipline. La tesi mira a esaminare questo fenomeno in dettaglio, così da raggiungere una profonda comprensione dello stesso, per affrontare consapevolmente le sfide ad esso associate, cercando soluzioni e strategie di adattamento. “RAISING ISSUES”, invece, significa “sollevare questioni” o “portare alla luce problematiche”. Questa doppia interpretazione del titolo indica che lo scopo della ricerca è anche, e soprattutto, quello di sollevare e mettere in evidenza le questioni legate all’innalzamento del livello del mare e ai suoi impatti in maniera critica, aprendo una discussione scientifica ed indagando il ruolo che l’architettura può avere in questo scenario. La ricerca è, quindi, un tentativo per stimolare la discussione, attirare l’attenzione su determinati temi e promuovere una maggiore consapevolezza su tali questioni, con l’intento di identificare soluzioni adeguate. La tesi muove da un obiettivo esplicito: esplorare strumenti innovativi per impegnare le pratiche contemporanee di architettura, ingegneria, paesaggio e pianificazione urbana nella ricerca di una modalità “reattiva” alle questioni poste dai cambiamenti climatici e dalle altre urgenze spaziali del nostro tempo. Per “modalità reattiva” si intende quella nella quale il ricercatore seleziona dalla produzione passata, recente o in corso ciò che ritiene meriti una contestualizzazione più ampia e un approfondimento maggiore, a fronte di un legame forte con strutture disciplinari consolidate come quelle dell’architettura. Il metodo prevede uno sforzo per estendere i confini di saperi e discipline consolidati in direzione di nuove domande e nuovi limiti sperimentali, alla ricerca di risposte adeguate. La novità, rispetto all’approccio tradizionale a una ricerca di dottorato, è il mix di sapere ed “impegno”, indirizzato alla costruzione di una teoria molto vicina all’azione progettuale. Protagonista centrale della ricerca è l’acqua, o meglio ancora, sono gli oceani, intesi come un materiale “alieno” eppure dominante nel nostro pianeta. Quando osserviamo il mare, scopriamo che la trasparenza che gli attribuiamo non è che un primo, superficiale, strato di conoscenza, dentro il quale si nascondono “oceani” (appunto) di complessità e diversità: esso è saturo di inimmaginabile e inconoscibile. Quando studiamo i sistemi oceanici, dobbiamo fare a meno di un riferimento essenziale della nostra conoscenza “sensibile”: la gravità; o almeno la gravità così come la percepiamo quando siamo su “terra” e sulla quale il nostro sensorio fa affidamento. L’acqua ha un effetto profondo sui nostri sensi e sulla nostra coscienza. Se vi ci immergiamo, il nostro corpo si intorpidisce, i nostri occhi perdono luce e profondità, il nostro senso del tatto è ridotto, il nostro olfatto è insussistente, il nostro cervello e il nostro cuore rallentano per proteggerci. Tuttavia, i nostri corpi ricordano accenni di connessione ancestrali con il mare risalenti al nostro lontano passato: non appena le nostre narici si bagnano, il nostro organismo ha un riflesso di immersione che lo ottimizza per adattarsi a periodi di immersione più lunghi, ossigenando e concentrando il sangue negli organi vitali. Eppure, anche con queste memorie evolutive, quando si tratta dei sistemi oceanici, non possiamo coltivare lo stesso grado di intuizione fisiologica che abbiamo con i sistemi terrestri. Prima che inizi il processo di esplorazione dell’oceano, il mezzo idrico stesso modella il modo in cui ci relazioniamo con esso. La fisica dell’oceano è del tutto diversa dal regno terrestre: la struttura molecolare dell’acqua agisce come una sorta di filtro che consente il passaggio solo di alcune molecole. Le proprietà coesive delle molecole d’acqua forniscono un tessuto connettivo fisico che trattiene, spinge, tira, invia ed è sempre toccante, che dona tattilità e sostegno ai suoi abitanti. Possiamo vedere queste connessioni tra entità materiali, che sulla terra sarebbero invisibili; i nostri occhi possono rilevare i minuscoli vortici e le correnti che escono da un pesce che nuota e, se rimuovessimo una medusa dall’acqua, crollerebbe in qualcosa di senza vita. Quella contestualizzazione implicita degli organismi nel loro ambiente rende più facili da immaginare le interconnessioni tra tutte le cose, quando separarle cancella così chiaramente la loro coerenza. È un promemoria costante che sta avvenendo un importante scambio, avanti e indietro nel tempo e attraverso lo spazio, tra entità viventi e non viventi. Molte caratteristiche geologiche della Terra sono contigue dall’aria al mare, intercambiandosi nei punti in cui si toccano. Si possono immaginare i due mondi giustapposti l’uno sull’altro: un’atmosfera gassosa e leggera in cima a un’idrosfera fluida e densa, separate dal confine semipermeabile dell’interfaccia aria- mare, che consente a queste due dimensioni di condividere informazioni. La comprensione di questi indizi sull’incertezza sensoriale dei mari, l’apprendimento della comunicazione contestuale tra tutte le cose e l’importanza di confini leggermente permissivi ispira l’approccio olistico che è alla base della scienza dei sistemi complessi. L’oceano è un sensorio: registra le trasformazioni della Terra nelle sue complesse dinamiche e inscrive i propri cicli nelle forme della vita. Oggi, l’oceano globale sta cambiando rapidamente le sue circolazioni, composizioni, interazioni, dimensioni ed ecologie a causa dell’intensificazione delle attività umane. L’oceano è la componente più dinamica e sensibile del nostro pianeta vivente, eppure la più sconosciuta ed ora è in una nuova fase della sua storia non lineare, plasmata dall’intensificarsi dell’impatto delle attività umane sul Sistema Terra, ossia dall’Antropocene. L’oceano sta subendo un’importante serie di trasformazioni, dovute al passaggio millenario da un lungo periodo di relativa stabilità climatica ad una precarietà improvvisa e sta entrando in una nuova fase della storia planetaria. Questa mutazione è un evento non lineare modellato da una molteplicità di forze che altera relazioni consolidate da tempo. Come reagire a queste trasformazioni? Come dar loro un senso? Come registrarle e riarticolarle? Come plasmare