L’argomento di ricerca sviluppato durante la Scuola di Dottorato è stato lo studio di sensori ottici per il monitoraggio dell’ossigeno molecolare. Il principio di funzionamento di questi sensori è dato dallo spegnimento della luminescenza di luminofori metallorganici inglobati in una matrice polimerica. La luminescenza viene indotta per eccitazione del luminoforo con una sorgente LED e è raccolta da un rilevatore a fotodiodo. I sensori basati su questo principio costituiscono una valida alternativa ai sensori elettrochimici attualmente in uso, in quanto permettono misure “in situ” e in tempo reale, ed in modo non distruttivo. Sono inoltre più robusti limitando sia la necessità di frequenti calibrazioni che la frequente sostituzione delle membrane. È stata focalizzata l’attenzione principalmente sui sensori che si basano sulla misura delle intensità luminose, piuttosto che su quella dei tempi di vita, in quanto più promettenti per realizzare sensori a basso costo adatti per applicazioni industriali. L’obiettivo finale è quello di realizzare un sensore robusto ed economico, in grado di misurare l’ossigeno in un ampio intervallo di concentrazioni e di sopportare temperature fino ai 90°C, condizione per la quale non esistono a tutt’oggi prodotti commerciali. Lo spegnimento della luminescenza è legato alla quantità di ossigeno molecolare a seguito di quenching, secondo il modello di Stern-Volmer (SV), da cui si ottiene la seguente relazione: I0/I=1-K'sv*%O2 dove con I0/I si indica il rapporto tra l’intensità luminosa emessa in assenza e in presenza di ossigeno e con τ0/τ l’analogo rapporto tra i tempi di vita nelle due situazioni. Questo rapporto è proporzionale alla percentuale di ossigeno %O2 secondo una costante K’SV che risulta proporzionale al tempo di vita in assenza di ossigeno, τ0, al coefficiente di diffusione dell’ossigeno nella membrana, e alla sua solubilità, . Al fine di ottimizzare le caratteristiche analitiche delle membrane sensibili sono stati testati svariati luminofori con differenti tempi di vita in assenza di ossigeno: Rutenio tris(4,7-difenil-1,10-fenantrolina) (Ru(dpp), τ0=6μs), Platino 5,10,15,20-tetrafenilporfirina (PtTPP, τ0=50μs), Platino-5,10,15,20-tetra(pentafluorofenil)porfirina (PtTFPP, τ0=70μs), Palladio5,10,15,20-tetra(pentafluorofenil)porfirina (PdTFPP, τ0=850μs) e Palladio2,3,7,8,12,13,17,18-ottaetilporfirina (PdOEP τ0=990μs). Questi luminofori sono stati inglobati all’interno di polimeri organici: polisulfone (PSF) e polivinilcloruro (PVC). Sono state ottimizzate le procedure di deposizione sia per spin-coating che per dip-coating, . E’ stata introdotta una modifica al modello di SV, al fine di scorporare dal valore di emissione sperimentale i contributi non contemplati dal modello di SV. In particolare la nuova procedura permette di scorporare il contributo di emissione attribuibile alla parte di luminoforo all’interno della membrana non raggiungibile dall’ossigeno. Questa modifica ha permesso di constatare che la curvatura della calibrazione di SV documentata in diversi lavori riportati in letteratura è dovuta al citato contributo. Operando in questo modo è stata dimostrata la linearità del modello di SV per tre differenti tipologie di membrane utilizzate, contenenti differenti luminofori (Ru(dpp), PtTPP e PdTFPP) inglobati in PSF e caratterizzate da differenti K’SV (0.014, 0.136, 1.79). È stato poi analizzato l’effetto della deriva dell’intensità luminosa nel tempo, dovuta a fenomeni di degradazione del luminoforo, sviluppando un algoritmo di correzione di tali effetti. È stato osservato che il complesso del rutenio presenta una deriva significativa del segnale di -1,01•10-4 s-1 a 30 °C, mentre per tutte le porfirine essa è risultata di due ordini di grandezza più bassa. Il problema della deriva diviene fondamentale quando si considera il funzionamento del sensore ad alte temperature, situazioni nelle quali il contributo della termodegradazione del luminoforo può diventare rilevante. Lo studio di questi sistemi ha permesso di ricavare alcune importanti caratteristiche chimico-fisiche come le energie di attivazione dei differenti processi coinvolti. A questo scopo è stato studiato specificamente il comportamento dell’emissione di un sensore contenente PtTFPP inglobata in PSF. Dalle misure dell’andamento della costante di