La biodiversità è fondamentale per la conservazione degli ecosistemi e rappresenta una componente essenziale delle risorse di una nazione. Le alghe sono alla base delle catena alimentare degli ambienti marini, hanno una valenza economica, soprattutto per quanto riguarda le attività di acquacoltura e possono essere usate come specie indicatrici per valutare eventuali impatti ambientali. Sfortunatamente la biodiversità di questi organismi è attualmente minacciata da fattori quali, il riscaldamento globale, l’aumento dello stress dovuto alle attività di pesca e acquacoltura, oltre che all’introduzione di specie aliene potenzialmente invasive. Ogni anno, in Europa, l’incremento dei traffici navali con paesi extra-Mediterranei, sia per l’importazione di prodotti ittici, che per le attività di acquacoltura porta all’introduzione di nuove specie, di cui la maggior parte macroalghe. Gli ambienti lagunari sono particolarmente soggetti a questo fenomeno essendo, solitamente, i siti predisposti per gli impianti di allevamento di molluschi di importazione. Ad esempio, per quanto riguarda la laguna di Venezia, 20 macroalghe aliene sono state riportate a partire dal 1983 e altre vengono segnalate ogni anno da recenti studi. Per quanto riguarda il gruppo delle macroalghe, la discriminazione tra specie è resa particolarmente difficile se basata solo sulle caratteristiche morfologiche sia per l’elevato tasso di variazioni a livello dell’habitus del tallo legato ai diversi parametri ambientali di crescita, che per la presenza di specie criptiche e per lo stile di vita epifita di molte di esse. Negli ultimi anni gli studi effettuati su questi organismi si sono sempre più incentrati sull’uso del DNA barcoding come un metodo veloce e affidabile per l’identificazione delle diverse specie sia autoctone che alloctone. Purtroppo, per quanto riguarda le coste italiane, la maggior parte degli studi effettuati in questo campo sono ancora basati unicamente su caratteri morfologici. Per questo motivo, lo scopo principale del mio progetto di dottorato è stato quello di iniziare un indagine di tipo molecolare sulla biodiversità e distribuzione di questi organismi focalizzandomi sul mar Adriatico (Mediterraneo, Italia) e in particolare su siti affetti da intensi traffici navali e attività di acquacoltura. Attraverso questo tipo di approccio durante i tre anni di questa ricerca sono state identificate una serie di nuove specie di macroalghe alloctone: Hypnea flexicaulis, Grateloupia turuturu e Gracilaria vermiculophylla appartenenti al gruppo delle Rhodophyta e Ulva pertusa e Ulva californica facenti parte del phylum Chlorophyta. Si tratta soprattutto di specie provenienti dal Giappone dove spesso vengono coltivate in quantità massive per scopi alimentari o industriali. Due dei marker molecolari usati a questo scopo sono stati il gene plastidiale rbcL, codificante per la subunità grande dell’enzima Rubisco, e comunemente utilizzato per lo studio delle macroalghe, assieme al gene mitocondriale cox1, codificante per la subunità I dell’enzima citocromo ossidasi e proposto come miglior candidato nell’ambito del DNA barcoding delle Rhodophyta. Poiché spesso le specie alloctone possono presentare un aspetto morfologico molto simile a quello delle specie autoctone (specie criptiche), sono state effettuate delle comparazioni tra le sequenze dei nuovi campioni con quelle ottenute da campioni conservati in erbari storici. Questo al fine di capire se la specie riportata come nuova introduzione non fosse già precedentemente presente nei nostri mari e erroneamente classificata in base alla sua natura criptica. Ciò è importante per ricostruire la dinamica temporale delle introduzioni degli organismi rinvenuti oltre a dare indicazioni su quali siano le possibili popolazioni di origine dei nostri campioni e poter quindi identificare il luogo di provenienza delle varie specie. Per l’amplificazione da materiale storico, il cui DNA potrebbe essere parzialmente deteriorato, sono stati usati come marker degli spaziatori intergenici, che per la loro lunghezza di poche centinaia di basi si prestano efficacemente a questo scopo. In particolare sono stati utilizzati lo spaziatore plastidiale rbcL-rbcS, che