le politiche e le culture che possono coesistere con l’oceano? Come pensare da e con l’oceano? Il livello globale dei mari si sta innalzando. Le acque scure che trasportano particelle organiche sospese scorrono dalla tundra in scioglimento nell’Oceano Artico. Stagni e ruscelli blu brillante si stanno formando rapidamente sulla calotta glaciale della Groenlandia. I monti di ghiaccio dell’Himalaya si stanno sciogliendo e stanno rimodellando i laghi dell’altopiano tibetano e le ondeggianti baie di India, Pakistan e Bangladesh. I delta dei fiumi circum-himalayani stanno cambiando. I ghiacciai incontrano correnti calde e si stanno sciogliendo. Il ghiaccio marino nell’Artico sta entrando nei suoi ultimi decenni. Il permafrost delle Alpi si sta sciogliendo più velocemente di quanto impieghiamo ad iniziare a discutere seriamente su come percepirlo. Grandi iceberg si stanno staccando al largo delle coste dell’Antartide. Le acque riscaldate dell’oceano si stanno espandendo. L’aumento delle tempeste sta colpendo i territori, con la loro intensità sempre più forte e più vicina alle coste. I delta si stanno rapidamente erodendo. Le nazioni insulari dell’Oceano Pacifico e Indiano stanno affrontando direttamente le conseguenze dei nuovi orizzonti in espansione. Quello che qualche anno fa sembrava essere un futuro lontano è oggi imminente, o è già successo. Nulla è immune al “virus” della crisi climatica ed ecologica. È una condizione che avvicina una molteplicità di attori diversi e rende urgente un nuovo grado di consapevolezza; necessaria per mediare tra nuove attitudini e vecchi modi di essere; valori e aspirazioni diverse; rischi e desideri. Sintesi estrema e semplificata di queste frizioni, la possibilità di dover ridisegnare “velocemente” i punti di contatto tra terra e mare, vale a dire le coste, alla ricerca di un dialogo possibile con la natura. La catastrofe, se di questo si tratta, è un fenomeno silenzioso e progressivo, che di tanto in tanto, in realtà sempre più spesso, accelera e si accende, provocando eventi violenti e distruttivi. Il sistema globale degli oceani sta subendo un’importante serie di trasformazioni: la condizione cui ci si riferisce in genere come “Antropocene” rappresenta in realtà la presa di coscienza di un cambiamento netto nel rapporto tra “mondo” e terra, tra la vita e l’ambiente che la contiene, e l’entrata in un periodo di instabilità. Le molteplici trasformazioni dell’oceano sono percepite e indagate in un molti modi diversi, ciascuno sviluppato mobilitando conoscenze e competenze specifiche, facendo riferimento a logiche diverse, immaginari diversi e strumenti diversi. Le trasformazioni dell’oceano sono parzialmente note, comprese, indagate. Senza cornice, discontinuo, asincrono: l’oceano è la componente più dinamica e sensibile del pianeta. Alterato dall’intensificazione dell’attività umana di trasformazione e colonizzazione, sembra essere entrato in una nuova fase della sua storia dinamica, plasmata dall’intensificazione dell’impatto delle attività umane sui sistemi planetari. Con l’innalzamento del livello del mare, la costa si sposterà di centinaia, persino migliaia di metri nell’entroterra, cambiando la geografia dei luoghi, distruggendo l’habitat delle comunità costiere. Gli impatti economici saranno mastodontici e il cambiamento durerà per secoli, fino a raggiungere un livello del mare globale pari a molte decine di metri più in alto di dove si trova ora. Sarà la prima volta che ciò accade in più di 100.000 anni e sta accadendo a causa dell’azione umana, la quale sconvolge equilibri di lunga data. Per la nostra sopravvivenza, non possiamo permetterci di non conoscere cosa causa e cosa comporta il riscaldamento globale. Parlare di cambiamento climatico, fino a pochi decenni fa, era un esercizio riservato ai visionari; oggi è invece una pratica (che almeno dovrebbe essere) quotidiana, un’impellenza vitale che riguarda il cittadino comune e le istituzioni a tutti i livelli. Se da un lato le possibili cause di questa allarmante prospettiva sono molto dibattute, soprattutto l’incidenza del fattore antropico, dall’altro i dati rilevati in questi decenni sono poco discutibili, anche perché frutto di indagini condotte dai massimi centri di ricerca internazionale, come l’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico. Il livello del mare è l’interfaccia tra l’oceano e il cielo. È il riferimento fisso assoluto sia dell’altitudine terrestre che delle profondità marine. Essendo una superficie in continuo movimento, influenzata dalla luna, dalle maree, dalla salinità, dalle differenze gravitazionali locali, dalla pressione atmosferica, dalla densità e dalla temperatura dell’acqua, dalle tempeste e dalla circolazione locale del mare e da molti altri fattori, è attraverso il calcolo del livello medio in tutte le fasi della marea che il livello del mare si trasforma nella base definitiva per il rilevamento e la misurazione. Molti aspetti delle scienze della terra richiedono la conoscenza delle variazioni del livello del mare e la comprensione della dinamica del volume del ghiaccio attraverso i cicli glaciali, nonché delle variazioni a breve termine del livello medio globale del mare. Quest’ultimo è un modello complesso che combina una molteplicità di osservazioni, indicatori di marea, radiazioni radar trasmesse da satelliti, boe e stazioni di osservazione fisse. È un modello che deve prendere in considerazione il movimento del terreno, le lacune nei dati, l’assenza di dati, la calibrazione e la sincronizzazione. È un modello che opera attraverso una molteplicità di istituzioni, laboratori, supercomputer, burocrazie e processi intergovernativi. Non solo la superficie dell’oceano è costantemente in movimento, ma il livello medio globale del mare è anche una misura dinamica, con variazioni legate alla tecnologia e alla disponibilità di osservazioni, con elevata variabilità e scarso consenso tra gli scienziati. Il livello del mare varia nel tempo, sia per brevi periodi che per la durata di lunghe epoche, ere ed eoni geologici. Il livello medio globale del mare viene misurato attraverso le complesse opere di documentazione storica, archeologia, paleontologia