Stern-Volmer (K’SV), dell’intensità di emissione (I0) e del tempo di risposta (t1) al variare della temperatura, utilizzando opportuni modelli fisici quali l’equazione di Arrhenius, sono state ricavate le energie libere di attivazione (ΔG‡) dei processi di diffusione e di decadimento radiativo che sono risultate pari a 2.8(0.3) kJ/mole e 16.5(0.5) kJ/mol, rispettivamente. E’ stato determinato inoltre il ΔH relativo alla solubilità dell’ossigeno all’interno della membrana polimerica, risultato pari a 13(3) kJ/mol. Oltre alla determinazione della sensibilità di calibrazione è stato determinato il limite massimo di misura di differenti membrane. Le membrane con K’SV elevati presentano limiti massimo di misura più bassi. Per estendere l’intervallo di lavoro verso l’alto senza dover rinunciare completamente a un’elevata sensibilità sono state seguite due vie: 1) calibrazione dinamica; 2) sistema “bi-label”. 1) La prima via sfrutta un modello di calibrazione “dinamico” che non si basa sulle intensità in condizioni di equilibrio bensì sulla forma dei profili di intensità nel tempo. E’ stato dimostrato teoricamente e confermato con dati sperimentali che la forma transiente dell’intensità durante l’uscita dell’ossigeno dalla membrana ha la forma di una sigmoide. La forma di tale sigmoide è indipendente dalla concentrazione di ossigeno da cui si parte, e l’unica cosa che varia è la posizione nel tempo del punto di flesso, che può quindi essere utilizzata come grandezza sperimentale diagnostica al posto dell’intensità luminosa. Il vantaggio è che la posizione del punto di flesso è misurabile a qualunque livello di concentrazione anche per membrane molto sensibili. La verifica di questo modello è stata effettuata su membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP inglobati in PSF. E’ stato dimostrato che le misure “classiche”, basate sulla misura delle intensità all’equilibrio, hanno una precisione approssimativamente costante all’aumentare della %O2 e mediamente pari al 3.5, 0.7 e 0.4 %, rispettivamente. Con il modello dinamico di calibrazione essa è invece decrescente con l’aumentare della %O2. Da questo punto di vista esso è preferibile rispetto al modello classico per basse concentrazioni di ossigeno (inferiori al 97%, 9.2%, e 7.2%, per membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP, rispettivamente). Per quanto riguarda la sensibilità è stato determinato che le misure “classiche”, risultano più sensibili rispetto alle misure secondo il metodo dinamico da noi sviluppato per membrane con elevate K’SV e a alte %O2, mentre la situazione si inverte per basse K’SV e %O2. Una sensibilità equivalente dei due metodi di misura si ottiene per %O2 pari al 60%, 6% e 2% per membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP, rispettivamente. Il metodo dinamico di calibrazione risulta quindi preferibile, oltre che per le applicazioni che richiedono un intervallo di lavoro esteso al di fuori di quello consentito dal metodo “classico”, anche per misure di basse concentrazioni di ossigeno. Per contro, la misura del profilo di emissione è più laboriosa rispetto a quella della misura diretta dell’intensità emessa in condizioni e richiede l’utilizzo di un gas di riferimento (generalmente azoto), limitando le prospettive di applicazione nel campo dei sensori portatili. 2) Il secondo approccio ha portato alla realizzazione di un sensore contenente due luminofori inglobati nella stessa matrice. È stato razionalizzato il comportamento di tali sensori dal punto di vista teorico e ne sono state verificate le caratteristiche sperimentalmente per due casi studio: una miscela di Ru(dpp) e PtTPP in PSF e una di PtTPP e PdTFPP in PVC. E’ stato dimostrato che, all’interno della matrice, i due luminofori si comportano indipendentemente tra di loro. In questo modo è stato possibile ricavare un grafico di lavoro che predice le composizioni ottimali per ottenere sensori in grado di effettuare misure in un intervallo di concentrazioni prestabilite, ottimizzando la sensibilità. Nei casi considerati, volendo ottenere sensori in grado di monitorare tutto l’intervallo 0-100 , sono state scelte coppie di luminofori con K’SV vicine a 0.02 (K’SV (Ru(dpp) in PSF)= 0.014, K’SV(PtTPP in PVC)=0.019) e a 0.2 (K’SV (PtTPP in PSF)= 0.14, K’SV(PdTFPP in PVC)=0.27). La frazione molare