risulta essere un buon marker per la discriminazione a livello inter specifico e il più variabile spaziatore mitocondriale cox2-cox3 utile negli studi a livello di popolazione. Molte delle specie alloctone sono caratterizzate da elevati tassi di crescita e dalla capacità di vivere anche in ambienti particolarmente eutrofizzati ed inquinati. Questo spesso causa un rapido rimpiazzo delle popolazioni autoctone di macroalche e fanerogame marine che occupano la stessa nicchia ecologica creando profonde alterazioni ambientali. Le specie alloctone, infatti, a seconda del grado di invasività, possono rappresentare una grave minaccia per la biodiversità della flora del Mediterraneo se non vengono messe in atto appropriate precauzioni. Questo è stato il caso di una specie di alga rossa, Gracilaria vermiculophylla, identificata tramite tecniche molecolari nell’area del delta del Po (Maggio 2008), e rinvenuta durante i campionamenti di questo progetto anche nelle aree della Laguna di Venezia e lungo le coste dell’Emilia-Romagna (Marzo-Maggio 2009). I nostri dati hanno riportato che questa Rhodophyta si è largamente diffusa nelle aree dell’alto Adriatico con biomasse che superano i 15 kg di peso fresco per m2. Questo ha portato a un parziale rimpiazzo di alcune specie autoctone tra cui anche alcune Ulvaceae. Oltre all’identificazione di singole specie aliene e di potenziali specie invasive, durante questo progetto, sono stati esaminati anche generi macroalgali particolarmente complessi dal punto di vista tassonomico, i cui membri sono spesso componenti dell’hull fouling e delle ballast waters delle navi e per questo motivo risultano specie macroalgali comunemente trasportate e potenzialmente introdotte in ambienti diversi dal loro areale di origine. In particolare ci siamo soffermati sui generi Ulva (Ulvaceae, Chlorophyta) e Ceramium (Ceramiaceae, Rhodophyta), entrambi taxa cosmopoliti con specie di difficile identificazione a causa dell’elevata variabilità morfologica altamente influenzata dai fattori ambientali. Sono stati scelti tre siti di campionamento: la laguna di Venezia, il litorale di Chioggia e il Lido di Venezia. I primi due affetti da intensi traffici navali e da un elevata eutrofizzazione delle acque, il terzo meno soggetto a questi fenomeni. Per quanto riguarda il genere Ulva, le analisi molecolari condotte utilizzando il gene plastidiale rbcL e il fattore di elongazione tufA (proposto come buon marker per il DNA barcoding delle alghe verdi), ha rilevato la presenza di sei diversi taxa di cui due specie aliene U. californica e U. pertusa oltre a una terza probabile nuova specie. Nel caso del genere Ceramium, la cui sistematica è oggigiorno ancora in uno stato di caos, le sequenze ottenute dall’amplificazione del gene rbcL e dello spaziatore intergenico rbcL-rbcS, dei tre gruppi morfologici identificati, sono state comparate con quelle di specie provenienti dal Nord Atlantico. Questo, assieme a un attento esame morfologico, ha permesso una corretta collocazione tassonomica dei campioni Adriatici e una revisione delle specie finora segnalate per quest’area. Inoltre, le analisi molecolari di alcuni campioni di dubbia identità ha rilevato la presenza di possibili nuove specie. Spesso questi ritrovamenti non sono dovuti a introduzioni da aree extra-Mediterranee ma possono essere causate dalla natura criptica di questi taxa, che li rende facilmente confondibili dal punto di vista morfologico, con altre specie già descritte per l’area di studio. E’ questo il caso di una nuova specie di Gracilaria rinvenuta in Laguna di Venezia che è stata identificata tramite il gene rbcL e lo spaziatore rbcL-rbcS e di cui è stata effettuata una caratterizzazione completa sia dal punto di vista della morfologia che da quello della composizione in pigmenti. Questa nuova entità va ad aggiungersi alle altre 11 specie di Gracilaria riportate per il Mar Mediterraneo. Tutti gli studi effettuati durante questo progetto sottolineano la difficoltà di identificazione degli organismi macroalgali e i problemi tassonomici correlati a questo e tuttora irrisolti. Un esempio è la moltitudine di nomi e/o sinonimi registrati per la stessa specie spesso usati per identificare campioni provenienti