e paleogeografia, stratigrafia e modelli computazionali. L’incertezza, anche nel breve periodo della memoria del genere umano, è molto alta: la velocità con cui il livello del mare è salito nel corso del XX secolo è ricostruita in un range compreso tra 1,3-2 millimetri l’anno. Il livello del mare si sta alzando per due ragioni principali: il riscaldamento dell’oceano è misurabile fino a centinaia di metri di profondità e, come qualsiasi fluido, l’acqua si espande quando viene riscaldata; inoltre, le vette delle montagne e le terre polari sono ricoperte di ghiaccio, che si sta anch’esso scaldando, sciogliendo e, alla fine del suo percorso, riversando nell’oceano, alzando ulteriormente il livello del mare. La Terra si è già riscaldata di circa 0,8°C negli ultimi 150 anni ed un ulteriore riscaldamento è ormai considerato inevitabile poiché gli oceani si riscaldano lentamente, rimanendo indietro rispetto alla temperatura dettata dai gas già emessi. Il livello del mare è già aumentato di circa 15-20 cm e le proiezioni dell’innalzamento del livello del mare in questo secolo dipendono dalla quantità di gas aggiuntivo che emettiamo prima di arginare il problema. Le stime arrivano fino a circa 1 metro o più, ma sono incerte e potrebbero essere sottostimate a causa della nostra incapacità di prevedere con precisione la risposta delle calotte polari al riscaldamento. La maggior parte della popolazione umana vive a meno di un centinaio di chilometri dalla linea di costa e molte persone sono raggruppate nelle città. Un pregio delle città costiere è che possono ospitare un gran numero di residenti in prossimità di risorse, come i porti, dove possono lavorare in modo efficiente, spostando merci e servizi in tutto il mondo; tuttavia, tali conglomerati urbani svolgono questo compito domando la costa, sostituendo la spiaggia e le zone umide con cemento e costruendo fino al bordo dell’acqua. Questa loro infrastruttura rigida le rende particolarmente vulnerabili all’innalzamento del livello del mare; questa sarà una delle ragioni per le quali le aree urbane costiere diverranno particolarmente inadatte alla sopravvivenza in un mondo che si sta riscaldando, se non saranno preventivamente rese resilienti attraverso progetti adattivi e piani protettivi. Tra i molti aspetti del cambiamento climatico, anche il solo fenomeno dell’innalzamento del livello del mare è (o meglio, dovrebbe essere) sufficientemente allarmante da attirare l’attenzione di singoli individui ed istituzioni; invece, al di fuori dei circoli di geologi e oceanografi, è poca la consapevolezza sulla portata della minaccia profonda e permanente del sea level rise . Questa ricerca si muove nella consapevolezza dell’importanza di comprendere l’impatto dell’innalzamento dei mari. Esso, aggravato dalla crescente concentrazione di popolazione, città e preziose infrastrutture sulle coste di tutto il mondo, rende questo lavoro di ricerca ancora più urgente nel campo specifico dell’architettura e del contributo che può dare nel contrasto ai fenomeni dannosi. Come risulta evidente, uno dei più gravi problemi è la non sufficiente consapevolezza delle comunità scientifiche, delle istituzioni e degli individui. L’ignoranza, la disinformazione intenzionale e la mancanza di leadership giocano certamente un ruolo cruciale nel determinare questa “distrazione” dei cittadini rispetto al rischio che incombe sulla loro testa (o meglio “terra”). Inoltre, la scala temporale e quella spaziale dei fenomeni in oggetto sono estremamente dilatate rispetto a quelle con le quali siamo abituati a rapportarci. L’occhio umano non è allenato ad accorgersi di cambiamenti di questo genere e della gravità di variazioni che ci appaiono piccole e di impatto limitato. Difficile, tanto per fare un esempio, far si che la stragrande maggioranza della popolazione percepisca la presenza (ancora prima della crisi) delle calotte glaciali, almeno per chi non vive in Groenlandia. Tale conoscenza sensibile andrebbe ovviamente compensata dalla comunicazione scientifica, che però incontra le resistenze e le difficoltà che conosciamo nel tessuto sociale e politico delle nostre comunità. Sia per le conseguenze che ci imporrebbe di trarre, sia per la difficoltà di traslare dati e previsioni dall’ambito della conoscenza a quello dell’esperienza soggettiva, sia per la difficoltà di traslare la conoscenza dalla scala globale a quella del singolo individuo. Il rischio, quasi inevitabile, è che gli abitanti delle regioni costiere debbano accorgersi all’improvviso di fenomeni che la geologia e l’oceanografia annunciano da decenni: l’innalzamento del livello del mare avrà impatti potenzialmente catastrofici e di vasta portata per molte generazioni. L’errore che molti di noi stanno facendo è concentrare l’attenzione sull’accuratezza delle previsioni a breve termine, poiché il livello del mare potrebbe continuare ad aumentare per ancora un millennio. Questo implica conseguenze di carattere etico. È necessario iniziare rapidamente ad ampliare la portata della nostra risposta oltre ciò che è politicamente e finanziariamente opportuno. Lo scenario è di certo poco rassicurante, ma qualità e durata – che comunque non sarà infinita – della sopravvivenza della nostra specie sono strettamente legate alla capacità di adattamento che dimostriamo ora. Questa ricerca approfondisce la complicata relazione attuale tra la specie umana e il sistema oceanico in trasformazione, focalizzandosi sulla scala del progetto architettonico e del suo rapporto con un territorio in trasformazione. È necessario ragionare in maniera alternativa, interiorizzare un atteggiamento proattivo, costruire processi e competenze attorno ad un pensiero integrato. È centrale per il futuro del pianeta: riguarda il modo in cui ci si avvicina alla fine del XXI secolo e si pensa alla capacità di essere resilienti, la possibilità di fallire in sicurezza, la maggiore consapevolezza e l’abilità di essere in grado di apportare cambiamenti adattivi reali. Sono necessarie azioni e piani fattibili per affrontare le sfide che il climate change impone ai nostri tempi. La ricerca si divide in tre parti principali: la prima raccoglie quanta più informazione