Questa ricerca verte sulla natura dell’efficacia causale della legge, cioè sul modo in cui il comando giuridico viene comunicato dall’autorità ed è ricevuto da chi deve obbedirlo. Nei termini della filosofia politica di tradizione aristotelica, si tratta del classico problema del “governo su uomini liberi e uguali”, cioè, del problema di rendere compatibile il governo politico con la libertà dell’atto umano e i diritti politici. Nei termini della filosofia pratica kantiana, il problema consiste nel rendere compatibili l’autonomia morale del singolo con l’eteronomia dell’ordinamento giuridico, cioè nel giustificare il dominio dell’uomo sull’uomo in modo tale che il cittadino obbedisca alle leggi senza sottomettersi ad una volontà estranea alla propria. La questione richiede una particolare attenzione al problema della natura del vincolo politico, in quanto la comunicazione del comando giuridico si fonda necessariamente su ciò che i membri della società hanno in comune. Il lavoro è diviso quindi in due parti. Nella prima viene proposto un modello di filosofia pratica la cui struttura fondamentale è comune ai maggiori teorici politici della modernità: una “morale dell’obbligo” fondata sull’opposizione tra legge (dovere) e libertà (volere soggettivo), che trova le sue origini nel volontarismo nominalistico della scolastica. A partire da questa struttura, il nostro problema si presenta al modo di un dilemma: se la legge scaturisce dalla propria volontà (autonomia), risulta necessario spiegare come è possibile comandare su se stesso; se, d’altra parte, la legge scaturisce da una volontà diversa ed estranea (eteronomia), allora risulta necessario spiegare la sua differenza con la mera forza coattiva. In questo contesto, vengono quindi esaminate le teorie di Hobbes e di Rousseau in quanto costituiscono la matrice teorica della filosofia politica posteriore e in quanto rappresentano i due poli dialettici di questa opposizione. Le conclusioni relative a questi autori verranno applicate poi, rispettivamente, a Kelsen e a Kant. Nella seconda parte, viene proposta una ricostruzione della posizione della filosofia classica riguardo a questo problema, intendendo per “filosofia classica” la tradizione iniziata con Platone, continuata con Aristotele e che raggiunge una nuova cima con San Tommaso d’Aquino. In questa seconda parte si presenta un modello “classico” di filosofia pratica inteso come “ordine di amori” che accomuna questi autori, per procedere poi a esporre due tesi fondamentali. La prima è che la legge è una ordine razionale comunicabile, la cui efficacia si fonda sulla partecipazione dell’atto d’“imperium” dell’autorità nell’“imperium” soggettivo del singolo sui propri atti. La seconda è che il principio di questa comunicazione consiste nella “concordia politica” intesa come amicizia utile relativa ai fini comuni di una società, e che la sua concreta realizzazione nell’anima del cittadino costituisce la virtù politica, la quale è analoga alla virtù dell’uomo buono con la stessa analogia platonica che intercorre tra l’anima dell’uomo e la città o lo Stato.

Autonomia come partecipazione: Un'indagine sulla legge come causa dell'atto umano ovvero sul problema del governo su uomini liberi e uguali

LETELIER WIDOW, GOLZALO JOSÈ MARIA
2011

Abstract

Questa ricerca verte sulla natura dell’efficacia causale della legge, cioè sul modo in cui il comando giuridico viene comunicato dall’autorità ed è ricevuto da chi deve obbedirlo. Nei termini della filosofia politica di tradizione aristotelica, si tratta del classico problema del “governo su uomini liberi e uguali”, cioè, del problema di rendere compatibile il governo politico con la libertà dell’atto umano e i diritti politici. Nei termini della filosofia pratica kantiana, il problema consiste nel rendere compatibili l’autonomia morale del singolo con l’eteronomia dell’ordinamento giuridico, cioè nel giustificare il dominio dell’uomo sull’uomo in modo tale che il cittadino obbedisca alle leggi senza sottomettersi ad una volontà estranea alla propria. La questione richiede una particolare attenzione al problema della natura del vincolo politico, in quanto la comunicazione del comando giuridico si fonda necessariamente su ciò che i membri della società hanno in comune. Il lavoro è diviso quindi in due parti. Nella prima viene proposto un modello di filosofia pratica la cui struttura fondamentale è comune ai maggiori teorici politici della modernità: una “morale dell’obbligo” fondata sull’opposizione tra legge (dovere) e libertà (volere soggettivo), che trova le sue origini nel volontarismo nominalistico della scolastica. A partire da questa struttura, il nostro problema si presenta al modo di un dilemma: se la legge scaturisce dalla propria volontà (autonomia), risulta necessario spiegare come è possibile comandare su se stesso; se, d’altra parte, la legge scaturisce da una volontà diversa ed estranea (eteronomia), allora risulta necessario spiegare la sua differenza con la mera forza coattiva. In questo contesto, vengono quindi esaminate le teorie di Hobbes e di Rousseau in quanto costituiscono la matrice teorica della filosofia politica posteriore e in quanto rappresentano i due poli dialettici di questa opposizione. Le conclusioni relative a questi autori verranno applicate poi, rispettivamente, a Kelsen e a Kant. Nella seconda parte, viene proposta una ricostruzione della posizione della filosofia classica riguardo a questo problema, intendendo per “filosofia classica” la tradizione iniziata con Platone, continuata con Aristotele e che raggiunge una nuova cima con San Tommaso d’Aquino. In questa seconda parte si presenta un modello “classico” di filosofia pratica inteso come “ordine di amori” che accomuna questi autori, per procedere poi a esporre due tesi fondamentali. La prima è che la legge è una ordine razionale comunicabile, la cui efficacia si fonda sulla partecipazione dell’atto d’“imperium” dell’autorità nell’“imperium” soggettivo del singolo sui propri atti. La seconda è che il principio di questa comunicazione consiste nella “concordia politica” intesa come amicizia utile relativa ai fini comuni di una società, e che la sua concreta realizzazione nell’anima del cittadino costituisce la virtù politica, la quale è analoga alla virtù dell’uomo buono con la stessa analogia platonica che intercorre tra l’anima dell’uomo e la città o lo Stato.
26-gen-2011
Italiano
Legge Comando Autonomia Eteronomia Partecipazione Imperium Concordia Homonoia Law Precept Autonomy Heteronomy Participation Imperium Concord Homonoia
Università degli studi di Padova
322
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-175015