Il ruolo dell’infezione virale nell’insorgenza di lesioni nel rene trapiantato non è stato ancora del tutto precisato sebbene alcuni virus come HCMV, EBV, VZV, HHV6, HHV8, in una fase più precoce, e il poliomavirus BK (BKV) e JC (JCV) e al parvovirus B19, dopo più tempo dal trapianto, sembrano avere una precisa funzione nel determinare danni a carico del rene trapiantato. Infatti, tutti questi virus sono stati già descritti come importanti patogeni con tropismo renale. Nel presente studio sono state investigate le infezioni virali, intrarenali e sistemiche, in una casistica di bambini e giovani adulti che sono stati sottoposti a trapianto di rene dal 2000 al 2006. Più esattamente sono stati analizzati i dati della prevalenza delle sequenze genomiche virali intrarenali e delle infezioni sistemiche (DNAemia) in associazione con il rischio di insorgenza di rigetto acuto e/o di lesioni croniche del rene trapiantato. La presenza delle sequenze genomiche virali dei virus erpetici umani, dei poliomavirus e del parvovirus B19 è stata analizzata a livello della biopsie di rene eseguite al momento del trapianto, biopsie baseline, in presenza di disfunzioni renali acute e durante i primi due anni dal trapianto seguendo i tempi del protocollo di follow-up cioè a 6, 12 e 24 mesi post trapianto. Sono stati studiati 69 riceventi pediatrici, bambini e giovani adulti, con un’età media pari a 13 anni che avevano ricevuto il rene da donatore deceduto in 65 casi e in 4 casi da famigliare vivente: l’età dei donatori era inferiore a 6 anni in 15 casi. I risultati di questa prima parte dello studio, relativi alla prevalenza del DNA virale intrarenale sono stati correlati con i dati clinici, i dati di viremia (DNAemia), di funzionalità del rene trapiantato e con le valutazioni istologiche dello stesso momento del follow-up. Globalmente, il DNA virale è stato ritrovato nel 46% delle biopsie baseline e nel 70% delle biopsie di follow-up, dove generalmente persiste nelle biopsie successive. I virus più frequentemente identificati sono il parvovirus B19 e l’herpesvirus HHV6, già presenti a livello delle biopsie di rene del donatore. Mentre la presenza delle sequenze genomiche dei virus EBV e BKV è stata associata alla comparsa di lesioni acute nel rene trapiantato. Tra tutti i virus studiati e ritrovati a livello del rene del ricevente, soltanto il DNA del parvovirus B19 e le relativa DNAemia sono state associate con lo sviluppo di lesioni croniche del rene trapiantato: tale dato non era mai stato dimostrato in precedenti studi della letteratura. Per quanto riguarda il HCMV, la relativa DNAemia è stata considerata un fattore di rischio per la comparsa di episodi di rigetto acuto: dato, questo, già dimostrato e confermato con il nostro studio. Quindi è possibile concludere che il parvovirus B19 sembra preferire, in modo particolare, il rene come possibile bersaglio da infettare e la sua persistenza intrarenale è associata con la comparsa di lesioni croniche del rene trapiantato. Nella seconda parte del presente studio, con l’intento di identificare nuovi marcatori del rischio di infezione del ricevente trapiantato di rene, è stata valutata la presenza delle sequenze genomiche virali di EBV, HCMV, BKV, e del parvovirus B19 nel rene del donatore prima dell’impianto; più precisamente sono state analizzate le biopsie, le soluzioni di conservazione e di lavaggio dell’organo prima che questo venga trapiantato. È stato osservato poi se la presenza del DNA virale nell’unità rene (ovvero l’insieme dei diversi campioni derivati dal donatore: biopsia, soluzione di conservazione e di lavaggio) correlava con la comparsa dell’infezione virale nel ricevente. L’ indagine condotta a livello dei diversi campioni dell’unità rene del donatore, consente di aumentare la sensibilità del test molecolare, ma anche da maggiori indicazioni relative al meccanismo di trasmissione dell’infezione virale mediante il rene trapiantato dal momento che i diversi campioni dell’unità rene sono arricchiti di più frazioni cellulari del donatore: sono presenti sia le cellule residenti del rene a livello della biopsia, ma anche le cellule del sangue circolante soprattutto nel liquido di lavaggio. Le sequenze genomiche virali sono frequentemente identificate nell’unità rene del donatore, soprattutto nelle soluzioni di conservazione e di lavaggio. Globalmente, il DNA virale è stato identificato, in almeno un tipo di campione dell’unità rene, in 51 su 75 reni donati (68%) e il virus più ritrovato è il B19 (47%). In accordo con la loro capacità di definire uno stato di latenza dei linfociti B