e conoscenza esistente sul fenomeno. Sappiamo che il dibattito pubblico sul cambiamento climatico è spesso caratterizzato da fraintendimenti, quando non da conclusioni errate. Il più delle volte risulta difficile distinguere tra argomenti scientificamente provati e pura disinformazione. Le stesse pubblicazioni scientifiche usano linguaggi e nozioni molto tecniche, non alla portata di tutti. Altre, invece, si concentrano su singoli aspetti rendendo più difficile la percezione dell’insieme dei problemi maggiori e rischiando di semplificare e banalizzare eccessivamente questo fenomeno complesso. Quali sono le ragioni reali del cambiamento climatico? E in che misura l’uomo partecipa al riscaldamento globale? Qual è l’impatto del climate change sulla nostra salute? Cosa accadrà in futuro? Dopo un lavoro di lettura e revisione dello “stato dell’arte” il lavoro prosegue con un’analisi dei dati scientifici ufficiali, in particolar modo quelli legati al fenomeno dell’innalzamento del livello dei mari. Nella prima parte, quindi, si opera un tentativo di ricomposizione della scienza attuale sui fatti e le tendenze che interessano i cambiamenti climatici dei nostri mari, cercando di renderli compatibili con l’approccio e il linguaggio degli architetti, non necessariamente i più veloci a reagire a questioni del genere. I climatologi collocano a 150 anni fa il momento in cui la risalita delle acque ha subito un’accelerazione, data che coincide con l’inizio della rivoluzione industriale, e prevedono che, in correlazione all’aumento progressivo della temperatura media globale, allo scioglimento delle masse glaciali ed ai movimenti verticali lungo le coste, come la subsidenza, l’aumento del livello dell’acqua nel 2100 sarà compreso tra i 62 ed i 183cm. Dopo la lettura geografica e spaziale dell’effettivo impatto globale del fenomeno, visualizzandolo in diverse città del mondo, nella seconda parte la ricerca si pone due domande: l’architettura sta dando delle risposte in relazione all’imminente innalzamento del livello dei mari? Qual è il ruolo di questa disciplina in rapporto alla complessità, dovuta alla loro dilatata scala spazio-temporale, dei cambiamenti del sistema terrestre? Il tema è chiaramente un argomento interdisciplinare, ma, a partire da questa parte, la ricerca si concentra sull’architettura e sulla progettazione, in quanto questo è il vero focus del lavoro di ricerca. Vengono raccolti tutti i materiali rispetto alla possibilità di “agire” e di dare delle risposte al problema: si indagano quelle che sono già state le risposte progettuali al fenomeno dell’innalzamento del livello del mare. Infine, raccolto un numero rilevante di casi- studio progettuali in quello che si può definire un “catalogo ragionato”, si è tentato di costruirne una tassonomia, raccogliendoli secondo criteri ontologici e operativi. La prima discriminante in questa catalogazione ha riguardato l’approccio strategico adottato, che in genere divide le agency in due famiglie: preventiva e adattiva. L’approccio preventivo, che comprende le risposte che vengono date a livello politico o tecnologico per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per la riduzione di emissione di CO 2, è coerente ai fini della ricerca in quanto coinvolge le decisioni politiche delle singole città e impone scelte progettuali sostenibili che modificano il modo di concepire la pianificazione e l’architettura, anche solo attraverso richieste di miglioramento della sostenibilità energetica degli edifici. Invece, le strategie protettive/adattive – ovviamente più legate alle discipline di progetto – si dividono, a loro volta, in tre categorie: quelle utopico/ urbanistiche, quelle ingegneristiche e, infine, le strategie prettamente architettoniche, quelle che più sono risultate interessanti ai fini della ricerca. Al netto della visione complessiva dei casi raccolti, si comprende che il ruolo dell’architettura non è solo di tipo tecnico, ma anche critico. Non solo utopico, ma anche profondamente didattico. Nella terza ed ultima parte, la ricerca azzarda un’applicazione sperimentale della metodologia illustrata nella tesi a uno scenario “locale”, fragile non ancora esposto ad applicazioni progettuali specifiche: la città costiera adriatica. In questa parte della ricerca si opera quindi un confronto tra l’assetto morfologico attuale del territorio in questione e quello ipotizzabile a fine secolo e con un determinato incremento del livello delle acque marine. L’obiettivo è stimolare la formazione di un “immaginario funzionale” e necessario alla costruzione di una consapevolezza politica del fenomeno. Le previsioni sull’impatto del sea level rise sulla costa adriatica sono piuttosto sorprendenti. Le intuizioni sulle conseguenze economiche e i riflessi sulle nostre opzioni per affrontare questo problema vanno misurate in relazione con la vulnerabilità del territorio. Alla fine, la tesi vorrebbe fornire una guida sulle nostre opzioni per il futuro. In generale, la ricerca si pone alcune domande essenziali: quanto il livello del mare potrebbe salire entro la fine di questo secolo e oltre? Quali sono i fattori che potrebbero aumentare o rallentare l’innalzamento? Di quanto si sposteranno le linee di costa e quale sarà l’impatto di questo arretramento? Quale sarà l’effetto dei primi segni di questi fenomeni sui valori immobiliari delle aree costiere e sub-costiere? Quali saranno le implicazioni per gli individui, le imprese, le città e la loro gestione a tutti i livelli? Come si può iniziare a lavorare verso un “adattamento intelligente”? Come si può capire da questa premessa, la ricerca si muove tra due poli: la crisi climatica (e l’innalzamento dei mari) da un lato e l’architettura dall’altro. Il lavoro è strutturato in modo da fornire una visione complessiva dell’attuale stato dell’arte e delle forze (tecniche e disciplinari) in campo. Da un punto di vista disciplinare, sempre rilevante in una esercitazione accademica, la domanda ultima della ricerca è quale potrebbe essere la mutazione interna dell’architettura dopo che avrà dovuto stravolgere paradigmi di lunga data per affrontare le nuove sfide del contenimento dei fenomeni climatici.

