La ‘fortuna’ dell’Octavia, dall'antichità all’umanesimo padovano L’Octavia è tramandata esclusivamente all’interno della recensione A, che costituisce il ramo di gran lunga più ricco ma anche più recente dei codici che hanno trasmesso le tragedie senecane (i manoscritti più antichi risalgono al XIII secolo). Appartiene al genere teatrale della praetexta del quale abbiamo poche e frammentarie testimonianze. Tuttavia l’analisi della Pro Sestio (sulla messa in scena di un copione miscellaneo incentrato sull’esilio dell’oratore) e di un’epistola di Asinio Pollione (in Cic., Fam. 10, 32, 3 e 5 del 43 a.C.) su una praetexta composta dal cesariano Balbo sulle proprie imprese hanno permesso di individuare alcune peculiarità strutturali e tematiche di questo genere tratrale. Questi dati comportano la possibilità di una performance autocelebrativa o comunque tale da contemplare l’intervento del diretto interessato. In un dramma che tragga argomento da un evento storico i limiti intrinseci scaturiscono dalla contingenza dei fatti rappresentati che, allontanandosi nel tempo, perdono la loro attualità e, con essa, l’interesse del pubblico. Nella praetexta altorepubblicana questo limite veniva probabilmente bypassato proiettando il protagonista dell’evento storico rappresentato sul piano degli eroi che avevano reso grande Roma (Romolo, Bruto Collatino, Camillo) e facendo rivivere in esso le virtù identificative della romanità. L’azione scenica passava verosimilmente in secondo piano prevalendo invece le finalità celebrative della performance: pertanto, se come genere teatrale la praetexta conosce una certa vitalità, i singoli testi vanno incontro ad un rapido ‘consumo’. Sappiamo comunque di qualche ripresa funzionale al clima politico di particolari momenti storici: ai ludi Apollinari del 44 Bruto aveva programmato non casualmente la rappresentazione del Brutus, ma C. Antonio che lo sostituì nella carica di praetor urbanus optò per un dramma d’argomento mitologico, politicamente più neutro. La testimonianza, contenuta nell’epistolario di Cicerone rivela un uso propagandistico della praetexta come genere teatrale ma il fatto stesso che potesse essere portata sulla scena una praetexta del vecchio repertorio conferma altresì che essa doveva offrire punti d’aggancio con l’attualità e che la sua vitalità era strettamente legata a fattori extratestuali. L’analisi della struttura drammaturgica dell’Octavia dei rapporti fra intreccio (ordo artificialis del racconto) e storia (ricostruzione dei fatti su base documentaria) portano alla luce alcune caratteristiche essenziali: l’intreccio estrapola dalla storia singoli nuclei drammatici che risultano giustapposti, affidando la ricostruzione dei fatti lasciati in ellissi alla interazione dei fruitori, il che presuppone un pubblico sostanzialmente contemporaneo agli eventi rappresentati. L’ indagine su termini, iuncturae, topoi dell’Octavia ha evidenziato, soprattutto nei vv. 1-600 circa una complessa trama di rimandi intertestuali che non si risolvono in mera imitazione di un modello poetico ma rivelano varietà di fonti e ricerca di soluzioni innovative mentre più poveri e prosastici sono risultati i versi rimanenti. Di particolare peso è risultata la presenza del Seneca filosofo e di formule tipiche del suo linguaggio tragico. Illuminante ci è parsa a questo proposito la tranche del monologo senecano sul ciclo delle generazioni umane. Degli autori che trattano o evocano questo tema, l’autore dell’Octavia e il Seneca dell’ Ep. 90 sono accomunati da riferimenti filosofici che non reperiamo altrove e che rivelano in filigrana una matrice platonica, in particolar modo dell’ultimo Platone, quello del Politico. E’ pertanto logico inferirne un legame piuttosto forte fra i due documenti letterari, che difficilemente può inquadrarsi nelle strategie di imitatio e aemulatio che sono comunemente praticate nella letteratura latina. Lo iato stilistico e strutturale che già abbiamo rilevato induce a formulare l’ipotesi