e nei monociti, il DNA dei virus EBV, nel primo caso, e HCMV nel secondo, sono stati identificati principalmente nelle soluzioni di lavaggio e di conservazione, poiché tali virus sono probabilmente veicolati dalle cellule del sangue periferico. Mentre, nel caso del parvovirus B19, il DNA virale è stato trovato spesso nelle biopsie del rene del donatore: questo suggerisce che il virus probabilmente infetta le cellule residenti del rene, le quali potrebbero essere un importante sorgente di trasmissione dell’infezione al ricevente. Il poliomavirus BK si pensa abbia un particolare tropismo per il rene e che vada in latenza nelle cellule epiteliali tubulari del rene: ciononostante nel presente studio il DNA di BKV è stato identificato solo in una biopsia di rene del donatore mentre è stato più volte ritrovato, anche in maniera persistente, nelle biopsie di follow-up. In generale, è stato possibile constatare che la presenza del DNA virale nel rene del ricevente è un importante fattore di rischio di infezione sistemica per il ricevente sieronegativo nel primo periodo successivo al trapianto. In particolare, la presenza del DNA di EBV nell’ unità rene donata comporta un più elevato rischio di infezione da EBV nel ricevente sieronegativo, mentre la persistenza di B19 nel rene del ricevente è un fattore di rischio di infezione e/o di DNAemia da B19 per il ricevente sia sieropositivo che sieronegativo. Al contrario questo tipo di indagine molecolare dell’unità rene del donatore, condotta per il HCMV e per BKV non mostra una valida utilità diagnostica. Concludendo, con questo studio è stato possibile dimostrare che l’identificazione di acidi nucleici virali a livello delle soluzioni di lavaggio e di conservazione del rene da trapiantare potrebbe essere un test molecolare particolarmente utile per riconoscere i riceventi con un maggior rischio di infezione, soprattutto sistemica. La sensibilità e la specificità di tale test molecolare dipende però dal tropismo del virus per le cellule o per il tessuto dell’organo da trapiantare.

Studio dei correlati virologici, patologici e clinici in pazienti pediatrici trapiantati di rene: applicazione di nuove indagini molecolari

PACENTI, MONIA
2009

Abstract

Il ruolo dell’infezione virale nell’insorgenza di lesioni nel rene trapiantato non è stato ancora del tutto precisato sebbene alcuni virus come HCMV, EBV, VZV, HHV6, HHV8, in una fase più precoce, e il poliomavirus BK (BKV) e JC (JCV) e al parvovirus B19, dopo più tempo dal trapianto, sembrano avere una precisa funzione nel determinare danni a carico del rene trapiantato. Infatti, tutti questi virus sono stati già descritti come importanti patogeni con tropismo renale. Nel presente studio sono state investigate le infezioni virali, intrarenali e sistemiche, in una casistica di bambini e giovani adulti che sono stati sottoposti a trapianto di rene dal 2000 al 2006. Più esattamente sono stati analizzati i dati della prevalenza delle sequenze genomiche virali intrarenali e delle infezioni sistemiche (DNAemia) in associazione con il rischio di insorgenza di rigetto acuto e/o di lesioni croniche del rene trapiantato. La presenza delle sequenze genomiche virali dei virus erpetici umani, dei poliomavirus e del parvovirus B19 è stata analizzata a livello della biopsie di rene eseguite al momento del trapianto, biopsie baseline, in presenza di disfunzioni renali acute e durante i primi due anni dal trapianto seguendo i tempi del protocollo di follow-up cioè a 6, 12 e 24 mesi post trapianto. Sono stati studiati 69 riceventi pediatrici, bambini e giovani adulti, con un’età media pari a 13 anni che avevano ricevuto il rene da donatore deceduto in 65 casi e in 4 casi da famigliare vivente: l’età dei donatori era inferiore a 6 anni in 15 casi. I risultati di questa prima parte dello studio, relativi alla prevalenza del DNA virale intrarenale sono stati correlati con i dati clinici, i dati di viremia (DNAemia), di funzionalità del rene trapiantato e con le valutazioni istologiche dello stesso momento del follow-up. Globalmente, il DNA virale è stato ritrovato nel 46% delle biopsie baseline e nel 70% delle biopsie di follow-up, dove generalmente persiste nelle biopsie successive. I virus più frequentemente identificati sono il parvovirus B19 e l’herpesvirus HHV6, già presenti a livello delle biopsie di rene del donatore. Mentre la presenza delle sequenze genomiche dei virus EBV e BKV è stata associata alla comparsa di lesioni acute nel rene trapiantato. Tra tutti i virus studiati e ritrovati a livello del rene del ricevente, soltanto il DNA del parvovirus