da diverse aree del mondo a seconda delle diverse chiavi dicotomiche utilizzate o a causa della presenza di diversi morfotipi. A tutt’oggi questo rappresenta un ostacolo per lo sviluppo di una tassonomia universale e più oggettiva dei gruppi macroalgali. Gli studi sistematici atti a risolvere questo tipo di problemi spesso si basano sulla comparazione con campioni tipo delle varie specie conservati in collezioni storiche. Dato lo sviluppo delle tecniche molecolari anche per quanto riguarda il materiale storico, gli erbari sono diventati una preziosa fonte di informazione per i tassonomi moderni. Durante il mio dottorato ho iniziato uno studio molecolare sulla specie tipo del genere Gracilaria (G. bursa-pastoris) caratterizzata da un ampia variabilità fenotipica. Infatti i campioni freschi raccolti nelle aree di Venezia e Taranto presentavano morfologie dei talli molto diverse, tali da mettere in dubbio la loro appartenenza alla specie G. bursa-pastoris. Per questo motivo sono stati presi in esame anche campioni storici (erbario A. Forti 1927 conservato all’Orto Botanico dell’Università di Padova) oltre che il lectotipo del genere ottenuto dalla collezione storica di Agardh del Museo Botanico dell’Università di Lund (Svezia). La comparazione con il materiale storico e soprattutto con il campione tipo ha rilevato che si trattava di morfotipi attribuibili tutti effettivamente a G. bursa-pastoris, tranne che per un campione di algario (Savona, 1869) che era stato al tempo erroneamente classificato su base morfologica e che rappresenta invece una nuova specie mai sequenziata finora. Questo progetto di Dottorato rappresenta il primo studio sulla biodiversità macroalgale del mar Adriatico basato su un approccio molecolare. I risultati ottenuti hanno rivelato che il DNA barcoding rappresenta un metodo efficace per la discriminazione delle specie e permette di ottenere, così, una visione oggettiva delle entità presenti nelle diverse aree di studio.
Molecular and morphological investigations on seaweed biodiversity and alien introductions in the Adriatic Sea (Mediterranean, Italy)
WOLF, MARION ADELHEID
2012
Abstract
La biodiversità è fondamentale per la conservazione degli ecosistemi e rappresenta una componente essenziale delle risorse di una nazione. Le alghe sono alla base delle catena alimentare degli ambienti marini, hanno una valenza economica, soprattutto per quanto riguarda le attività di acquacoltura e possono essere usate come specie indicatrici per valutare eventuali impatti ambientali. Sfortunatamente la biodiversità di questi organismi è attualmente minacciata da fattori quali, il riscaldamento globale, l’aumento dello stress dovuto alle attività di pesca e acquacoltura, oltre che all’introduzione di specie aliene potenzialmente invasive. Ogni anno, in Europa, l’incremento dei traffici navali con paesi extra-Mediterranei, sia per l’importazione di prodotti ittici, che per le attività di acquacoltura porta all’introduzione di nuove specie, di cui la maggior parte macroalghe. Gli ambienti lagunari sono particolarmente soggetti a questo fenomeno essendo, solitamente, i siti predisposti per gli impianti di allevamento di molluschi di importazione. Ad esempio, per quanto riguarda la laguna di Venezia, 20 macroalghe aliene sono state riportate a partire dal 1983 e altre vengono segnalate ogni anno da recenti studi. Per quanto riguarda il gruppo delle macroalghe, la discriminazione tra specie è resa particolarmente difficile se basata solo sulle caratteristiche morfologiche sia per l’elevato tasso di variazioni a livello dell’habitus del tallo legato ai diversi parametri ambientali di crescita, che per la presenza di specie criptiche e per lo stile di vita epifita di molte di esse. Negli ultimi anni gli studi effettuati su questi organismi si sono sempre più incentrati sull’uso del DNA barcoding come un metodo veloce e affidabile per l’identificazione delle diverse specie sia autoctone che alloctone. Purtroppo, per quanto riguarda le coste italiane, la maggior parte degli studi effettuati in questo campo sono ancora basati unicamente su caratteri morfologici. Per questo motivo, lo scopo principale del mio progetto di dottorato è stato quello di iniziare