che l’Octavia sia stata elaborata nell’entourage di Seneca, forse quando era ancora in vita il filosofo e sotto la sua supervisione, se non col suo personale apporto, e che fosse destinata inizialmente ad una circolazione privata, giacché difficilmente un’opera marcatamente antineroniana come l’Octavia può aver fruito dei canali tradizionali. La violenta repressione delle congiure antitiranniche che si susseguirono fra il 65 e il 68 e la morte del filosofo devono aver bruscamente interrotto la composizione della tragedia che, in un secondo momento, un editore / autore molto vicino a Seneca può aver completato e dato alle scene onde riabilitare la memoria del filosofo che non doveva essere uscita cristallina dalle vicende, come sappiamo dallo stesso Tacito e come si può intuire dalla presenza di una fonte antisenecana nell’opera di Cassio Dione. Se le cose stanno così, anche l’Octavia deve essere circolata nell’edizione postuma delle tragedie di Seneca (l’archetipo omega di Zwierlein), prima che la tradizione si suddividesse nei due rami E e A. La presenza nella poesia della tarda latinità di stilemi che appaiono peculiari dell’Octavia depone favore di una sua fruizione nel tardo-antico (ad es., Boezio, Claudiano, Agostino): dal confronto dei luoghi senecani noti ad Agostino con le due redazioni del corpus si può inferire che l’Ipponate usasse la redazione E; si può altresi estendere la medesima inferenza anche per quei luoghi di Agostino che sembrano risalire all’Octavia. Di una fruizione di questa tragedia sembrerebbe esservi traccia anche nella latinità medievale: gli autori che riecheggiano stilemi della praetexta consentono anche di delineare l’area di trasmissione fra la Francia del Nord e l’Irlanda, aree culturali alle quali è legata la sopravvivenza di parecchi opere latine che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute.

La 'fortuna' dell'Octavia dall'antichità all'umanesimo padovano

Maria Giovanna, La Conte
2010

Abstract

La ‘fortuna’ dell’Octavia, dall'antichità all’umanesimo padovano L’Octavia è tramandata esclusivamente all’interno della recensione A, che costituisce il ramo di gran lunga più ricco ma anche più recente dei codici che hanno trasmesso le tragedie senecane (i manoscritti più antichi risalgono al XIII secolo). Appartiene al genere teatrale della praetexta del quale abbiamo poche e frammentarie testimonianze. Tuttavia l’analisi della Pro Sestio (sulla messa in scena di un copione miscellaneo incentrato sull’esilio dell’oratore) e di un’epistola di Asinio Pollione (in Cic., Fam. 10, 32, 3 e 5 del 43 a.C.) su una praetexta composta dal cesariano Balbo sulle proprie imprese hanno permesso di individuare alcune peculiarità strutturali e tematiche di questo genere tratrale. Questi dati comportano la possibilità di una performance autocelebrativa o comunque tale da contemplare l’intervento del diretto interessato. In un dramma che tragga argomento da un evento storico i limiti intrinseci scaturiscono dalla contingenza dei fatti rappresentati che, allontanandosi nel tempo, perdono la loro attualità e, con essa, l’interesse del pubblico. Nella praetexta altorepubblicana questo limite veniva probabilmente bypassato proiettando il protagonista dell’evento storico rappresentato sul piano degli eroi che avevano reso grande Roma (Romolo, Bruto Collatino, Camillo) e facendo rivivere in esso le virtù identificative della romanità. L’azione scenica passava verosimilmente in secondo piano prevalendo invece le finalità celebrative della performance: pertanto, se come genere teatrale la praetexta conosce una certa vitalità, i singoli testi vanno incontro ad un rapido ‘consumo’. Sappiamo comunque di qualche ripresa funzionale al clima politico di particolari momenti storici: ai ludi Apollinari del 44 Bruto aveva programmato non casualmente la rappresentazione del Brutus, ma C. Antonio che lo sostituì nella carica di praetor urbanus optò per un dramma d’argomento mitologico, politicamente più neutro. La