B19 e le relativa DNAemia sono state associate con lo sviluppo di lesioni croniche del rene trapiantato: tale dato non era mai stato dimostrato in precedenti studi della letteratura. Per quanto riguarda il HCMV, la relativa DNAemia è stata considerata un fattore di rischio per la comparsa di episodi di rigetto acuto: dato, questo, già dimostrato e confermato con il nostro studio. Quindi è possibile concludere che il parvovirus B19 sembra preferire, in modo particolare, il rene come possibile bersaglio da infettare e la sua persistenza intrarenale è associata con la comparsa di lesioni croniche del rene trapiantato. Nella seconda parte del presente studio, con l’intento di identificare nuovi marcatori del rischio di infezione del ricevente trapiantato di rene, è stata valutata la presenza delle sequenze genomiche virali di EBV, HCMV, BKV, e del parvovirus B19 nel rene del donatore prima dell’impianto; più precisamente sono state analizzate le biopsie, le soluzioni di conservazione e di lavaggio dell’organo prima che questo venga trapiantato. È stato osservato poi se la presenza del DNA virale nell’unità rene (ovvero l’insieme dei diversi campioni derivati dal donatore: biopsia, soluzione di conservazione e di lavaggio) correlava con la comparsa dell’infezione virale nel ricevente. L’ indagine condotta a livello dei diversi campioni dell’unità rene del donatore, consente di aumentare la sensibilità del test molecolare, ma anche da maggiori indicazioni relative al meccanismo di trasmissione dell’infezione virale mediante il rene trapiantato dal momento che i diversi campioni dell’unità rene sono arricchiti di più frazioni cellulari del donatore: sono presenti sia le cellule residenti del rene a livello della biopsia, ma anche le cellule del sangue circolante soprattutto nel liquido di lavaggio. Le sequenze genomiche virali sono frequentemente identificate nell’unità rene del donatore, soprattutto nelle soluzioni di conservazione e di lavaggio. Globalmente, il DNA virale è stato identificato, in almeno un tipo di campione dell’unità rene, in 51 su 75 reni donati (68%) e il virus più ritrovato è il B19 (47%). In accordo con la loro capacità di definire uno stato di latenza dei linfociti B e nei monociti, il DNA dei virus EBV, nel primo caso, e HCMV nel secondo, sono stati identificati principalmente nelle soluzioni di lavaggio e di conservazione, poiché tali virus sono probabilmente veicolati dalle cellule del sangue periferico. Mentre, nel caso del parvovirus B19, il DNA virale è stato trovato spesso nelle biopsie del rene del donatore: questo suggerisce che il virus probabilmente infetta le cellule residenti del rene, le quali potrebbero essere un importante sorgente di trasmissione dell’infezione al ricevente. Il poliomavirus BK si pensa abbia un particolare tropismo per il rene e che vada in latenza nelle cellule epiteliali tubulari del rene: ciononostante nel presente studio il DNA di BKV è stato identificato solo in una biopsia di rene del donatore mentre è stato più volte ritrovato, anche in maniera persistente, nelle biopsie di follow-up. In generale, è stato possibile constatare che la presenza del DNA virale nel rene del ricevente è un importante fattore di rischio di infezione sistemica per il ricevente sieronegativo nel primo periodo successivo al trapianto. In particolare, la presenza del DNA di EBV nell’ unità rene donata comporta un più elevato rischio di infezione da EBV nel ricevente sieronegativo, mentre la persistenza di B19 nel rene del ricevente è un fattore di rischio di infezione e/o di DNAemia da B19 per il ricevente sia sieropositivo che sieronegativo. Al contrario questo tipo di indagine molecolare dell’unità rene del donatore, condotta per il HCMV e per BKV non mostra una valida utilità diagnostica. Concludendo, con questo studio è stato possibile dimostrare che l’identificazione di acidi nucleici virali a livello delle soluzioni di lavaggio e di conservazione del rene da trapiantare potrebbe essere un test molecolare particolarmente utile per riconoscere i riceventi con un maggior rischio di infezione, soprattutto sistemica. La sensibilità e la specificità di tale test molecolare dipende però dal tropismo del virus per le cellule o per il tessuto dell’organo da trapiantare.
2009
Italiano
trapianto di rene, infezione virale nel paziente immunocompromesso, parvovirus B19, rigetto acuto, nefropatia associata al poliomavirus BKV, diagnosi molecolare virologica
Università degli studi di Padova
83
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Il codice NBN di questa tesi è URN:NBN:IT:UNIPD-175959