R[A]ISING ISSUES Strategie architettoniche nell’era del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello del mare

D'OTTAVI, SARA
2023

Abstract

“RISING ISSUES” significa “questioni emergenti” o “problemi in crescita”. Questo titolo, oltre al gioco di parole con il tema principale della ricerca, ossia il sea level RISE, rende subito evidente che la tesi tratta argomenti e temi estremamente attuali e sempre più emergenti nel panorama della ricerca mondiale. Infatti, le questioni legate all’innalzamento del livello del mare a causa del cambiamento climatico sono sempre più rilevanti e urgenti in molte discipline. La tesi mira a esaminare questo fenomeno in dettaglio, così da raggiungere una profonda comprensione dello stesso, per affrontare consapevolmente le sfide ad esso associate, cercando soluzioni e strategie di adattamento. “RAISING ISSUES”, invece, significa “sollevare questioni” o “portare alla luce problematiche”. Questa doppia interpretazione del titolo indica che lo scopo della ricerca è anche, e soprattutto, quello di sollevare e mettere in evidenza le questioni legate all’innalzamento del livello del mare e ai suoi impatti in maniera critica, aprendo una discussione scientifica ed indagando il ruolo che l’architettura può avere in questo scenario. La ricerca è, quindi, un tentativo per stimolare la discussione, attirare l’attenzione su determinati temi e promuovere una maggiore consapevolezza su tali questioni, con l’intento di identificare soluzioni adeguate. La tesi muove da un obiettivo esplicito: esplorare strumenti innovativi per impegnare le pratiche contemporanee di architettura, ingegneria, paesaggio e pianificazione urbana nella ricerca di una modalità “reattiva” alle questioni poste dai cambiamenti climatici e dalle altre urgenze spaziali del nostro tempo. Per “modalità reattiva” si intende quella nella quale il ricercatore seleziona dalla produzione passata, recente o in corso ciò che ritiene meriti una contestualizzazione più ampia e un approfondimento maggiore, a fronte di un legame forte con strutture disciplinari consolidate come quelle dell’architettura. Il metodo prevede uno sforzo per estendere i confini di saperi e discipline consolidati in direzione di nuove domande e nuovi limiti sperimentali, alla ricerca di risposte adeguate. La novità, rispetto all’approccio tradizionale a una ricerca di dottorato, è il mix di sapere ed “impegno”, indirizzato alla costruzione di una teoria molto vicina all’azione progettuale. Protagonista centrale della ricerca è l’acqua, o meglio ancora, sono gli oceani, intesi come un materiale “alieno” eppure dominante nel nostro pianeta. Quando osserviamo il mare, scopriamo che la trasparenza che gli attribuiamo non è che un primo, superficiale, strato di conoscenza, dentro il quale si nascondono “oceani” (appunto) di complessità e diversità: esso è saturo di inimmaginabile e inconoscibile. Quando studiamo i sistemi oceanici, dobbiamo fare a meno di un riferimento essenziale della nostra conoscenza “sensibile”: la gravità; o almeno la gravità così come la percepiamo quando siamo su “terra” e sulla quale il nostro sensorio fa affidamento. L’acqua ha un effetto profondo sui nostri sensi e sulla nostra coscienza. Se vi ci immergiamo, il nostro corpo si intorpidisce, i nostri occhi perdono luce e profondità, il nostro senso del tatto è ridotto, il nostro olfatto è insussistente, il nostro cervello e il nostro cuore rallentano per proteggerci. Tuttavia, i nostri corpi ricordano accenni di connessione ancestrali con il mare risalenti al nostro lontano passato: non appena le nostre narici si bagnano, il nostro organismo ha un riflesso di immersione che lo ottimizza per adattarsi a periodi di immersione più lunghi, ossigenando e concentrando il sangue negli organi vitali. Eppure, anche con queste memorie evolutive, quando si tratta dei sistemi oceanici, non possiamo coltivare lo stesso grado di intuizione fisiologica che abbiamo con i sistemi terrestri. Prima che inizi il processo di esplorazione dell’oceano, il mezzo idrico stesso modella il modo in cui ci relazioniamo con esso. La fisica dell’oceano è del tutto diversa dal regno terrestre: la struttura molecolare dell’acqua agisce come una sorta di filtro che consente il passaggio solo di alcune molecole. Le proprietà coesive delle molecole d’acqua forniscono un tessuto connettivo fisico che trattiene, spinge, tira, invia ed è sempre toccante, che dona tattilità e sostegno ai suoi abitanti. Possiamo vedere queste connessioni tra entità materiali, che sulla terra sarebbero invisibili; i nostri occhi possono rilevare i minuscoli vortici e le correnti che escono da un pesce che nuota e, se rimuovessimo una medusa dall’acqua, crollerebbe in qualcosa di senza vita. Quella contestualizzazione implicita degli organismi nel loro ambiente rende più facili da immaginare le interconnessioni tra tutte le cose, quando separarle cancella così chiaramente la loro coerenza. È un promemoria costante che sta avvenendo un importante scambio, avanti e indietro nel tempo e attraverso lo spazio, tra entità viventi e non viventi. Molte caratteristiche geologiche della Terra sono contigue dall’aria al mare, intercambiandosi nei punti in cui si toccano. Si possono immaginare i due mondi giustapposti l’uno sull’altro: un’atmosfera gassosa e leggera in cima a un’idrosfera fluida e densa, separate dal confine semipermeabile dell’interfaccia aria- mare, che consente a queste due dimensioni di condividere informazioni. La comprensione di questi indizi sull’incertezza sensoriale dei mari, l’apprendimento della comunicazione contestuale tra tutte le cose e l’importanza di confini leggermente permissivi ispira l’approccio olistico che è alla base della scienza dei sistemi complessi. L’oceano è un sensorio: registra le trasformazioni della Terra nelle sue complesse dinamiche e inscrive i propri cicli nelle forme della vita. Oggi, l’oceano globale sta cambiando rapidamente le sue circolazioni, composizioni, interazioni, dimensioni ed ecologie a causa dell’intensificazione delle attività umane. L’oceano è la componente più dinamica e sensibile del nostro pianeta vivente, eppure la più sconosciuta ed ora è in una nuova fase della sua storia non lineare, plasmata dall’intensificarsi dell’impatto delle attività umane sul Sistema Terra, ossia dall’Antropocene. L’oceano sta subendo un’importante serie di trasformazioni, dovute al passaggio millenario da un lungo