ottimale dei due luminofori deve essere scelta in modo che la frazione di intensità luminosa emessa dalla PtTPP nelle due membrane sensibili sia pari a 0.45 e 0.31 per PSF e PVC, rispettivamente. Lo studio effettuato ha permesso di realizzare un prototipo di sensore per un utilizzo commerciale. Le caratteristiche ricercate di massima robustezza e indipendenza da fattori strumentali della misura dell’intensità luminosa, sono state ottenute mediante l’uso di sorgenti pulsate per ridurre la fotodegradazione dello strato sensibile e di fibre ottiche per isolare le sorgenti LED ed i rivelatori a fotodiodo dalle variazioni di temperatura dell’ambiente di misura. È stato inoltre sviluppato un software in grado di controllare simultaneamente le diverse strumentazioni necessarie (flussimetri, generatore di segnale, termostato, ecc.) e di automatizzare sia le misure sia i calcoli necessari per gestire e monitorare il comportamento dei sensori durante i test di prova, che sono consistiti in calibrazioni in continuo per 24 ore al giorno e per 30 giorni. Al termine del test a temperatura ambiente su membrane contenenti PtTFPP in PSF si è osservato un calo medio dell’intensità luminosa del 7.1%, e un’ottima ripetibilità delle misure. A 90°C il calo di intensità per membrane analoghe è stato decisamente superiore, pari al 28.7%, ma una volta corretto con l’algoritmo sopra menzionato la ripetibilità delle misure è risultata comunque ottima. E’ stato infine realizzato e testato un prototipo di sensore adatto alle prove sul campo, in particolare per un’applicazione particolarmente complessa che prevede il monitoraggio in continuo dell’ossigeno in una massa di rifiuto umido in fase di compostaggio, nella quale si può raggiungere la temperatura di 80°C. La precisione del sensore è stata stimata dalla deviazione standard sulla mediana delle misure, ottenendo valori inferiori a 0.3% O2 per ogni livello di concentrazione. Come stima dell’esattezza è stato preso l’errore relativo della misura di miscele a titolo noto, ottenendo valori inferiori al 4%.
OXYGEN OPTICAL SENSORS BASED ON LUMINESCENCE QUENCHING OF ORGANOMETALLIC COMPLEXES EMBEDDED IN POLIMERIC MATRIXES
MONDIN, ANDREA
2011
Abstract
L’argomento di ricerca sviluppato durante la Scuola di Dottorato è stato lo studio di sensori ottici per il monitoraggio dell’ossigeno molecolare. Il principio di funzionamento di questi sensori è dato dallo spegnimento della luminescenza di luminofori metallorganici inglobati in una matrice polimerica. La luminescenza viene indotta per eccitazione del luminoforo con una sorgente LED e è raccolta da un rilevatore a fotodiodo. I sensori basati su questo principio costituiscono una valida alternativa ai sensori elettrochimici attualmente in uso, in quanto permettono misure “in situ” e in tempo reale, ed in modo non distruttivo. Sono inoltre più robusti limitando sia la necessità di frequenti calibrazioni che la frequente sostituzione delle membrane. È stata focalizzata l’attenzione principalmente sui sensori che si basano sulla misura delle intensità luminose, piuttosto che su quella dei tempi di vita, in quanto più promettenti per realizzare sensori a basso costo adatti per applicazioni industriali. L’obiettivo finale è quello di realizzare un sensore robusto ed economico, in grado di misurare l’ossigeno in un ampio intervallo di concentrazioni e di sopportare temperature fino ai 90°C, condizione per la quale non esistono a tutt’oggi prodotti commerciali. Lo spegnimento della luminescenza è legato alla quantità di ossigeno molecolare a seguito di quenching, secondo il modello di Stern-Volmer (SV), da cui si ottiene la seguente relazione: I0/I=1-K'sv*%O2 dove con I0/I si indica il rapporto tra l’intensità luminosa emessa in assenza e in presenza di ossigeno e con τ0/τ l’analogo rapporto tra i tempi di vita nelle due situazioni. Questo rapporto è proporzionale alla percentuale di ossigeno %O2 secondo una costante K’SV che risulta proporzionale al tempo di vita in assenza di ossigeno, τ0, al coefficiente di diffusione dell’ossigeno nella membrana, e alla sua solubilità, . Al fine di ottimizzare le caratteristiche analitiche delle membrane sensibili sono stati testati svariati luminofori con differenti tempi di vita in assenza di ossigeno: Rutenio tris(4,7-difenil-1,10-fenantrolina) (Ru(dpp), τ0=6μs), Platino 