Le rocce carbonatiche sono spesso interessate dall’attività sismica che caratterizza zone densamente popolate, come l’area Mediterranea (e.g., il terremoto de L’Aquila, 2009, MW 6.1, e il più recente terremoto di Amatrice, 2016, MW 6.5). La meccanica dei terremoti e delle faglie è controllata da una serie di proprietà geometriche e fisico-chimiche distribuite su una scala che si estende dalle decine di kilometri ai nanometri. L’obiettivo di questa tesi è di studiare l’architettura e le rocce di una zona di faglia esumata per individuare i processi deformativi che controllano il ciclo sismico nelle rocce carbonatiche (principalmente dolomie e calcari). A questo fine abbiamo adoperato un approccio multidisciplinare che ha compreso (i) rilievi geologico-strutturali di terreno (e relativo campionamento sistematico delle rocce di faglia), (ii) la costruzione di modelli digitali della zona di faglia, (iii) esperimenti di tipo rotary su polveri, e (iv) l’analisi microstrutturale e mineralogica dei prodotti di faglia naturali e sperimentali tramite l’utilizzo di microscopia ottica ed elettronica a scansione, spettroscopia EDX, diffrazione da elettroni retrodiffusi (EBSD) e diffrazione Kikuchi in trasmissione (TKD) elettronica. Per il caso di terreno, abbiamo selezionato la zona di faglia di Vado di Corno (VCFZ) che è splendidamente esposta all’interno di carbonati dell’Appennino Centrale (Campo Imperatore, massiccio del Gran Sasso, Abruzzo), è sismicamente attiva ed è stata esumata da < 3 km di profondità. La zona di faglia si compone di un sistema articolato di faglie e fratture, e comprende una grande varietà di rocce di faglia (cataclasiti foliate, gouge, rocce frantumate in-situ, vene deformate in taglio, etc.). Sulla base delle evidenze di terreno del sistema di faglie e fratture e della distribuzione delle rocce di faglia, abbiamo interpretato la struttura della VCFZ come un analogo esumato delle strutture sepolte associate all’attività sismica negli Appennini Centrali. Queste ultime sono state "illuminate" dalla distribuzione ad alta risoluzione degli ipocentri (errori di localizzazione spesso inferiori ai 20 m e quindi comparabili con le osservazioni di terreno) grazie a studi di inversione sismica (e.g., L’Aquila 2009, MW 6.1; Amatrice 2016, MW 6.5). In particolare, eventi precursori, la scossa principale, e quelle successive, riattivano, come piani a basso angolo, il sistema di faglie ereditate dalla compressione Miocenico-Pliocenica, e soprattutto le faglie ad alto angolo associate con l’estensione Pleistocenica-attuale della catena Appenninica. Motivati dalla loro presenza nel sistema di faglie della VCFZ, abbiamo studiato le proprietà frizionali e l’evoluzione microstrutturale di polveri composte da una mistura di calcite e dolomite. Abbiamo condotto esperimenti da basse- ad alte velocità di scivolamento (V = 30 µms-1 – 1 ms-1) per una varietà di rigetti (0.05-0.4 m), sforzi normali (17.5-26 MPa), condizioni di deformazione (umidità ambiente e presenza d’acqua) e storia di deformazione (esperimenti di tipo single slide e slide-hold-slide). La maggior parte delle condizioni sperimentali imposte hanno riprodotto condizioni deformative occorse nella VCFZ. In particolare, la formazione di una foliazione ben definita nei livelli di gouge è stata osservata solamente negli esperimenti eseguiti ad umidità ambiente e ad una velocità di 1 ms-1. In accordo con studi precedenti, le nostre osservazioni supportano l’interpretazione che gouge e cataclasiti foliate, in particolar modo se in assenza di minerali delle argille nella matrice, possono formarsi durante la deformazione cosismica in faglie in carbonati. Il lavoro successivo si è quindi focalizzato nello studio microstrutturale, specialmente mediante analisi EBSD, di faglie sperimentali composte da misture di calcite e dolomite per individuare i processi fisici associati alla intensa localizzazione della deformazione nelle zone di scivolamento (spessori < 0.1 mm) composte da aggregati di nanoparticelle con una granulometria compresa tra 20 e 2000 nm, che nel gouge adiacente e meno deformato (spessori ca. 2 mm). Un risultato sorprendente di questa analisi è stata la scoperta dello sviluppo di un’orientazione cristallografica preferenziale (CPO) nei granuli di calcite presenti nei livelli meno deformati. Infatti la mistura è stata deformata per taglio semplice in regime puramente fragile (massima temperatura < 30 °C). La formazione di una CPO è interpretata come conseguenza della forte anisotropia strutturale tipica della calcite (piani di clivaggio). Durante lo scivolamento per taglio, la rotazione meccanica dei grani fa sì che i piani di clivaggio risultino progressivamente circa paralleli alla direzione di massima compressione, comportando il cedimento fragile (fratturazione) del clasto. Inoltre, le alte stime di sforzo differenziale (ca. 170 MPa), ottenute attraverso il paleopiezometro per i geminati nella calcite, sono state interpretate come un’indicazione degli elevati sforzi locali (force chains) sperimentati dai grani durante la deformazione per taglio fino al cedimento per fratturazione. L’analisi della zona di scivolamento (intensa localizzazione della deformazione) in polveri miste di calcite-dolomite deformate a velocità cosismiche (1 ms-1) è stata effettuata tramite l’applicazione di una tecnica micro-analitica innovativa, la TKD (quella presentata nella tesi è stata una delle prime applicazioni di questa tecnica su materiali geologici). Il vantaggio principale nell’uso della TKD rispetto alle tecniche frequentemente impiegate per determinare la CPO nelle rocce, come l’EBSD, è l’alta risoluzione spaziale (nel nostro caso siamo riusciti ad usare un passo di campionamento fino a 20 nm) e la grande quantità di dati raccolta, statisticamente significativa per l’analisi della CPO rispetto, per esempio, all'impiego di microscopi a trasmissione elettronica. La presenza di una CPO molto debole negli aggregati nanometrici di calcite, organizzati in una caratteristica microstruttura “a schiuma”, suggerisce che il principale meccanismo di deformazione durante la deformazione cosismica era grain boundary sliding assistito da meccanismi diffusivi. In conclusione, sulla base delle evidenze di terreno, sperimentali e microstrutturali riportate nella tesi, i terremoti che occorrono della crosta superficiale caratterizzata dalla presenza di rocce carbonatiche sono il risultato di una combinazione di micro-processi elastico-frizionali (“fragili”) ma specialmente visco-plastici (“duttili”).
Seismogenic carbonate-built normal faults: structure and deformation processes
DEMURTAS, MATTEO
2018
Abstract
Le rocce carbonatiche sono spesso interessate dall’attività sismica che caratterizza zone densamente popolate, come l’area Mediterranea (e.g., il terremoto de L’Aquila, 2009, MW 6.1, e il più recente terremoto di Amatrice, 2016, MW 6.5). La meccanica dei terremoti e delle faglie è controllata da una serie di proprietà geometriche e fisico-chimiche distribuite su una scala che si estende dalle decine di kilometri ai nanometri. L’obiettivo di questa tesi è di studiare l’architettura e le rocce di una zona di faglia esumata per individuare i processi deformativi che controllano il ciclo sismico nelle rocce carbonatiche (principalmente dolomie e calcari). A questo fine abbiamo adoperato un approccio multidisciplinare che ha compreso (i) rilievi geologico-strutturali di terreno (e relativo campionamento sistematico delle rocce di faglia), (ii) la costruzione di modelli digitali della zona di faglia, (iii) esperimenti di tipo rotary su polveri, e (iv) l’analisi microstrutturale e mineralogica dei prodotti di faglia naturali e sperimentali tramite l’utilizzo di microscopia ottica ed elettronica a scansione, spettroscopia EDX, diffrazione da elettroni retrodiffusi (EBSD) e diffrazione Kikuchi in trasmissione (TKD) elettronica. Per il caso di terreno, abbiamo selezionato la zona di faglia di Vado di Corno (VCFZ) che è splendidamente esposta all’interno di carbonati dell’Appennino Centrale (Campo Imperatore, massiccio del Gran Sasso, Abruzzo), è sismicamente attiva ed è stata esumata da < 3 km di profondità. La zona di faglia si compone di un sistema articolato di faglie e fratture, e comprende una grande varietà di rocce di faglia (cataclasiti foliate, gouge, rocce frantumate in-situ, vene deformate in taglio, etc.). Sulla base delle evidenze di terreno del sistema di faglie e fratture e della distribuzione delle rocce di faglia, abbiamo interpretato la struttura della VCFZ come un analogo esumato delle strutture sepolte associate all’attività sismica negli Appennini Centrali. Queste ultime sono state "illuminate" dalla distribuzione ad alta risoluzione degli ipocentri (errori di localizzazione spesso inferiori ai 20 m e quindi comparabili con le osservazioni di terreno) grazie