periodo di relativa stabilità climatica ad una precarietà improvvisa e sta entrando in una nuova fase della storia planetaria. Questa mutazione è un evento non lineare modellato da una molteplicità di forze che altera relazioni consolidate da tempo. Come reagire a queste trasformazioni? Come dar loro un senso? Come registrarle e riarticolarle? Come plasmare le politiche e le culture che possono coesistere con l’oceano? Come pensare da e con l’oceano? Il livello globale dei mari si sta innalzando. Le acque scure che trasportano particelle organiche sospese scorrono dalla tundra in scioglimento nell’Oceano Artico. Stagni e ruscelli blu brillante si stanno formando rapidamente sulla calotta glaciale della Groenlandia. I monti di ghiaccio dell’Himalaya si stanno sciogliendo e stanno rimodellando i laghi dell’altopiano tibetano e le ondeggianti baie di India, Pakistan e Bangladesh. I delta dei fiumi circum-himalayani stanno cambiando. I ghiacciai incontrano correnti calde e si stanno sciogliendo. Il ghiaccio marino nell’Artico sta entrando nei suoi ultimi decenni. Il permafrost delle Alpi si sta sciogliendo più velocemente di quanto impieghiamo ad iniziare a discutere seriamente su come percepirlo. Grandi iceberg si stanno staccando al largo delle coste dell’Antartide. Le acque riscaldate dell’oceano si stanno espandendo. L’aumento delle tempeste sta colpendo i territori, con la loro intensità sempre più forte e più vicina alle coste. I delta si stanno rapidamente erodendo. Le nazioni insulari dell’Oceano Pacifico e Indiano stanno affrontando direttamente le conseguenze dei nuovi orizzonti in espansione. Quello che qualche anno fa sembrava essere un futuro lontano è oggi imminente, o è già successo. Nulla è immune al “virus” della crisi climatica ed ecologica. È una condizione che avvicina una molteplicità di attori diversi e rende urgente un nuovo grado di consapevolezza; necessaria per mediare tra nuove attitudini e vecchi modi di essere; valori e aspirazioni diverse; rischi e desideri. Sintesi estrema e semplificata di queste frizioni, la possibilità di dover ridisegnare “velocemente” i punti di contatto tra terra e mare, vale a dire le coste, alla ricerca di un dialogo possibile con la natura. La catastrofe, se di questo si tratta, è un fenomeno silenzioso e progressivo, che di tanto in tanto, in realtà sempre più spesso, accelera e si accende, provocando eventi violenti e distruttivi. Il sistema globale degli oceani sta subendo un’importante serie di trasformazioni: la condizione cui ci si riferisce in genere come “Antropocene” rappresenta in realtà la presa di coscienza di un cambiamento netto nel rapporto tra “mondo” e terra, tra la vita e l’ambiente che la contiene, e l’entrata in un periodo di instabilità. Le molteplici trasformazioni dell’oceano sono percepite e indagate in un molti modi diversi, ciascuno sviluppato mobilitando conoscenze e competenze specifiche, facendo riferimento a logiche diverse, immaginari diversi e strumenti diversi. Le trasformazioni dell’oceano sono parzialmente note, comprese, indagate. Senza cornice, discontinuo, asincrono: l’oceano è la componente più dinamica e sensibile del pianeta. Alterato dall’intensificazione dell’attività umana di trasformazione e colonizzazione, sembra essere entrato in una nuova fase della sua storia dinamica, plasmata dall’intensificazione dell’impatto delle attività umane sui sistemi planetari. Con l’innalzamento del livello del mare, la costa si sposterà di centinaia, persino migliaia di metri nell’entroterra, cambiando la geografia dei luoghi, distruggendo l’habitat delle comunità costiere. Gli impatti economici saranno mastodontici e il cambiamento durerà per secoli, fino a raggiungere un livello del mare globale pari a molte decine di metri più in alto di dove si trova ora. Sarà la prima volta che ciò accade in più di 100.000 anni e sta accadendo a causa dell’azione umana, la quale sconvolge equilibri di lunga data. Per la nostra sopravvivenza, non possiamo permetterci di non conoscere cosa causa e cosa comporta il riscaldamento globale. Parlare di cambiamento climatico, fino a pochi decenni fa, era un esercizio riservato ai visionari; oggi è invece una pratica (che almeno dovrebbe essere) quotidiana, un’impellenza vitale che riguarda il cittadino comune e le istituzioni a tutti i livelli. Se da un lato le possibili cause di questa allarmante prospettiva sono molto dibattute, soprattutto l’incidenza del fattore antropico, dall’altro i dati rilevati in questi decenni sono poco discutibili, anche perché frutto di indagini condotte dai massimi centri di ricerca internazionale, come l’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico. Il livello del mare è l’interfaccia tra l’oceano e il cielo. È il riferimento fisso assoluto sia dell’altitudine terrestre che delle profondità marine. Essendo una superficie in continuo movimento, influenzata dalla luna, dalle maree, dalla salinità, dalle differenze gravitazionali locali, dalla pressione atmosferica, dalla densità e dalla temperatura dell’acqua, dalle tempeste e dalla circolazione locale del mare e da molti altri fattori, è attraverso il calcolo del livello medio in tutte le fasi della marea che il livello del mare si trasforma nella base definitiva per il rilevamento e la misurazione. Molti aspetti delle scienze della terra richiedono la conoscenza delle variazioni del livello del mare e la comprensione della dinamica del volume del ghiaccio attraverso i cicli glaciali, nonché delle variazioni a breve termine del livello medio globale del mare. Quest’ultimo è un modello complesso che combina una molteplicità di osservazioni, indicatori di marea, radiazioni radar trasmesse da satelliti, boe e stazioni di osservazione fisse. È un modello che deve prendere in considerazione il movimento del terreno, le lacune nei dati, l’assenza di dati, la calibrazione e la sincronizzazione. È un modello che opera attraverso una molteplicità di istituzioni, laboratori, supercomputer, burocrazie e processi intergovernativi. Non solo la superficie dell’oceano è costantemente in movimento, ma il livello medio globale del mare è anche una misura dinamica, con variazioni legate alla tecnologia e alla disponibilità di osservazioni, con elevata variabilità e scarso consenso tra gli scienziati. Il livello del mare varia nel tempo, sia per brevi periodi che per la durata di lunghe epoche, ere ed eoni geologici. Il livello medio globale del