5,10,15,20-tetrafenilporfirina (PtTPP, τ0=50μs), Platino-5,10,15,20-tetra(pentafluorofenil)porfirina (PtTFPP, τ0=70μs), Palladio5,10,15,20-tetra(pentafluorofenil)porfirina (PdTFPP, τ0=850μs) e Palladio2,3,7,8,12,13,17,18-ottaetilporfirina (PdOEP τ0=990μs). Questi luminofori sono stati inglobati all’interno di polimeri organici: polisulfone (PSF) e polivinilcloruro (PVC). Sono state ottimizzate le procedure di deposizione sia per spin-coating che per dip-coating, . E’ stata introdotta una modifica al modello di SV, al fine di scorporare dal valore di emissione sperimentale i contributi non contemplati dal modello di SV. In particolare la nuova procedura permette di scorporare il contributo di emissione attribuibile alla parte di luminoforo all’interno della membrana non raggiungibile dall’ossigeno. Questa modifica ha permesso di constatare che la curvatura della calibrazione di SV documentata in diversi lavori riportati in letteratura è dovuta al citato contributo. Operando in questo modo è stata dimostrata la linearità del modello di SV per tre differenti tipologie di membrane utilizzate, contenenti differenti luminofori (Ru(dpp), PtTPP e PdTFPP) inglobati in PSF e caratterizzate da differenti K’SV (0.014, 0.136, 1.79). È stato poi analizzato l’effetto della deriva dell’intensità luminosa nel tempo, dovuta a fenomeni di degradazione del luminoforo, sviluppando un algoritmo di correzione di tali effetti. È stato osservato che il complesso del rutenio presenta una deriva significativa del segnale di -1,01•10-4 s-1 a 30 °C, mentre per tutte le porfirine essa è risultata di due ordini di grandezza più bassa. Il problema della deriva diviene fondamentale quando si considera il funzionamento del sensore ad alte temperature, situazioni nelle quali il contributo della termodegradazione del luminoforo può diventare rilevante. Lo studio di questi sistemi ha permesso di ricavare alcune importanti caratteristiche chimico-fisiche come le energie di attivazione dei differenti processi coinvolti. A questo scopo è stato studiato specificamente il comportamento dell’emissione di un sensore contenente PtTFPP inglobata in PSF. Dalle misure dell’andamento della costante di Stern-Volmer (K’SV), dell’intensità di emissione (I0) e del tempo di risposta (t1) al variare della temperatura, utilizzando opportuni modelli fisici quali l’equazione di Arrhenius, sono state ricavate le energie libere di attivazione (ΔG‡) dei processi di diffusione e di decadimento radiativo che sono risultate pari a 2.8(0.3) kJ/mole e 16.5(0.5) kJ/mol, rispettivamente. E’ stato determinato inoltre il ΔH relativo alla solubilità dell’ossigeno all’interno della membrana polimerica, risultato pari a 13(3) kJ/mol. Oltre alla determinazione della sensibilità di calibrazione è stato determinato il limite massimo di misura di differenti membrane. Le membrane con K’SV elevati presentano limiti massimo di misura più bassi. Per estendere l’intervallo di lavoro verso l’alto senza dover rinunciare completamente a un’elevata sensibilità sono state seguite due vie: 1) calibrazione dinamica; 2) sistema “bi-label”. 1) La prima via sfrutta un modello di calibrazione “dinamico” che non si basa sulle intensità in condizioni di equilibrio bensì sulla forma dei profili di intensità nel tempo. E’ stato dimostrato teoricamente e confermato con dati sperimentali che la forma transiente dell’intensità durante l’uscita dell’ossigeno dalla membrana ha la forma di una sigmoide. La forma di tale sigmoide è indipendente dalla concentrazione di ossigeno da cui si parte, e l’unica cosa che varia è la posizione nel tempo del punto di flesso, che può quindi essere utilizzata come grandezza sperimentale diagnostica al posto dell’intensità luminosa. Il vantaggio è che la posizione del punto di flesso è misurabile a qualunque livello di concentrazione anche per membrane molto sensibili. La verifica di questo modello è stata effettuata su membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP inglobati in PSF. E’ stato dimostrato che le misure “classiche”, basate sulla misura delle intensità all’equilibrio, hanno una precisione approssimativamente costante all’aumentare della %O2 e mediamente pari al 3.5, 0.7 e 0.4 %, rispettivamente. Con il modello dinamico di calibrazione essa è invece decrescente con l’aumentare della %O2. Da