Le patologie d’accumulo lisosomiale (LSD) rappresentano un grosso ed eterogeneo gruppo di malattie genetiche che derivano da difetti in diversi aspetti della biologia lisosomiale. Queste patologie interessano più comunemente i bambini, e per la maggior parte determinano coinvolgimento neurologico che, quando presente, non è trattabile. Tutti gli animali con un sistema nervoso centrale (SNC) ben sviluppato hanno una barriera emato-encefalica (BEE) che isola ampiamente il cervello dalle alterazioni nella composizione del flusso del sangue e dai continui cambiamenti che avvengono in generale in questi fluidi corporei. Questa barriera impedisce anche la somministrazione globale al SNC di molte sostanze terapeutiche. Diversi studi condotti in modelli murini delle malattie d’accumulo lisosomiale, come le patologie di Batten, Sandhoff e GM1 gangliosidosi, hanno inoltre suggerito che la BEE possa essere danneggiata come parte integrante del processo patologico. Lo scopo del presente progetto è stato quello di determinare se avvenissero simili cambiamenti nella BEE nella sindrome di Sanfilippo. La tecnica della perfusione cerebrale in situ è il sistema di elezione per questo studio in quanto per le molecole analizzate non è necessario considerare gli effetti dovuti ad eventuali legami con le proteine plasmatiche, metabolismo e altre interazioni all’interno del corpo. Inoltre, offre una sensibilità superiore rispetto ad altri metodi basati su tracciante e può essere usata per quantificare precisamente il trasporto di soluti attraverso la BEE. Abbiamo apportato una nuova modifica alla tecnica originale di Takasato e Smith (1984) che assicura che tutte le regioni del cervello del topo siano perfuse piuttosto che solo la zona di una singola carotide. Questo è importante poiché nelle LSD tutte le regioni cerebrali sono coinvolte e il circulus arteriosus cerebri presenta differenti gradi di completezza in diversi ceppi murini (Ward et al. 1990). Quindi il metodo permette che la funzione della BEE sia valutata in tutte le regioni, e può essere applicato per comparare animali modificati geneticamente di diversi background genetici. Diversi parametri, come il flusso della perfusione cerebrale, il volume vascolare del cervello, e il trasporto carrier-mediato degli amminoacidi acido glutammico e glicina, sono stati investigati per determinare se il metodo della perfusione cerebrale in situ possa essere applicato al topo senza disturbare l’integrità fisica e funzionale della BEE. Sono stati anche condotti studi con nitrato di lantano, e analizzati al microscopio elettronico, per valutare se le giunzioni occludenti subissero aperture durante il corso della perfusione. Una volta che la tecnica della perfusione cerebrale in situ è stata provata come strumento reale per la valutazione della penetrazione di traccianti attraverso la BEE, questo metodo è stato applicato per determinare se ci fossero cambiamenti nella BEE in modelli murini di due forme della sindrome di Sanfilippo (MPS IIIA e MPS IIIB) in confronto ai loro rispettivi ceppi murini di controllo. [14C]-saccarosio e [3H]-inulina sono stati impiegati per valutare il volume vascolare, ma normalmente non penetrano la membrana, a meno che non sia difettiva. [14C]-diazepam è stato utilizzato come marker del flusso sanguigno cerebrale; e [3H]-glicina, [3H]-acido glutammico e [3H]-tirosina come sostanze carrier-mediate a bassa penetrazione cerebrale. Questi sono amminoacidi neuro-eccitatori che possono causare danni al cervello se la loro entrata nel cervello è aumentata. Dati iniziali per la sindrome di Sanfilippo dalla tecnica della perfusione cerebrale in situ, sebbene necessitino di essere confermati e approfonditi, hanno dimostrato la tipica eterogeneità clinica dei pazienti di Sanfilippo ed evidenziano chiaramente che avvengono alcuni cambiamenti nella BEE. Anche la permeabilità di [3H]-N-butil-deossinojirimicina (NB-DNJ, miglustat, Zavesca®) alla BEE è stato valutata poichè è attualmente impiegata nella terapia di riduzione del substrato (SRT), si ritiene che penetri la BEE e teoricamente potrebbe essere usata per trattare l’accumulo secondario nella sindrome di Sanfilippo. Da iniezioni intraperitoneali di [3H]- NB-DNJ e valutazione della costante d’influsso unidirezionale Kin per intervalli di tempo fino a 60 minuti, un lento ma progressivo assorbimento di questa piccola molecola è stato dimostrato. Una comprensione maggiore della BEE e della sua funzione, sia in salute sia in malattia, è assolutamente e criticamente necessaria per lo sviluppo di farmaci nuovi e migliori che possano riparare la BEE e in più siano anche in grado di attraversare la BEE allo scopo di trattare manifestazioni precoci della sindrome di Sanfilippo nel SNC. Questi studi produrranno informazioni che aiuteranno la somministrazione di farmaci al SNC in generale e aumenteranno ulteriormente la possibilità di trattare un ampio numero di patologie neurodegenerative.