mare viene misurato attraverso le complesse opere di documentazione storica, archeologia, paleontologia e paleogeografia, stratigrafia e modelli computazionali. L’incertezza, anche nel breve periodo della memoria del genere umano, è molto alta: la velocità con cui il livello del mare è salito nel corso del XX secolo è ricostruita in un range compreso tra 1,3-2 millimetri l’anno. Il livello del mare si sta alzando per due ragioni principali: il riscaldamento dell’oceano è misurabile fino a centinaia di metri di profondità e, come qualsiasi fluido, l’acqua si espande quando viene riscaldata; inoltre, le vette delle montagne e le terre polari sono ricoperte di ghiaccio, che si sta anch’esso scaldando, sciogliendo e, alla fine del suo percorso, riversando nell’oceano, alzando ulteriormente il livello del mare. La Terra si è già riscaldata di circa 0,8°C negli ultimi 150 anni ed un ulteriore riscaldamento è ormai considerato inevitabile poiché gli oceani si riscaldano lentamente, rimanendo indietro rispetto alla temperatura dettata dai gas già emessi. Il livello del mare è già aumentato di circa 15-20 cm e le proiezioni dell’innalzamento del livello del mare in questo secolo dipendono dalla quantità di gas aggiuntivo che emettiamo prima di arginare il problema. Le stime arrivano fino a circa 1 metro o più, ma sono incerte e potrebbero essere sottostimate a causa della nostra incapacità di prevedere con precisione la risposta delle calotte polari al riscaldamento. La maggior parte della popolazione umana vive a meno di un centinaio di chilometri dalla linea di costa e molte persone sono raggruppate nelle città. Un pregio delle città costiere è che possono ospitare un gran numero di residenti in prossimità di risorse, come i porti, dove possono lavorare in modo efficiente, spostando merci e servizi in tutto il mondo; tuttavia, tali conglomerati urbani svolgono questo compito domando la costa, sostituendo la spiaggia e le zone umide con cemento e costruendo fino al bordo dell’acqua. Questa loro infrastruttura rigida le rende particolarmente vulnerabili all’innalzamento del livello del mare; questa sarà una delle ragioni per le quali le aree urbane costiere diverranno particolarmente inadatte alla sopravvivenza in un mondo che si sta riscaldando, se non saranno preventivamente rese resilienti attraverso progetti adattivi e piani protettivi. Tra i molti aspetti del cambiamento climatico, anche il solo fenomeno dell’innalzamento del livello del mare è (o meglio, dovrebbe essere) sufficientemente allarmante da attirare l’attenzione di singoli individui ed istituzioni; invece, al di fuori dei circoli di geologi e oceanografi, è poca la consapevolezza sulla portata della minaccia profonda e permanente del sea level rise . Questa ricerca si muove nella consapevolezza dell’importanza di comprendere l’impatto dell’innalzamento dei mari. Esso, aggravato dalla crescente concentrazione di popolazione, città e preziose infrastrutture sulle coste di tutto il mondo, rende questo lavoro di ricerca ancora più urgente nel campo specifico dell’architettura e del contributo che può dare nel contrasto ai fenomeni dannosi. Come risulta evidente, uno dei più gravi problemi è la non sufficiente consapevolezza delle comunità scientifiche, delle istituzioni e degli individui. L’ignoranza, la disinformazione intenzionale e la mancanza di leadership giocano certamente un ruolo cruciale nel determinare questa “distrazione” dei cittadini rispetto al rischio che incombe sulla loro testa (o meglio “terra”). Inoltre, la scala temporale e quella spaziale dei fenomeni in oggetto sono estremamente dilatate rispetto a quelle con le quali siamo abituati a rapportarci. L’occhio umano non è allenato ad accorgersi di cambiamenti di questo genere e della gravità di variazioni che ci appaiono piccole e di impatto limitato. Difficile, tanto per fare un esempio, far si che la stragrande maggioranza della popolazione percepisca la presenza (ancora prima della crisi) delle calotte glaciali, almeno per chi non vive in Groenlandia. Tale conoscenza sensibile andrebbe ovviamente compensata dalla comunicazione scientifica, che però incontra le resistenze e le difficoltà che conosciamo nel tessuto sociale e politico delle nostre comunità. Sia per le conseguenze che ci imporrebbe di trarre, sia per la difficoltà di traslare dati e previsioni dall’ambito della conoscenza a quello dell’esperienza soggettiva, sia per la difficoltà di traslare la conoscenza dalla scala globale a quella del singolo individuo. Il rischio, quasi inevitabile, è che gli abitanti delle regioni costiere debbano accorgersi all’improvviso di fenomeni che la geologia e l’oceanografia annunciano da decenni: l’innalzamento del livello del mare avrà impatti potenzialmente catastrofici e di vasta portata per molte generazioni. L’errore che molti di noi stanno facendo è concentrare l’attenzione sull’accuratezza delle previsioni a breve termine, poiché il livello del mare potrebbe continuare ad aumentare per ancora un millennio. Questo implica conseguenze di carattere etico. È necessario iniziare rapidamente ad ampliare la portata della nostra risposta oltre ciò che è politicamente e finanziariamente opportuno. Lo scenario è di certo poco rassicurante, ma qualità e durata – che comunque non sarà infinita – della sopravvivenza della nostra specie sono strettamente legate alla capacità di adattamento che dimostriamo ora. Questa ricerca approfondisce la complicata relazione attuale tra la specie umana e il sistema oceanico in trasformazione, focalizzandosi sulla scala del progetto architettonico e del suo rapporto con un territorio in trasformazione. È necessario ragionare in maniera alternativa, interiorizzare un atteggiamento proattivo, costruire processi e competenze attorno ad un pensiero integrato. È centrale per il futuro del pianeta: riguarda il modo in cui ci si avvicina alla fine del XXI secolo e si pensa alla capacità di essere resilienti, la possibilità di fallire in sicurezza, la maggiore consapevolezza e l’abilità di essere in grado di apportare cambiamenti adattivi reali. Sono necessarie azioni e piani fattibili per affrontare le sfide che il climate change impone ai nostri tempi. La ricerca si divide in tre parti principali: la prima raccoglie quanta più informazione e conoscenza esistente sul fenomeno. Sappiamo che il dibattito pubblico sul cambiamento climatico è spesso caratterizzato da fraintendimenti, quando