testimonianza, contenuta nell’epistolario di Cicerone rivela un uso propagandistico della praetexta come genere teatrale ma il fatto stesso che potesse essere portata sulla scena una praetexta del vecchio repertorio conferma altresì che essa doveva offrire punti d’aggancio con l’attualità e che la sua vitalità era strettamente legata a fattori extratestuali. L’analisi della struttura drammaturgica dell’Octavia dei rapporti fra intreccio (ordo artificialis del racconto) e storia (ricostruzione dei fatti su base documentaria) portano alla luce alcune caratteristiche essenziali: l’intreccio estrapola dalla storia singoli nuclei drammatici che risultano giustapposti, affidando la ricostruzione dei fatti lasciati in ellissi alla interazione dei fruitori, il che presuppone un pubblico sostanzialmente contemporaneo agli eventi rappresentati. L’ indagine su termini, iuncturae, topoi dell’Octavia ha evidenziato, soprattutto nei vv. 1-600 circa una complessa trama di rimandi intertestuali che non si risolvono in mera imitazione di un modello poetico ma rivelano varietà di fonti e ricerca di soluzioni innovative mentre più poveri e prosastici sono risultati i versi rimanenti. Di particolare peso è risultata la presenza del Seneca filosofo e di formule tipiche del suo linguaggio tragico. Illuminante ci è parsa a questo proposito la tranche del monologo senecano sul ciclo delle generazioni umane. Degli autori che trattano o evocano questo tema, l’autore dell’Octavia e il Seneca dell’ Ep. 90 sono accomunati da riferimenti filosofici che non reperiamo altrove e che rivelano in filigrana una matrice platonica, in particolar modo dell’ultimo Platone, quello del Politico. E’ pertanto logico inferirne un legame piuttosto forte fra i due documenti letterari, che difficilemente può inquadrarsi nelle strategie di imitatio e aemulatio che sono comunemente praticate nella letteratura latina. Lo iato stilistico e strutturale che già abbiamo rilevato induce a formulare l’ipotesi che l’Octavia sia stata elaborata nell’entourage di Seneca, forse quando era ancora in vita il filosofo e sotto la sua supervisione, se non col suo personale apporto, e che fosse destinata inizialmente ad una circolazione privata, giacché difficilmente un’opera marcatamente antineroniana come l’Octavia può aver fruito dei canali tradizionali. La violenta repressione delle congiure antitiranniche che si susseguirono fra il 65 e il 68 e la morte del filosofo devono aver bruscamente interrotto la composizione della tragedia che, in un secondo momento, un editore / autore molto vicino a Seneca può aver completato e dato alle scene onde riabilitare la memoria del filosofo che non doveva essere uscita cristallina dalle vicende, come sappiamo dallo stesso Tacito e come si può intuire dalla presenza di una fonte antisenecana nell’opera di Cassio Dione. Se le cose stanno così, anche l’Octavia deve essere circolata nell’edizione postuma delle tragedie di Seneca (l’archetipo omega di Zwierlein), prima che la tradizione si suddividesse nei due rami E e A. La presenza nella poesia della tarda latinità di stilemi che appaiono peculiari dell’Octavia depone favore di una sua fruizione nel tardo-antico (ad es., Boezio, Claudiano, Agostino): dal confronto dei luoghi senecani noti ad Agostino con le due redazioni del corpus si può inferire che l’Ipponate usasse la redazione E; si può altresi estendere la medesima inferenza anche per quei luoghi di Agostino che sembrano risalire all’Octavia. Di una fruizione di questa tragedia sembrerebbe esservi traccia anche nella latinità medievale: gli autori che riecheggiano stilemi della praetexta consentono anche di delineare l’area di trasmissione fra la Francia del Nord e l’Irlanda, aree culturali alle quali è legata la sopravvivenza di parecchi opere latine che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute.
2010
Italiano
Seneca Octavia praetexta
Università degli studi di Padova
339
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-174739