Negli ultimi anni l'evoluzione della biologia molecolare ha permesso una conoscenza sempre maggiore del genoma umano e consente ormai la diagnosi in utero di un numero crescente di patologie genetiche. Al momento attuale la diagnostica prenatale di anomalie cromosomiche o di malattie genetiche richiede il prelievo di cellule fetali ottenibili con metodiche invasive, l'amniocentesi e la villocentesi. Queste tecniche comportano un rischio di provocare un aborto compreso fra 0.5% e 1%. Di fronte a questi limiti delle metodiche invasive sono stati messi a punto alcuni metodi di screening alternativi non invasivi, basati su parametri ecografici fetali e/o biochimici su sangue materno, che però hanno il limite di fornire risposte solo di tipo probabilistico. L'introduzione di un test realmente alternativo di diagnosi prenatale non invasiva che permetta di eliminare il rischio di aborto legato all’amniocentesi e alla villocentesi è fortemente attesa. Infatti un simile test permetterebbe una estensione dell'analisi del materiale genetico fetale a molte più donne all'inizio della gravidanza e diminuirebbe l'impatto fisico e psicologico di questo tipo di indagine. Nel 1997 uno studio ha dimostrato la presenza di DNA libero fetale (cell-free fetal DNA, cffDNA) nel plasma materno e ha evidenziato la sua potenzialità per una diagnosi prenatale non invasiva (NIPD). Durante i 15 anni successivi, si è sviluppata la ricerca di base sulle caratteristiche del DNA libero fetale e molti ricercatori hanno studiato la biologia e il significato clinico del trasporto di cffDNA nel circolo materno. Il DNA libero fetale origina dall’apoptosi dei trofoblasti costantemente rimpiazzati sulla superficie della placenta e comprende circa il 3-6% del DNA libero totale nella circolazione materna. E’ stato inoltre osservato che è costituito da corti frammenti di DNA (<200bp) piuttosto che interi cromosomi e che la sua concentrazione aumenta gradualmente durante la gravidanza: è rilevabile nella circolazione materna già a 32 giorni circa di gestazione (in quantità affidabile solo dopo le 7 settimane) e aumenta del 21% ogni settimana nel primo trimestre, con un forte picco durante le ultime 8 settimane di gravidanza per poi venire rapidamente rimosso dalla circolazione materna subito dopo il parto. L’utilizzo del DNA fetale libero come mezzo per la diagnosi prenatale non invasiva di malattie genetiche fino ad ora è fortemente limitato dall’elevato background di DNA materno pertanto le prime strategie messe a punto per l’identificazione del DNA libero fetale si sono basate sul rilevamento di sequenze assenti nel genoma materno, come le sequenze Y-specifiche, la determinazione del genotipo RhD fetale in donne RhD-negative e l’identificazione di sequenze fetali con mutazioni ereditate dal padre. L’amplificazione tramite Real Time qPCR di sequenze unicamente fetali nel plasma di donne gravide rappresenta ad oggi il metodo di elezione per lo studio del DNA libero fetale, ma numerosi sforzi sono stati realizzati per la messa a punto di sistemi sempre più sensibili ed universali per rilevare le più piccole differenze tra il DNA fetale libero e quello materno, al fine di consentire un utilizzo su larga scala del cffDNA per la diagnosi prenatale non invasiva. Lo scopo di questa ricerca è stato quindi, la messa a punto di protocolli validi per l’identificazione e l’analisi di sequenze geniche fetali nella circolazione materna. Il progetto è stato quindi suddiviso in tre fasi: la prima fase ha comportato la messa a punto di opportuni protocolli di Real-Time qPCR per il rilevamento e la quantificazione sia del DNA libero totale estratto sia del cffDNA estratto in gravidanze con feto di sesso maschile; la seconda fase del progetto si è occupata di testare e sviluppare un protocollo affidabile per l’identificazione di sequenze geniche fetali utili al riconoscimento di cffDNA nelle gravidanze con feto di sesso femminile, mediante l’utilizzo della tecnica di mini-sequencing; l’ultima fase del progetto si è concentrata infine sulla messa a punto di un protocollo di verifica della presenza/assenza di mutazioni paterne in plasma materno mediante nested PCR allele-specifica. L’analisi dei risultati ha dimostrato, per ogni tecnica sviluppata, elevate sensibilità e capacità di risoluzione accoppiate a velocità e facilità di esecuzione, confermandone quindi l’applicabilità per una diagnosi prenatale non invasiva. Inoltre l’utilizzo in combinazione delle due tecniche (Real-Time qPCR e mini-sequencing) per la conferma della presenza del cffDNA nel campione in analisi, si è rilevata indispensabile per poter escludere che il feto abbia ereditato la mutazione paterna, in tutti i casi in cui non viene identificata la mutazione. L’esclusione della mutazione paterna nel feto attraverso l’analisi su plasma materno permetterebbe quindi di evitare l’utilizzo di procedure invasive per il prelievo di cellule fetali e avere questa informazione alla 9-10 settimana di gravidanza consentirebbe di rassicurare la coppia prima di qualsiasi altro test diagnostico di routine.