a studi di inversione sismica (e.g., L’Aquila 2009, MW 6.1; Amatrice 2016, MW 6.5). In particolare, eventi precursori, la scossa principale, e quelle successive, riattivano, come piani a basso angolo, il sistema di faglie ereditate dalla compressione Miocenico-Pliocenica, e soprattutto le faglie ad alto angolo associate con l’estensione Pleistocenica-attuale della catena Appenninica. Motivati dalla loro presenza nel sistema di faglie della VCFZ, abbiamo studiato le proprietà frizionali e l’evoluzione microstrutturale di polveri composte da una mistura di calcite e dolomite. Abbiamo condotto esperimenti da basse- ad alte velocità di scivolamento (V = 30 µms-1 – 1 ms-1) per una varietà di rigetti (0.05-0.4 m), sforzi normali (17.5-26 MPa), condizioni di deformazione (umidità ambiente e presenza d’acqua) e storia di deformazione (esperimenti di tipo single slide e slide-hold-slide). La maggior parte delle condizioni sperimentali imposte hanno riprodotto condizioni deformative occorse nella VCFZ. In particolare, la formazione di una foliazione ben definita nei livelli di gouge è stata osservata solamente negli esperimenti eseguiti ad umidità ambiente e ad una velocità di 1 ms-1. In accordo con studi precedenti, le nostre osservazioni supportano l’interpretazione che gouge e cataclasiti foliate, in particolar modo se in assenza di minerali delle argille nella matrice, possono formarsi durante la deformazione cosismica in faglie in carbonati. Il lavoro successivo si è quindi focalizzato nello studio microstrutturale, specialmente mediante analisi EBSD, di faglie sperimentali composte da misture di calcite e dolomite per individuare i processi fisici associati alla intensa localizzazione della deformazione nelle zone di scivolamento (spessori < 0.1 mm) composte da aggregati di nanoparticelle con una granulometria compresa tra 20 e 2000 nm, che nel gouge adiacente e meno deformato (spessori ca. 2 mm). Un risultato sorprendente di questa analisi è stata la scoperta dello sviluppo di un’orientazione cristallografica preferenziale (CPO) nei granuli di calcite presenti nei livelli meno deformati. Infatti la mistura è stata deformata per taglio semplice in regime puramente fragile (massima temperatura < 30 °C). La formazione di una CPO è interpretata come conseguenza della forte anisotropia strutturale tipica della calcite (piani di clivaggio). Durante lo scivolamento per taglio, la rotazione meccanica dei grani fa sì che i piani di clivaggio risultino progressivamente circa paralleli alla direzione di massima compressione, comportando il cedimento fragile (fratturazione) del clasto. Inoltre, le alte stime di sforzo differenziale (ca. 170 MPa), ottenute attraverso il paleopiezometro per i geminati nella calcite, sono state interpretate come un’indicazione degli elevati sforzi locali (force chains) sperimentati dai grani durante la deformazione per taglio fino al cedimento per fratturazione. L’analisi della zona di scivolamento (intensa localizzazione della deformazione) in polveri miste di calcite-dolomite deformate a velocità cosismiche (1 ms-1) è stata effettuata tramite l’applicazione di una tecnica micro-analitica innovativa, la TKD (quella presentata nella tesi è stata una delle prime applicazioni di questa tecnica su materiali geologici). Il vantaggio principale nell’uso della TKD rispetto alle tecniche frequentemente impiegate per determinare la CPO nelle rocce, come l’EBSD, è l’alta risoluzione spaziale (nel nostro caso siamo riusciti ad usare un passo di campionamento fino a 20 nm) e la grande quantità di dati raccolta, statisticamente significativa per l’analisi della CPO rispetto, per esempio, all'impiego di microscopi a trasmissione elettronica. La presenza di una CPO molto debole negli aggregati nanometrici di calcite, organizzati in una caratteristica microstruttura “a schiuma”, suggerisce che il principale meccanismo di deformazione durante la deformazione cosismica era grain boundary sliding assistito da meccanismi diffusivi. In conclusione, sulla base delle evidenze di terreno, sperimentali e microstrutturali riportate nella tesi, i terremoti che occorrono della crosta superficiale caratterizzata dalla presenza di rocce carbonatiche sono il risultato di una combinazione di micro-processi elastico-frizionali (“fragili”) ma specialmente visco-plastici (“duttili”).File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/175487
URN:NBN:IT:UNIPD-175487