non da conclusioni errate. Il più delle volte risulta difficile distinguere tra argomenti scientificamente provati e pura disinformazione. Le stesse pubblicazioni scientifiche usano linguaggi e nozioni molto tecniche, non alla portata di tutti. Altre, invece, si concentrano su singoli aspetti rendendo più difficile la percezione dell’insieme dei problemi maggiori e rischiando di semplificare e banalizzare eccessivamente questo fenomeno complesso. Quali sono le ragioni reali del cambiamento climatico? E in che misura l’uomo partecipa al riscaldamento globale? Qual è l’impatto del climate change sulla nostra salute? Cosa accadrà in futuro? Dopo un lavoro di lettura e revisione dello “stato dell’arte” il lavoro prosegue con un’analisi dei dati scientifici ufficiali, in particolar modo quelli legati al fenomeno dell’innalzamento del livello dei mari. Nella prima parte, quindi, si opera un tentativo di ricomposizione della scienza attuale sui fatti e le tendenze che interessano i cambiamenti climatici dei nostri mari, cercando di renderli compatibili con l’approccio e il linguaggio degli architetti, non necessariamente i più veloci a reagire a questioni del genere. I climatologi collocano a 150 anni fa il momento in cui la risalita delle acque ha subito un’accelerazione, data che coincide con l’inizio della rivoluzione industriale, e prevedono che, in correlazione all’aumento progressivo della temperatura media globale, allo scioglimento delle masse glaciali ed ai movimenti verticali lungo le coste, come la subsidenza, l’aumento del livello dell’acqua nel 2100 sarà compreso tra i 62 ed i 183cm. Dopo la lettura geografica e spaziale dell’effettivo impatto globale del fenomeno, visualizzandolo in diverse città del mondo, nella seconda parte la ricerca si pone due domande: l’architettura sta dando delle risposte in relazione all’imminente innalzamento del livello dei mari? Qual è il ruolo di questa disciplina in rapporto alla complessità, dovuta alla loro dilatata scala spazio-temporale, dei cambiamenti del sistema terrestre? Il tema è chiaramente un argomento interdisciplinare, ma, a partire da questa parte, la ricerca si concentra sull’architettura e sulla progettazione, in quanto questo è il vero focus del lavoro di ricerca. Vengono raccolti tutti i materiali rispetto alla possibilità di “agire” e di dare delle risposte al problema: si indagano quelle che sono già state le risposte progettuali al fenomeno dell’innalzamento del livello del mare. Infine, raccolto un numero rilevante di casi- studio progettuali in quello che si può definire un “catalogo ragionato”, si è tentato di costruirne una tassonomia, raccogliendoli secondo criteri ontologici e operativi. La prima discriminante in questa catalogazione ha riguardato l’approccio strategico adottato, che in genere divide le agency in due famiglie: preventiva e adattiva. L’approccio preventivo, che comprende le risposte che vengono date a livello politico o tecnologico per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per la riduzione di emissione di CO 2, è coerente ai fini della ricerca in quanto coinvolge le decisioni politiche delle singole città e impone scelte progettuali sostenibili che modificano il modo di concepire la pianificazione e l’architettura, anche solo attraverso richieste di miglioramento della sostenibilità energetica degli edifici. Invece, le strategie protettive/adattive – ovviamente più legate alle discipline di progetto – si dividono, a loro volta, in tre categorie: quelle utopico/ urbanistiche, quelle ingegneristiche e, infine, le strategie prettamente architettoniche, quelle che più sono risultate interessanti ai fini della ricerca. Al netto della visione complessiva dei casi raccolti, si comprende che il ruolo dell’architettura non è solo di tipo tecnico, ma anche critico. Non solo utopico, ma anche profondamente didattico. Nella terza ed ultima parte, la ricerca azzarda un’applicazione sperimentale della metodologia illustrata nella tesi a uno scenario “locale”, fragile non ancora esposto ad applicazioni progettuali specifiche: la città costiera adriatica. In questa parte della ricerca si opera quindi un confronto tra l’assetto morfologico attuale del territorio in questione e quello ipotizzabile a fine secolo e con un determinato incremento del livello delle acque marine. L’obiettivo è stimolare la formazione di un “immaginario funzionale” e necessario alla costruzione di una consapevolezza politica del fenomeno. Le previsioni sull’impatto del sea level rise sulla costa adriatica sono piuttosto sorprendenti. Le intuizioni sulle conseguenze economiche e i riflessi sulle nostre opzioni per affrontare questo problema vanno misurate in relazione con la vulnerabilità del territorio. Alla fine, la tesi vorrebbe fornire una guida sulle nostre opzioni per il futuro. In generale, la ricerca si pone alcune domande essenziali: quanto il livello del mare potrebbe salire entro la fine di questo secolo e oltre? Quali sono i fattori che potrebbero aumentare o rallentare l’innalzamento? Di quanto si sposteranno le linee di costa e quale sarà l’impatto di questo arretramento? Quale sarà l’effetto dei primi segni di questi fenomeni sui valori immobiliari delle aree costiere e sub-costiere? Quali saranno le implicazioni per gli individui, le imprese, le città e la loro gestione a tutti i livelli? Come si può iniziare a lavorare verso un “adattamento intelligente”? Come si può capire da questa premessa, la ricerca si muove tra due poli: la crisi climatica (e l’innalzamento dei mari) da un lato e l’architettura dall’altro. Il lavoro è strutturato in modo da fornire una visione complessiva dell’attuale stato dell’arte e delle forze (tecniche e disciplinari) in campo. Da un punto di vista disciplinare, sempre rilevante in una esercitazione accademica, la domanda ultima della ricerca è quale potrebbe essere la mutazione interna dell’architettura dopo che avrà dovuto stravolgere paradigmi di lunga data per affrontare le nuove sfide del contenimento dei fenomeni climatici.
1-dic-2023
Italiano
CIORRA, Giuseppe
Università degli Studi di Camerino
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
12_01_23 - Tesi_Sara D_Ottavi finale (1).pdf

embargo fino al 01/06/2025

Dimensione 83.92 MB
Formato Adobe PDF
83.92 MB Adobe PDF

I documenti in UNITESI sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14242/161634
Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNICAM-161634