The blood-brain barrier and San Filippo Syndrome: a model for pathophisiology studies of CNS in lysosomal storage diseases
ZACCARIOTTO, EVA
2009
Abstract
Le patologie d’accumulo lisosomiale (LSD) rappresentano un grosso ed eterogeneo gruppo di malattie genetiche che derivano da difetti in diversi aspetti della biologia lisosomiale. Queste patologie interessano più comunemente i bambini, e per la maggior parte determinano coinvolgimento neurologico che, quando presente, non è trattabile. Tutti gli animali con un sistema nervoso centrale (SNC) ben sviluppato hanno una barriera emato-encefalica (BEE) che isola ampiamente il cervello dalle alterazioni nella composizione del flusso del sangue e dai continui cambiamenti che avvengono in generale in questi fluidi corporei. Questa barriera impedisce anche la somministrazione globale al SNC di molte sostanze terapeutiche. Diversi studi condotti in modelli murini delle malattie d’accumulo lisosomiale, come le patologie di Batten, Sandhoff e GM1 gangliosidosi, hanno inoltre suggerito che la BEE possa essere danneggiata come parte integrante del processo patologico. Lo scopo del presente progetto è stato quello di determinare se avvenissero simili cambiamenti nella BEE nella sindrome di Sanfilippo. La tecnica della perfusione cerebrale in situ è il sistema di elezione per questo studio in quanto per le molecole analizzate non è necessario considerare gli effetti dovuti ad eventuali legami con le proteine plasmatiche, metabolismo e altre interazioni all’interno del corpo. Inoltre, offre una sensibilità superiore rispetto ad altri metodi basati su tracciante e può essere usata per quantificare precisamente il trasporto di soluti attraverso la BEE. Abbiamo apportato una nuova modifica alla tecnica originale di Takasato e Smith (1984) che assicura che tutte le regioni del cervello del topo siano perfuse piuttosto che solo la zona di una singola carotide. Questo è importante poiché nelle LSD tutte le regioni cerebrali sono coinvolte e il circulus arteriosus cerebri presenta differenti gradi di completezza in diversi ceppi murini (Ward et al. 1990). Quindi il metodo permette che la funzione della BEE sia valutata in tutte le regioni, e può essere applicato per comparare animali modificati geneticamente di diversi background genetici. Diversi parametri, come il flusso della perfusione cerebrale, il volume vascolare del cervello, e il trasporto carrier-mediato degli amminoacidi acido glutammico e glicina, sono stati investigati per determinare se il metodo della perfusione cerebrale in situ possa essere applicato al topo senza disturbare l’integrità fisica e funzionale della BEE. Sono stati anche condotti studi con nitrato di lantano, e analizzati al microscopio elettronico, per valutare se le giunzioni occludenti subissero aperture durante il corso della perfusione. Una volta che la tecnica della perfusione cerebrale in situ è stata provata come strumento reale per la valutazione della penetrazione di traccianti attraverso la BEE, questo metodo è stato applicato per determinare se ci fossero cambiamenti nella BEE in modelli murini di due forme della sindrome di Sanfilippo (MPS IIIA e MPS IIIB) in confronto ai loro rispettivi ceppi murini di controllo. [14C]-saccarosio e [3H]-inulina sono stati impiegati per valutare il volume vascolare, ma normalmente non penetrano la membrana, a meno che non sia difettiva. [14C]-diazepam è stato utilizzato come marker del flusso sanguigno cerebrale; e [3H]-glicina, [3H]-acido glutammico e [3H]-tirosina come sostanze carrier-mediate a bassa penetrazione cerebrale. Questi sono amminoacidi neuro-eccitatori che possono causare danni al cervello se la loro entrata nel cervello è aumentata. Dati iniziali per la sindrome di Sanfilippo dalla tecnica della perfusione cerebrale in situ, sebbene necessitino di essere confermati e approfonditi, hanno dimostrato la tipica eterogeneità clinica dei pazienti di Sanfilippo ed evidenziano chiaramente che avvengono alcuni cambiamenti nella BEE. Anche la permeabilità di [3H]-N-butil-deossinojirimicina (NB-DNJ, miglustat, Zavesca®) alla BEE è stato valutata poichè è attualmente impiegata nella terapia di riduzione del substrato (SRT), si ritiene che penetri la BEE e teoricamente potrebbe essere usata per trattare l’accumulo secondario nella sindrome di Sanfilippo. Da iniezioni intraperitoneali di [3H]- NB-DNJ e valutazione della costante d’influsso unidirezionale Kin per intervalli di tempo fino a 60 minuti, un lento ma progressivo assorbimento di questa piccola molecola è stato dimostrato. Una comprensione maggiore della BEE e della sua funzione, sia in salute sia in malattia, è assolutamente e criticamente necessaria per lo sviluppo di farmaci nuovi e migliori che possano riparare la BEE e in più siano anche in grado di attraversare la BEE allo scopo di trattare manifestazioni precoci della sindrome di Sanfilippo nel SNC. Questi studi produrranno informazioni che aiuteranno la somministrazione di farmaci al SNC in generale e aumenteranno ulteriormente la possibilità di trattare un ampio numero di patologie neurodegenerative.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/173205
URN:NBN:IT:UNIPD-173205