un indagine di tipo molecolare sulla biodiversità e distribuzione di questi organismi focalizzandomi sul mar Adriatico (Mediterraneo, Italia) e in particolare su siti affetti da intensi traffici navali e attività di acquacoltura. Attraverso questo tipo di approccio durante i tre anni di questa ricerca sono state identificate una serie di nuove specie di macroalghe alloctone: Hypnea flexicaulis, Grateloupia turuturu e Gracilaria vermiculophylla appartenenti al gruppo delle Rhodophyta e Ulva pertusa e Ulva californica facenti parte del phylum Chlorophyta. Si tratta soprattutto di specie provenienti dal Giappone dove spesso vengono coltivate in quantità massive per scopi alimentari o industriali. Due dei marker molecolari usati a questo scopo sono stati il gene plastidiale rbcL, codificante per la subunità grande dell’enzima Rubisco, e comunemente utilizzato per lo studio delle macroalghe, assieme al gene mitocondriale cox1, codificante per la subunità I dell’enzima citocromo ossidasi e proposto come miglior candidato nell’ambito del DNA barcoding delle Rhodophyta. Poiché spesso le specie alloctone possono presentare un aspetto morfologico molto simile a quello delle specie autoctone (specie criptiche), sono state effettuate delle comparazioni tra le sequenze dei nuovi campioni con quelle ottenute da campioni conservati in erbari storici. Questo al fine di capire se la specie riportata come nuova introduzione non fosse già precedentemente presente nei nostri mari e erroneamente classificata in base alla sua natura criptica. Ciò è importante per ricostruire la dinamica temporale delle introduzioni degli organismi rinvenuti oltre a dare indicazioni su quali siano le possibili popolazioni di origine dei nostri campioni e poter quindi identificare il luogo di provenienza delle varie specie. Per l’amplificazione da materiale storico, il cui DNA potrebbe essere parzialmente deteriorato, sono stati usati come marker degli spaziatori intergenici, che per la loro lunghezza di poche centinaia di basi si prestano efficacemente a questo scopo. In particolare sono stati utilizzati lo spaziatore plastidiale rbcL-rbcS, che risulta essere un buon marker per la discriminazione a livello inter specifico e il più variabile spaziatore mitocondriale cox2-cox3 utile negli studi a livello di popolazione. Molte delle specie alloctone sono caratterizzate da elevati tassi di crescita e dalla capacità di vivere anche in ambienti particolarmente eutrofizzati ed inquinati. Questo spesso causa un rapido rimpiazzo delle popolazioni autoctone di macroalche e fanerogame marine che occupano la stessa nicchia ecologica creando profonde alterazioni ambientali. Le specie alloctone, infatti, a seconda del grado di invasività, possono rappresentare una grave minaccia per la biodiversità della flora del Mediterraneo se non vengono messe in atto appropriate precauzioni. Questo è stato il caso di una specie di alga rossa, Gracilaria vermiculophylla, identificata tramite tecniche molecolari nell’area del delta del Po (Maggio 2008), e rinvenuta durante i campionamenti di questo progetto anche nelle aree della Laguna di Venezia e lungo le coste dell’Emilia-Romagna (Marzo-Maggio 2009). I nostri dati hanno riportato che questa Rhodophyta si è largamente diffusa nelle aree dell’alto Adriatico con biomasse che superano i 15 kg di peso fresco per m2. Questo ha portato a un parziale rimpiazzo di alcune specie autoctone tra cui anche alcune Ulvaceae. Oltre all’identificazione di singole specie aliene e di potenziali specie invasive, durante questo progetto, sono stati esaminati anche generi macroalgali particolarmente complessi dal punto di vista tassonomico, i cui membri sono spesso componenti dell’hull fouling e delle ballast waters delle navi e per questo motivo risultano specie macroalgali comunemente trasportate e potenzialmente introdotte in ambienti diversi dal loro areale di origine. In particolare ci siamo soffermati sui generi Ulva (Ulvaceae, Chlorophyta) e Ceramium (Ceramiaceae, Rhodophyta), entrambi taxa cosmopoliti con specie di difficile identificazione a causa dell’elevata variabilità morfologica altamente influenzata dai fattori ambientali. Sono stati scelti tre siti di campionamento: la