Il dott. Leonardo Manigrasso ha focalizzato la sua tesi sulla storia della traduzione di poesia francese ad opera di poeti nati tra il secondo decennio e i primissimi anni Venti del secolo. L’obiettivo è quello di sondare in primo luogo le forme del tradurre ermetico tra gli anni Trenta e Quaranta, poi la storia del suo declino almeno fino alla metà del decennio seguente, e infine il successivo imporsi di strategie traduttive non più inscritte in una koiné, ma anzi in linea di massima liberate dai codici formali più stringenti. Il perimetro di indagine è nella fattispecie circoscritto alla categoria dei poeti-traduttori di terza e quarta generazione nati tra il 1910 e il 1922, salvaguardando nondimeno il diritto, quando è il caso, di derogare ai questi confini mobilitando voci rappresentative di altre generazioni, quali ad esempio Diego Valeri o Giovanni Raboni. Il metodo critico adottato è quello comparatistico, basato sul raffronto di diverse traduzioni di uno stesso testo-fonte (le cosiddette “varianti inter-autoriali”, da un minimo di due a un massimo di quattro per volta) al fine di mettere in maggior rilievo le dissonanze, gli espedienti tecnici e, eventualmente, le analogie tra le opzioni messe in pratica dai vari poeti. A questo scopo ho indagato: a) una figura “di frontiera” come Beniamino Dal Fabbro, le cui traduzioni da Rimbaud e Baudelaire – poste a confronto con quelle di Luzi e Parronchi – consentono di collocarlo subito al di fuori della più stretta cerchia di traduttori dell’universo ermetico; b) le traduzioni “intergenerazionali” di Delfica di Nerval da parte di Valeri, Parronchi e Risi, piattaforma ideale per indagare le opzioni aperte dalla gerarchizzazione dei livelli che l’atto traduttivo fatalmente comporta, tra gli estremi della scelta del criterio rimico-metrico di Valeri e quello letterale-semantico di Parronchi: particolare attenzione poi è stata rivolta alle declinazioni, i prestiti e i prelievi che la mitopoiesi nervaliana ha intrattenuto con le opere in versi dei traduttori; c) le versioni di Le crépuscule du matin di Baudelaire messe a punto da Parronchi e Fortini, che permettono di verificare come diversissime concezioni del rapporto tra il nuovo testo e i codici formali della tradizione approdino a una stessa contestazione della società contemporanea; d) le versioni di Ta chevelure d’oranges di Éluard prima di Bigongiari e Fortini, portavoci l’una di una via ermetica all’esperienza del tradurre, basata sul tema dell’assolutezza della memoria, e l’altra di senso opposto in quanto fondata sul principio dell’antagonismo soggiacente tra immaginazione e realtà, e poi le traduzioni dallo stesso testo di Traverso e Zanzotto, sulle quali accertare due modalità diverse di ricorso al lessico petrarchesco; e) le versioni di Bigongiari e Sereni di Septentrion di Char, dove è possibile testare l’influenza sulle strategie del tradurre della prossimità o distanza della propria poetica da quella dell’autore tradotto; f) le cinque traduzioni di La vie antérieure ancora di Baudelaire allestite da Luzi, Parronchi, Pagano e Raboni (due stesure), attraverso le quali mettere a referto l’irreversibile indebolimento tra gli anni Quaranta e Novanta delle istituzioni formali del codice d’arrivo in favore di sempre più complesse tattiche di remunerazione distribuite lungo i vari livelli del testo; g) le versioni di La cordillera de los Andes di Henri Michaux operate da Luzi e Erba in anni quasi concomitanti, in cui confluiscono due diverse poetiche relative alla determinazione metageografica e psicologica del “qui” e dell‘ “altrove”, da inscriversi (soprattutto per Luzi) nel quadro della consumata dissoluzione della koinè ermetica; h) le versioni di Erba e Caproni di Les canaux de Milan di Frénaud, volte a stabilire la distanza tra una concezione dell’atto traduttivo come ricerca del compromesso ideale tra le aspettative del piano semantico e quello fonico dell’ipotesto e, al contrario, la rivendicazione da parte del poeta del diritto al rifacimento; i) la comparazione tra le versioni, ancora di Frénaud, di J’ai bâti l’idéale maison e Espagne di Risi e Caproni, sulle quali sperimentare come il diverso trattamento delle partiture iterative del testo di partenza implichi decisive conseguenze sul piano semantico. Queste campionature esemplari sono poi corredate e inquadrate da un lato dagli Appunti per una storia della traduzione dall’ermetismo in poi, una rassegna delle principali traduzioni di questi poeti – in rivista e in volume – all’interno di un bilancio generale della storia del tradurre poesia a partire dagli anni Quaranta; dall’altra da una indicizzazione dei principali volumi di interesse traduttivo di questi autori, tra antologie personali dei traduttori, antologie miscellanee di poesia straniera e antologie di traduzioni “monografiche”, dedicate ai singoli autori francesi
Capitoli autobiografici. Poeti traduttori a confronto tra terza e quarta generazione
MANIGRASSO, LEONARDO