Sviluppo di metodi per l'identificazione e l'analisi di sequenze geniche fetali nella circolazione materna per una diagnosi prenatale non invasiva
BRUSON, ALICE
2012
Abstract
Negli ultimi anni l'evoluzione della biologia molecolare ha permesso una conoscenza sempre maggiore del genoma umano e consente ormai la diagnosi in utero di un numero crescente di patologie genetiche. Al momento attuale la diagnostica prenatale di anomalie cromosomiche o di malattie genetiche richiede il prelievo di cellule fetali ottenibili con metodiche invasive, l'amniocentesi e la villocentesi. Queste tecniche comportano un rischio di provocare un aborto compreso fra 0.5% e 1%. Di fronte a questi limiti delle metodiche invasive sono stati messi a punto alcuni metodi di screening alternativi non invasivi, basati su parametri ecografici fetali e/o biochimici su sangue materno, che però hanno il limite di fornire risposte solo di tipo probabilistico. L'introduzione di un test realmente alternativo di diagnosi prenatale non invasiva che permetta di eliminare il rischio di aborto legato all’amniocentesi e alla villocentesi è fortemente attesa. Infatti un simile test permetterebbe una estensione dell'analisi del materiale genetico fetale a molte più donne all'inizio della gravidanza e diminuirebbe l'impatto fisico e psicologico di questo tipo di indagine. Nel 1997 uno studio ha dimostrato la presenza di DNA libero fetale (cell-free fetal DNA, cffDNA) nel plasma materno e ha evidenziato la sua potenzialità per una diagnosi prenatale non invasiva (NIPD). Durante i 15 anni successivi, si è sviluppata la ricerca di base sulle caratteristiche del DNA libero fetale e molti ricercatori hanno studiato la biologia e il significato clinico del trasporto di cffDNA nel circolo materno. Il DNA libero fetale origina dall’apoptosi dei trofoblasti costantemente rimpiazzati sulla superficie della placenta e comprende circa il 3-6% del DNA libero totale nella circolazione materna. E’ stato inoltre osservato che è costituito da corti frammenti di DNA (<200bp) piuttosto che interi cromosomi e che la sua concentrazione aumenta gradualmente durante la gravidanza: è rilevabile nella circolazione materna già a 32 giorni circa di gestazione (in quantità affidabile solo dopo le 7 settimane) e aumenta del 21% ogni settimana nel primo trimestre, con un forte picco durante le ultime 8 settimane di gravidanza per poi venire rapidamente rimosso dalla circolazione materna subito dopo il parto. L’utilizzo del DNA fetale libero come mezzo per la diagnosi prenatale non invasiva di malattie genetiche fino ad ora è fortemente limitato dall’elevato background di DNA materno pertanto le prime strategie messe a punto per l’identificazione del DNA libero fetale si sono basate sul rilevamento di sequenze assenti nel genoma materno, come le sequenze Y-specifiche, la determinazione del genotipo RhD fetale in donne RhD-negative e l’identificazione di sequenze fetali con mutazioni ereditate dal padre. L’amplificazione tramite Real Time qPCR di sequenze unicamente fetali nel plasma di donne gravide rappresenta ad oggi il metodo di elezione per lo studio del DNA libero fetale, ma numerosi sforzi sono stati realizzati per la messa a punto di sistemi sempre più sensibili ed universali per rilevare le più piccole differenze tra il DNA fetale libero e quello materno, al fine di consentire un utilizzo su larga scala del cffDNA per la diagnosi prenatale non invasiva. Lo scopo di questa ricerca è stato quindi, la messa a punto di protocolli validi per l’identificazione e l’analisi di sequenze geniche fetali nella circolazione materna. Il progetto è stato quindi suddiviso in tre fasi: la prima fase ha comportato la messa a punto di opportuni protocolli di Real-Time qPCR per il rilevamento e la quantificazione sia del DNA libero totale estratto sia del cffDNA estratto in gravidanze con feto di sesso maschile; la seconda fase del progetto si è occupata di testare e sviluppare un protocollo affidabile per l’identificazione di sequenze geniche fetali utili al riconoscimento di cffDNA nelle gravidanze con feto di sesso femminile, mediante l’utilizzo della tecnica di mini-sequencing; l’ultima fase del progetto si è concentrata infine sulla messa a punto di un protocollo di verifica della presenza/assenza di mutazioni paterne in plasma materno mediante nested PCR allele-specifica. L’analisi dei risultati ha dimostrato, per ogni tecnica sviluppata, elevate sensibilità e capacità di risoluzione accoppiate a velocità e facilità di esecuzione, confermandone quindi l’applicabilità per una diagnosi prenatale non invasiva. Inoltre l’utilizzo in combinazione delle due tecniche (Real-Time qPCR e mini-sequencing) per la conferma della presenza del cffDNA nel campione in analisi, si è rilevata indispensabile per poter escludere che il feto abbia ereditato la mutazione paterna, in tutti i casi in cui non viene identificata la mutazione. L’esclusione della mutazione paterna nel feto attraverso l’analisi su plasma materno permetterebbe quindi di evitare l’utilizzo di procedure invasive per il prelievo di cellule fetali e avere questa informazione alla 9-10 settimana di gravidanza consentirebbe di rassicurare la coppia prima di qualsiasi altro test diagnostico di routine.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14242/176172
URN:NBN:IT:UNIPD-176172