laguna di Venezia, il litorale di Chioggia e il Lido di Venezia. I primi due affetti da intensi traffici navali e da un elevata eutrofizzazione delle acque, il terzo meno soggetto a questi fenomeni. Per quanto riguarda il genere Ulva, le analisi molecolari condotte utilizzando il gene plastidiale rbcL e il fattore di elongazione tufA (proposto come buon marker per il DNA barcoding delle alghe verdi), ha rilevato la presenza di sei diversi taxa di cui due specie aliene U. californica e U. pertusa oltre a una terza probabile nuova specie. Nel caso del genere Ceramium, la cui sistematica è oggigiorno ancora in uno stato di caos, le sequenze ottenute dall’amplificazione del gene rbcL e dello spaziatore intergenico rbcL-rbcS, dei tre gruppi morfologici identificati, sono state comparate con quelle di specie provenienti dal Nord Atlantico. Questo, assieme a un attento esame morfologico, ha permesso una corretta collocazione tassonomica dei campioni Adriatici e una revisione delle specie finora segnalate per quest’area. Inoltre, le analisi molecolari di alcuni campioni di dubbia identità ha rilevato la presenza di possibili nuove specie. Spesso questi ritrovamenti non sono dovuti a introduzioni da aree extra-Mediterranee ma possono essere causate dalla natura criptica di questi taxa, che li rende facilmente confondibili dal punto di vista morfologico, con altre specie già descritte per l’area di studio. E’ questo il caso di una nuova specie di Gracilaria rinvenuta in Laguna di Venezia che è stata identificata tramite il gene rbcL e lo spaziatore rbcL-rbcS e di cui è stata effettuata una caratterizzazione completa sia dal punto di vista della morfologia che da quello della composizione in pigmenti. Questa nuova entità va ad aggiungersi alle altre 11 specie di Gracilaria riportate per il Mar Mediterraneo. Tutti gli studi effettuati durante questo progetto sottolineano la difficoltà di identificazione degli organismi macroalgali e i problemi tassonomici correlati a questo e tuttora irrisolti. Un esempio è la moltitudine di nomi e/o sinonimi registrati per la stessa specie spesso usati per identificare campioni provenienti da diverse aree del mondo a seconda delle diverse chiavi dicotomiche utilizzate o a causa della presenza di diversi morfotipi. A tutt’oggi questo rappresenta un ostacolo per lo sviluppo di una tassonomia universale e più oggettiva dei gruppi macroalgali. Gli studi sistematici atti a risolvere questo tipo di problemi spesso si basano sulla comparazione con campioni tipo delle varie specie conservati in collezioni storiche. Dato lo sviluppo delle tecniche molecolari anche per quanto riguarda il materiale storico, gli erbari sono diventati una preziosa fonte di informazione per i tassonomi moderni. Durante il mio dottorato ho iniziato uno studio molecolare sulla specie tipo del genere Gracilaria (G. bursa-pastoris) caratterizzata da un ampia variabilità fenotipica. Infatti i campioni freschi raccolti nelle aree di Venezia e Taranto presentavano morfologie dei talli molto diverse, tali da mettere in dubbio la loro appartenenza alla specie G. bursa-pastoris. Per questo motivo sono stati presi in esame anche campioni storici (erbario A. Forti 1927 conservato all’Orto Botanico dell’Università di Padova) oltre che il lectotipo del genere ottenuto dalla collezione storica di Agardh del Museo Botanico dell’Università di Lund (Svezia). La comparazione con il materiale storico e soprattutto con il campione tipo ha rilevato che si trattava di morfotipi attribuibili tutti effettivamente a G. bursa-pastoris, tranne che per un campione di algario (Savona, 1869) che era stato al tempo erroneamente classificato su base morfologica e che rappresenta invece una nuova specie mai sequenziata finora. Questo progetto di Dottorato rappresenta il primo studio sulla biodiversità macroalgale del mar Adriatico basato su un approccio molecolare. I risultati ottenuti hanno rivelato che il DNA barcoding rappresenta un metodo efficace per la discriminazione delle specie e permette di ottenere, così, una visione oggettiva delle entità presenti nelle diverse aree di studio.File | Dimensione | Formato | |
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URN:NBN:IT:UNIPD-175264