2012
Abstract
Il dott. Leonardo Manigrasso ha focalizzato la sua tesi sulla storia della traduzione di poesia francese ad opera di poeti nati tra il secondo decennio e i primissimi anni Venti del secolo. L’obiettivo è quello di sondare in primo luogo le forme del tradurre ermetico tra gli anni Trenta e Quaranta, poi la storia del suo declino almeno fino alla metà del decennio seguente, e infine il successivo imporsi di strategie traduttive non più inscritte in una koiné, ma anzi in linea di massima liberate dai codici formali più stringenti. Il perimetro di indagine è nella fattispecie circoscritto alla categoria dei poeti-traduttori di terza e quarta generazione nati tra il 1910 e il 1922, salvaguardando nondimeno il diritto, quando è il caso, di derogare ai questi confini mobilitando voci rappresentative di altre generazioni, quali ad esempio Diego Valeri o Giovanni Raboni. Il metodo critico adottato è quello comparatistico, basato sul raffronto di diverse traduzioni di uno stesso testo-fonte (le cosiddette “varianti inter-autoriali”, da un minimo di due a un massimo di quattro per volta) al fine di mettere in maggior rilievo le dissonanze, gli espedienti tecnici e, eventualmente, le analogie tra le opzioni messe in pratica dai vari poeti. A questo scopo ho indagato: a) una figura “di frontiera” come Beniamino Dal Fabbro, le cui traduzioni da Rimbaud e Baudelaire – poste a confronto con quelle di Luzi e Parronchi – consentono di collocarlo subito al di fuori della più stretta cerchia di traduttori dell’universo ermetico; b) le traduzioni “intergenerazionali” di Delfica di Nerval da parte di Valeri, Parronchi e Risi, piattaforma ideale per indagare le opzioni aperte dalla gerarchizzazione dei livelli che l’atto traduttivo fatalmente comporta, tra gli estremi della scelta del criterio rimico-metrico di Valeri e quello letterale-semantico di Parronchi: particolare attenzione poi è stata rivolta alle declinazioni, i prestiti e i prelievi che la mitopoiesi nervaliana ha intrattenuto con le opere in versi dei traduttori; c) le versioni di Le crépuscule du matin di Baudelaire messe a punto da Parronchi e Fortini, che permettono di verificare come diversissime concezioni del rapporto tra il nuovo testo e i codici formali della tradizione approdino a una stessa contestazione della società contemporanea; d) le versioni di Ta chevelure d’oranges di Éluard prima di Bigongiari e Fortini, portavoci l’una di una via ermetica all’esperienza del tradurre, basata sul tema dell’assolutezza della memoria, e l’altra di senso opposto in quanto fondata sul principio dell’antagonismo soggiacente tra immaginazione e realtà, e poi le traduzioni dallo stesso testo di Traverso e Zanzotto, sulle quali accertare due modalità diverse di ricorso al lessico petrarchesco; e) le versioni di Bigongiari e Sereni di Septentrion di Char, dove è possibile testare l’influenza sulle strategie del tradurre della prossimità o distanza della propria poetica da quella dell’autore tradotto; f) le cinque traduzioni di La vie antérieure ancora di Baudelaire allestite da Luzi, Parronchi, Pagano e Raboni (due stesure), attraverso le quali mettere a referto l’irreversibile indebolimento tra gli anni Quaranta e Novanta delle istituzioni formali del codice d’arrivo in favore di sempre più complesse tattiche di remunerazione distribuite lungo i vari livelli del testo; g) le versioni di La cordillera de los Andes di Henri Michaux operate da Luzi e Erba in anni quasi concomitanti, in cui confluiscono due diverse poetiche relative alla determinazione metageografica e psicologica del “qui” e dell‘ “altrove”, da inscriversi (soprattutto per Luzi) nel quadro della consumata dissoluzione della koinè ermetica; h) le versioni di Erba e Caproni di Les canaux de Milan di Frénaud, volte a stabilire la distanza tra una concezione dell’atto traduttivo come ricerca del compromesso ideale tra le aspettative del piano semantico e quello fonico dell’ipotesto e, al contrario, la rivendicazione da parte del poeta del diritto al rifacimento; i) la comparazione tra le versioni, ancora di Frénaud, di J’ai bâti l’idéale maison e Espagne di Risi e Caproni, sulle quali sperimentare come il diverso trattamento delle partiture iterative del testo di partenza implichi decisive conseguenze sul piano semantico. Queste campionature esemplari sono poi corredate e inquadrate da un lato dagli Appunti per una storia della traduzione dall’ermetismo in poi, una rassegna delle principali traduzioni di questi poeti – in rivista e in volume – all’interno di un bilancio generale della storia del tradurre poesia a partire dagli anni Quaranta; dall’altra da una indicizzazione dei principali volumi di interesse traduttivo di questi autori, tra antologie personali dei traduttori, antologie miscellanee di poesia straniera e antologie di traduzioni “monografiche”, dedicate ai singoli autori francesiFile | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/171970
URN:NBN:IT:UNIPD-171970