Il Clostridium difficile è un batterio Gram positivo raramente presente nella normale flora intestinale umana che in particolari condizioni di disbiosi intestinale, in pazienti trattati con antibiotici ad ampio spettro, in pazienti ospedalizzati, in soggetti immunocompromessi e in persone anziane, può causare patologie di variabile gravità indicate complessivamente come Clostridium difficile Associated Diarrohea (CDAD). Sebbene in passato il Clostridium difficile sia stato indicato come possibile concausa dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (note anche come inflammatory bowel disease, IBD), oggi si è più propensi a ritenere che le IBD possano essere un fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile (CDI). La CDI nei pazienti affetti da IBD riveste una sempre maggiore importanza, sia perché la frequenza con cui si presenta stà crescendo nel tempo, sià perché sembra determinare un impatto negativo sugli outcome di salute, ma anche perché la sintomatologia indotta dalla CDI è indistinguibile da quella di una riacutizzazione della IBD: è quindi fondamentale una diagnosi tempestiva per instaurare le terapie più idonee al trattamento del caso. Lo scopo dello studio è descrivere la frequenza della CDI in soggetti sani, soggetti non affetti da IBD ospedalizzati con sospetto di CDAD e soggetti affetti da IBD, caratterizzare i ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti IBD (sensibilità agli antibiotici, tipologie di tossine prodotte, capacità di adesione all’epitelio intestinale), identificare i fattori di rischio per la CDI nei pazienti IBD (caratteristiche del soggetto, della malattia, della terapia concomitante) e valutare l'impatto della CDI sul decorso della IBD, sia nei portatori sintomatici che in quelli asintomatici. Da gennaio 2010 sono stati raccolti ed analizzati campioni da pazienti IBD ambulatoriali o degenti presso l’unità operativa complessa di gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova (sia in fase acuta di malattia che in remissione), da pazienti ricoverati presso la medesima unità operativa non affetti da IBD con sintomi e terapia medica suggestivi di CDAD e da un gruppo di controllo di soggetti sani appaiati per età e sesso. Dalla prima valutazione (e della raccolta del primo campione) i pazienti con IBD sono stati valutati almeno ogni sei mesi o in caso di recidiva o di ricovero ospedaliero per due anni. Su ogni campione è stata eseguita una coltura anaerobica seguita da PCR specifica per identificare eventuali colonie di C. difficile. Ogni ceppo è stato poi caratterizzato in base a: - tossine prodotte - sensibilità agli antibiotici - adesione alle cellule Caco-2 - presenza o assenza del gene tcdC nel DNA batterico Dati clinici sono stati raccolti dai pazienti con IBD per identificare eventuali fattori di rischio per la CDI. I pazienti con IBD sembrano presentare una maggiore frequenza di colonizzazione da parte del Clostridium difficile rispetto al gruppo di controllo dei soggetti sani: nei controlli la CDI è stata rilevata in 0/55 soggetti. Nei pazienti ricoverati con IBD è stata trovata in 5/55 soggetti (9%). Nei pazienti ambulatoriali è stata rilevata in 9/195 soggetti (4,6%). Il profilo di produzione delle tossine sembra essere differente nei pazienti IBD e nei pazienti non-IBD con diarrea da antibiotici, confermando l'ipotesi di ceppi acquisiti in comunità e non in ambiente ospedaliero. L’antibiogramma eseguito su ceppi isolati da pazienti con CDAD e pazienti con IBD attive o in remissione ha mostrato che tutti i ceppi sono sensibili a metronidazolo e vancomicina e marcatamente resistenti alla ciprofloxacina. Ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti con IBD attive, in fase di remissione e da pazienti con CDAD hanno dimostrato una diversa, seppur piccola, capacità di aderire a monostrati di cellule epiteliali intestinali umane (CACO-2), indicando che i ceppi associati ai pazienti con IBD attive hanno maggiore abilità a colonizzare di quelli in remissione. Il gene tcdC è stato identificato nell’8% dei ceppi tossigenici isolati da pazienti IBD (attivi ed in remissione) e nel 25% di quelli isolati da pazienti con CDAD, ma il genoma presentava delezioni di varia entità, indicando una potenziale aumentata virulenza dei ceppi identificati. L'analisi statistica non ha individuato fattori di rischio associati con la CDI. Nella parte prospettica dello studio la CDI non è stata identificata come fattore di rischio per la recidiva clinica o endoscopica o per la necessità di trattamento chirurgico, dimostrando invece, inaspettatamente, di avere un ruolo protettivo nei confronti della riacutizzazione della malattia.