questo punto di vista esso è preferibile rispetto al modello classico per basse concentrazioni di ossigeno (inferiori al 97%, 9.2%, e 7.2%, per membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP, rispettivamente). Per quanto riguarda la sensibilità è stato determinato che le misure “classiche”, risultano più sensibili rispetto alle misure secondo il metodo dinamico da noi sviluppato per membrane con elevate K’SV e a alte %O2, mentre la situazione si inverte per basse K’SV e %O2. Una sensibilità equivalente dei due metodi di misura si ottiene per %O2 pari al 60%, 6% e 2% per membrane contenenti Ru(dpp), PtTPP o PdTFPP, rispettivamente. Il metodo dinamico di calibrazione risulta quindi preferibile, oltre che per le applicazioni che richiedono un intervallo di lavoro esteso al di fuori di quello consentito dal metodo “classico”, anche per misure di basse concentrazioni di ossigeno. Per contro, la misura del profilo di emissione è più laboriosa rispetto a quella della misura diretta dell’intensità emessa in condizioni e richiede l’utilizzo di un gas di riferimento (generalmente azoto), limitando le prospettive di applicazione nel campo dei sensori portatili. 2) Il secondo approccio ha portato alla realizzazione di un sensore contenente due luminofori inglobati nella stessa matrice. È stato razionalizzato il comportamento di tali sensori dal punto di vista teorico e ne sono state verificate le caratteristiche sperimentalmente per due casi studio: una miscela di Ru(dpp) e PtTPP in PSF e una di PtTPP e PdTFPP in PVC. E’ stato dimostrato che, all’interno della matrice, i due luminofori si comportano indipendentemente tra di loro. In questo modo è stato possibile ricavare un grafico di lavoro che predice le composizioni ottimali per ottenere sensori in grado di effettuare misure in un intervallo di concentrazioni prestabilite, ottimizzando la sensibilità. Nei casi considerati, volendo ottenere sensori in grado di monitorare tutto l’intervallo 0-100 , sono state scelte coppie di luminofori con K’SV vicine a 0.02 (K’SV (Ru(dpp) in PSF)= 0.014, K’SV(PtTPP in PVC)=0.019) e a 0.2 (K’SV (PtTPP in PSF)= 0.14, K’SV(PdTFPP in PVC)=0.27). La frazione molare ottimale dei due luminofori deve essere scelta in modo che la frazione di intensità luminosa emessa dalla PtTPP nelle due membrane sensibili sia pari a 0.45 e 0.31 per PSF e PVC, rispettivamente. Lo studio effettuato ha permesso di realizzare un prototipo di sensore per un utilizzo commerciale. Le caratteristiche ricercate di massima robustezza e indipendenza da fattori strumentali della misura dell’intensità luminosa, sono state ottenute mediante l’uso di sorgenti pulsate per ridurre la fotodegradazione dello strato sensibile e di fibre ottiche per isolare le sorgenti LED ed i rivelatori a fotodiodo dalle variazioni di temperatura dell’ambiente di misura. È stato inoltre sviluppato un software in grado di controllare simultaneamente le diverse strumentazioni necessarie (flussimetri, generatore di segnale, termostato, ecc.) e di automatizzare sia le misure sia i calcoli necessari per gestire e monitorare il comportamento dei sensori durante i test di prova, che sono consistiti in calibrazioni in continuo per 24 ore al giorno e per 30 giorni. Al termine del test a temperatura ambiente su membrane contenenti PtTFPP in PSF si è osservato un calo medio dell’intensità luminosa del 7.1%, e un’ottima ripetibilità delle misure. A 90°C il calo di intensità per membrane analoghe è stato decisamente superiore, pari al 28.7%, ma una volta corretto con l’algoritmo sopra menzionato la ripetibilità delle misure è risultata comunque ottima. E’ stato infine realizzato e testato un prototipo di sensore adatto alle prove sul campo, in particolare per un’applicazione particolarmente complessa che prevede il monitoraggio in continuo dell’ossigeno in una massa di rifiuto umido in fase di compostaggio, nella quale si può raggiungere la temperatura di 80°C. La precisione del sensore è stata stimata dalla deviazione standard sulla mediana delle misure, ottenendo valori inferiori a 0.3% O2 per ogni livello di concentrazione. Come stima dell’esattezza è stato preso l’errore relativo della misura di miscele a titolo noto, ottenendo valori inferiori al 4%.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/174175
URN:NBN:IT:UNIPD-174175