Uno studio prospettico sull'infezione da Clostridium difficile nelle malattie infiammatorie croniche intestinali: fattori di rischio, tossino-tipi, sensibilità agli antibiotici, capacità di adesione e impatto sul successivo decorso della malattia
MARTINATO, MATTEO
2013
Abstract
Il Clostridium difficile è un batterio Gram positivo raramente presente nella normale flora intestinale umana che in particolari condizioni di disbiosi intestinale, in pazienti trattati con antibiotici ad ampio spettro, in pazienti ospedalizzati, in soggetti immunocompromessi e in persone anziane, può causare patologie di variabile gravità indicate complessivamente come Clostridium difficile Associated Diarrohea (CDAD). Sebbene in passato il Clostridium difficile sia stato indicato come possibile concausa dello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (note anche come inflammatory bowel disease, IBD), oggi si è più propensi a ritenere che le IBD possano essere un fattore di rischio per l’infezione da Clostridium difficile (CDI). La CDI nei pazienti affetti da IBD riveste una sempre maggiore importanza, sia perché la frequenza con cui si presenta stà crescendo nel tempo, sià perché sembra determinare un impatto negativo sugli outcome di salute, ma anche perché la sintomatologia indotta dalla CDI è indistinguibile da quella di una riacutizzazione della IBD: è quindi fondamentale una diagnosi tempestiva per instaurare le terapie più idonee al trattamento del caso. Lo scopo dello studio è descrivere la frequenza della CDI in soggetti sani, soggetti non affetti da IBD ospedalizzati con sospetto di CDAD e soggetti affetti da IBD, caratterizzare i ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti IBD (sensibilità agli antibiotici, tipologie di tossine prodotte, capacità di adesione all’epitelio intestinale), identificare i fattori di rischio per la CDI nei pazienti IBD (caratteristiche del soggetto, della malattia, della terapia concomitante) e valutare l'impatto della CDI sul decorso della IBD, sia nei portatori sintomatici che in quelli asintomatici. Da gennaio 2010 sono stati raccolti ed analizzati campioni da pazienti IBD ambulatoriali o degenti presso l’unità operativa complessa di gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliera di Padova (sia in fase acuta di malattia che in remissione), da pazienti ricoverati presso la medesima unità operativa non affetti da IBD con sintomi e terapia medica suggestivi di CDAD e da un gruppo di controllo di soggetti sani appaiati per età e sesso. Dalla prima valutazione (e della raccolta del primo campione) i pazienti con IBD sono stati valutati almeno ogni sei mesi o in caso di recidiva o di ricovero ospedaliero per due anni. Su ogni campione è stata eseguita una coltura anaerobica seguita da PCR specifica per identificare eventuali colonie di C. difficile. Ogni ceppo è stato poi caratterizzato in base a: - tossine prodotte - sensibilità agli antibiotici - adesione alle cellule Caco-2 - presenza o assenza del gene tcdC nel DNA batterico Dati clinici sono stati raccolti dai pazienti con IBD per identificare eventuali fattori di rischio per la CDI. I pazienti con IBD sembrano presentare una maggiore frequenza di colonizzazione da parte del Clostridium difficile rispetto al gruppo di controllo dei soggetti sani: nei controlli la CDI è stata rilevata in 0/55 soggetti. Nei pazienti ricoverati con IBD è stata trovata in 5/55 soggetti (9%). Nei pazienti ambulatoriali è stata rilevata in 9/195 soggetti (4,6%). Il profilo di produzione delle tossine sembra essere differente nei pazienti IBD e nei pazienti non-IBD con diarrea da antibiotici, confermando l'ipotesi di ceppi acquisiti in comunità e non in ambiente ospedaliero. L’antibiogramma eseguito su ceppi isolati da pazienti con CDAD e pazienti con IBD attive o in remissione ha mostrato che tutti i ceppi sono sensibili a metronidazolo e vancomicina e marcatamente resistenti alla ciprofloxacina. Ceppi di Clostridium difficile isolati da pazienti con IBD attive, in fase di remissione e da pazienti con CDAD hanno dimostrato una diversa, seppur piccola, capacità di aderire a monostrati di cellule epiteliali intestinali umane (CACO-2), indicando che i ceppi associati ai pazienti con IBD attive hanno maggiore abilità a colonizzare di quelli in remissione. Il gene tcdC è stato identificato nell’8% dei ceppi tossigenici isolati da pazienti IBD (attivi ed in remissione) e nel 25% di quelli isolati da pazienti con CDAD, ma il genoma presentava delezioni di varia entità, indicando una potenziale aumentata virulenza dei ceppi identificati. L'analisi statistica non ha individuato fattori di rischio associati con la CDI. Nella parte prospettica dello studio la CDI non è stata identificata come fattore di rischio per la recidiva clinica o endoscopica o per la necessità di trattamento chirurgico, dimostrando invece, inaspettatamente, di avere un ruolo protettivo nei confronti della riacutizzazione della malattia.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/171575
URN:NBN:IT:UNIPD-171575